17 maggio 2010

Quei libri diventati memoria d'amore

di Guido Ceronetti
Dei libri, di certi libri, resta per sempre qualcosa. A volte, cambiano la vita, quando li hai letti: dimentichi il libro; la scintilla del cambiamento, a distanza di anni, nominandone autore e titolo, si riaccende.
Meraviglioso è attendere, fino al termine della notte, che il libro decisivo, il libro-messia-che-viene, scopra se stesso, e per oscuro travaglio ostetrico destinale ti capiti tra le mani. Io posso dire, come l’amatissimo Mallarmé, di «aver letto tutti i libri» e in questo «affaticato» la carne (Qohélet 12) - intendendo: tutti i libri eletti per governare la mia scialuppa di naufrago nel buio: e nello stesso tempo resto alla finestra in attesa di veder apparire il libro di cui poter dire a me stesso: Eccolo.
Sono un certo numero; ma un gran leggitore e consumalibri non sono mai stato; da anni, leggo pochissimo... L’attesa del libro è simile a quella della donna: l’amante del destino deve sempre venire. Il libro è donna per l’uomo che legge.
Il velo d’Iside a qualsiasi età, ad ogni punto del percorso, può squarciarsi.
Il libro segna e contrassegna le vite predestinate a questo genere di mistero eleusino d’iniziazione: di libri che hanno assecondato il mio sforzo di essere, cambiato il mio modo di esistenza, alzando il lembo della Velata, ne ho incontrati parecchi. Su innumerevoli altri lettori non avranno prodotto che effetti superficiali, ma ciascuno è monade, di fronte al libro.
Faccio un piccolo elenco di memoria grata: i canti di Maldoror, di Lautréamont, L’Eneide virgiliana, la poesia di Miguel Hernández, Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss, il Trattato Breve (la piccola Etica) di Spinoza, La Linea d’Ombra e Tifone di Conrad, L’Uomo invisibile e La guerra dei mondi di Wells, il Purgatorio dantesco (la cantica adatta a chi abbia segnature zodiacali autunnali), I Démoni di Dostoevskij (in specie l’ultimo viaggio «sulla strada maestra» di Stepán Trofímovic), l’incompiuto formidabile romanzo Verità e Menzogna di Piovene, il libro biblico (superfluo dirlo) di Qohélet, le note sparse di Tocqueville sulla Rivoluzione Francese, tutto Sofocle, le Baccanti di Euripide, due o tre o più saggi sugli UFO e il contattismo ufologico con creature aliene.
Inoltre, un buon numero di fiabe di Andersen, le memorie di Ingmar Bergman in Lanterna Magica, il Macbeth scespiriano, L’Assommoir e Germinal di Zola, le Memorie dell’Ombra e del Suono (archeologia dell’Audio-Visuale) di Jacques Perriault, una vecchia (non invecchiata) biografia di Rembrandt, il Mondo, tutto, di Schopenhauer, la Lettera sull’Umanismo di Heidegger, il Voyage di Céline, Lo spazio vuoto di Peter Brook, la Bhagavad-Gita (culmine delle Scritture sacre), la Diciottesima e la Ventiquattresima sûra coranica: La Caverna e La Luce; il Jekyll di Stevenson, un pugno di lettere inimitabili di Santa Caterina, tutto Villon, il Gulliver di Swift, I Promessi Sposi (in specie il capitolo XXXIV), le Quartine di Nostradamus, Guerre politiche di Goffredo Parise... Poiché me ne vengono in mente troppi, smetto di evocarli. Ma i miei più che ottanta anagrafici hanno vorticato su quel largo amoroso Toboga.
Ti possono cambiare la vita anche i Dizionari! Oh i dizionari, meraviglia del genio umano, dono non di una ma di milioni di amanti!!! Non ho memoria di felicità paragonabili ai giorni passati alla Biblioteca del Collegio Romano, sul dizionario della Bassa Latinità del Du Cange, sul Forcellini, sul Francese Arcaico del Godefroy, sui dizionari semitici del Pontificio Istituto Biblico allora retto da Carlo Maria Martini, mio coetaneo, sui testi di Storia della Medicina e dell’Istituto Orientale della Sapienza di Roma. Ad ogni apertura di dizionario un segmento minino di esistenza mentale si univa ad altri formando un disegno, un mosaico, una trama. Di un dizionario fra tutti sono debitore di più vita (ancora oggi l’aprirlo a caso può regalarmi un’estasi della conoscenza che non può, chi non l’abbia provata, comprendere): un testo lessicale delle scuole rabbiniche di Francia del 1859, facile da percorrere in un ebraico esplicitissimo, così irresistibile che avrebbe reso perfino Wagner e Drumont filosemiti. Me l’aveva comprato, in una brancicata ricerca, in rue des Rosiers, al Marais, nel 1955, mio padre: quel dizionario biblico fece un Prima e un Dopo della mia povera vita di pellegrino a Santiago delle parole.
«La Stampa» del 17 maggio 2010

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