11 maggio 2010

La mirabile visione

Così Roggero Musmeci Ferrari Bravo rivelò il canone della Divina Proporzione
di Fabrizio Giorgio
“Il Genio nostro è dunque veramente sempre immortale!”
(C. Mongenet)

Un grande Maestro delle “Scienze Sacre”, Giuliano Kremmerz, scrisse a proposito del Genio (il dàimon dei Greci): “Chi invece è addentro al linguaggio sacro dei sacerdoti-filosofi, ed ha la chiave delle tre facce dei parlari arcani, sa che il terzo, vero, profondo significato del dèmone o genio degli antichi risponde ad un raggio di luce di ciò che è”.
Se vi è un personaggio, nell’ambito dell’arte italiana di inizio Novecento, a cui si può con certezza attribuire un “contatto geniale”, questi è Roggero Musmeci Ferrari Bravo (1). Noto principalmente per aver composto, sotto lo pseudonimo di ignis, una tragedia dalle immani proporzioni sulle origini di Roma, egli si dedicò, sin dai primi anni Venti, alla risoluzione di un problema che aveva impegnato artisti e studiosi sin dalle origini dell’umanità: la determinazione del canone della Divina Proporzione o della Divina Struttura, come Musmeci stesso amava definirla.
L’artista siciliano, proseguendo le ricerche effettuate nel Rinascimento da personaggi della levatura di Luca Pacioli, di Leonardo da Vinci, di Leon Battista Alberti e di Albrecht Dürer, affermava l’esistenza di un canone di bellezza umana assoluto, determinabile mediante l’applicazione di specifiche formule matematiche.
Divina Proporzione – sosteneva ignis – è Divina Struttura e dà bellezza assoluta: more geometrico demonstrata”.
Tale teoria aveva il suo fondamento nella convinzione che fosse esistito un “tipo primordiale d’uomo”, dalle perfette forme anatomiche, che avrebbe incarnato il canone della bellezza assoluta. Il medesimo concetto era spiegato da Musmeci nel suo trattato: “L’archetipo o prototipo rappresenta la struttura perfetta, e da questa ne viene bellezza ideale, perfetta”(Vª ignislex). Successivamente, l’essere umano si sarebbe più o meno avvicinato o allontanato, secondo vari gradi di approssimazione, da questo “archetipo”. L’accostarsi o il discostarsi da tale modello avrebbe determinato, inoltre, l’armonia o la disarmonia nelle fattezze umane.
In merito a quest’uomo primigenio menzionato da Musmeci, da cui “tutti gli uomini sarebbero discesi”, va chiarito che questa figura non derivava dalla tradizione biblica, ma si inseriva all’interno di una cosmogenesi genuinamente italica. A tal proposito, risultano illuminanti le parole di un insigne esponente del tradizionalismo romano-italico, Evelino Leonardi, il quale, in una lettera indirizzata all’artista, così si espresse:

“(…) Io chiamerei l’archetipo non Romo ma Rom, più dinamico ed eroico: prima perché questa parola è ancora usata in una lingua vivente com’è quella dei misteriosi Zingari; per significare Uomo: secondo perché è la stessa radice di Roma. E non tanto della Roma moderna, o dei Papi o dei Romani, ma di quella lontanissima e nostalgica Ruma, centro della primordiale sapienza occidentale.
Da Ruma – voce primitiva di mammella trassero il latte Rom e Rem, l’uomo e la donna: non il latte materiale, ma quello sapienziale, il primo nutrimento.
Da Ruma venne Rupa, da questa Lupa e la leggenda relativa”.

Il secondo punto nodale della teoria di ignis si fondava sull’idea che la “Divina Proporzione” non fosse pura astrazione, ma che venisse determinata da una legge precisa, traducibile in formule numeriche. Affermava a tal proposito Musmeci: “Recenti ed altissimi studii provano che nella Natura tutto è Numero nei tre Regni: Minerale, Vegetale, Animale. Per quale privilegio assurdo «solo» l’uomo dovrebbe sottrarsi a questa legge universale che sale fino alle stelle?”.
Questa concezione matematica dell’universo inserisce Musmeci nella sfera della tradizione pitagorica (“aèi gheometrèin tòn theòn”, “Dio sempre geometrizza”, aveva affermato Platone (2), riprendendo un concetto pitagorico), la quale, proprio tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, vide in Italia una inaspettata quanto rigogliosa rinascita: basterà qui rammentare le indagini filosofiche svolte da Enrico Caporali, i ponderosi saggi che Arturo Reghini consacrò alla geometria pitagorica, la monumentale storia del pitagorismo di Vincenzo Capparelli e, infine, le ricerche di Evelino Leonardi.
Partendo dall’asserto che nell’universo tutto è numero, Musmeci affermava, dunque, di essere giunto alla individuazione del “modulo” della struttura umana, ovvero alla formula che regola le proporzioni del perfetto corpo umano e alla legge divina che ne stabilisce i rapporti. Questa formula era riassunta dal geniale artista nella enigmatica sigla di “ap=ro=fo” (3):

“L’ap – oppure ro – oppure fo – è il modulo del canone di misura per il corpo umano prescelto dal Divino Architetto nella costruzione del corpo nostro” (Iª ignislex).

Egli, inoltre, attribuiva a questo canone da lui determinato un’origine divina:

“L’aver svelato la formula di costruzione [del corpo umano] mi è stato possibile perché ho trovato il modulo di misura di cui si è servito il Divino Architetto, ai suoi scopi, per avere l’uomo (…)”.

Quest’ultima affermazione induce a chiedersi come fosse riuscito Musmeci a penetrare un così grande arcano.
Alcune indicazioni in merito si possono cogliere nel Trattato sulla Divina Struttura, laddove l’artista affermava di aver raggiunto, dopo lunghi anni di studio, la risoluzione del problema, la scoperta della “chiave atta ad aprire le porte del grande mistero impenetrato sino ad oggi”, come per folgorazione, repentinamente, in “un dato giorno”.
Inoltre, in un’intervista rilasciata ad un quotidiano dell’epoca, Musmeci attribuì la rivelazione della formula della Divina Struttura, così come l’ideazione del suo grande poema sulle origini di Roma, all’intervento di un benefico dàimon o Genio.
In tale prospettiva appare abbastanza verosimile la tesi, sostenuta da alcuni studiosi, di un’influenza sull’insigne artista da parte di alcuni circoli esoterici operanti all’epoca nella Capitale.
In seguito, ignis diede un’applicazione pratica alla sua scoperta, realizzando, mediante le formule da lui determinate, due busti, di dimensioni maggiori del vero: uno maschile, denominato “Romo”, l’altro femminile, chiamato la “Venere delle Perle”. Le due statue presentavano un’armonia di linee e proporzioni che sfiorava la perfezione. Una volta ultimate, egli le sottopose al giudizio dei più illustri esponenti di tutti i settori della cultura e dell’arte del tempo. Le impressioni di tali personaggi furono raccolte dal Musmeci stesso in un opuscolo: è stupefacente scorrere i giudizi entusiastici che queste eminenti personalità rivolsero alle creazioni dell’artista siciliano.
Riportiamo, di seguito, alcuni tra i più significativi commenti.
L’onorevole Dario Lupi, segretario di Stato al ministero dell’Educazione Nazionale, scrisse rivolgendosi ad ignis:

“Quello che io ho provato stando dinnanzi alle due teste da Lei costruite con i dati della Divina Proporzione, va oltre ogni mia possibilità di espressione: né potrebbe essere diversamente, da che alla perfezione rivelata non potrebbe mai corrispondere la imperfezione della parola umana. (…) soltanto strappando a Dio un segreto di Dio la creazione del prodigio era possibile: e forse gli uomini non appresero mai una verità più grande di quella da lei conquistata alla umanità”.

L’illustre archeologo Roberto Paribeni, direttore generale delle Antichità e belle Arti, affermò:

“egli [ignis, ndr] ha dato una prova concreta e non dubbia di aver trovato qualche cosa di molto nuovo: modellando con le risultanze matematiche del suo canone una testa di uomo ed una di donna le quali sono risultate quanto di più perfetto io conosca per armonia struttura e proporzione delle parti, tali da destare veramente in noi il senso della più profonda ammirazione per la sublime bellezza che il Creatore ha voluto nella creatura umana”.

Intriso di profonda poesia era, poi, il giudizio del Vate d’Italia, Gabriele D’Annunzio, il quale in una commossa lettera indirizzata a Musmeci così ebbe a scrivere:

“Mio caro «ignis», Sono qui dinanzi ai tuoi busti e non so in che modo esprimerti la suggestione e l’estasi che mi tengono immobile senza quasi cognizione del tempo. Mi sembra che essi esprimano qualcosa di definitivo, di assoluto, di immutabile. Mi sembra in una parola che non si possa andare più in là: come perfezione, come armonia, come musicalità (…)”.

E’ necessario menzionare, infine, i favorevolissimi giudizi di intellettuali della levatura di Massimo Bontempelli, Ardengo Soffici e Teresa Labriola, di archeologi come Giulio Quirino Giglioli, Bartolomeo Nogara e Vittorio Spinazzola, e di antropologi come Giuseppe Sergi e Sergio Sergi.
Il 2 aprile del 1927 Musmeci accolse nel suo studio la visita del Re d’Italia; non abbiamo una testimonianza diretta circa l’impressione che il monarca ricevette dalla visione delle statue create da ignis, ma, secondo fonti concordi, il sovrano rimase particolarmente colpito dalla bellezza delle opere. Occorre, inoltre, citare il lusinghiero giudizio del tenente colonnello Giovanni Messe, che accompagnò, in quella occasione, Vittorio Emanuele III, secondo il quale le sculture di Musmeci rappresentavano: “(…) mirabile opera che onora il genio italiano”.
Spinto dagli incoraggianti giudizi ottenuti, Musmeci decise di rendere pubblici i suoi studi. L’otto giugno del 1928 convocò giornalisti, scienziati e artisti nel suo atelier di via del Vantaggio, annunciando la clamorosa scoperta: a riprova delle sue affermazioni l’artista mostrò le due teste in gesso, il “Romo” e la “Venere delle Perle”, modellate sulla base del canone da lui individuato.
Durante la presentazione delle sculture ignis annunciò, inoltre, l’imminente pubblicazione di un voluminoso trattato, del quale stava ultimando la parte storica, che avrebbe illustrato i risultati delle sue indagini sulla Divina Proporzione (4). L’artista sperava, con tale saggio, di “poter essere presentato per concorrere al premio Nobel, ramo Medicina”.
Il clamore suscitato dalla notizia della raggiunta soluzione, da parte di ignis, del problema della Divina Proporzione, indusse il ministro dell’Educazione Nazionale, Piero Fedele, a nominare una commissione per vagliare la veridicità della scoperta. Il gruppo di esperti, composto da Giulio Aristide Sartorio, Giuseppe Favaro, Roberto Paribeni, Silvestro Baglioni e Angelo Zanelli, visionò, nel dicembre del 1927, le teste realizzate da Musmeci e ascoltò l’artista in merito alle sue tesi.
Sulle conclusioni a cui giunse la commissione aleggia un piccolo mistero: in una lettera del sottosegretario all’Educazione Nazionale, Emilio Bodrero, diretta a Musmeci, si informava l’artista che gli esperti, in assenza di un trattato che spiegasse la modalità attraverso la quale si era giunti alla creazione delle statue, non avevano voluto esprimere un giudizio definitivo. Quanto asserito da Bodrero contrastava palesemente con il commento, estremamente positivo, che tre dei cinque commissari avevano già comunicato verbalmente ad ignis.
Musmeci, allora, giunse ad ipotizzare che non vi fosse da parte del ministro, Pietro Fedele, la volontà di valorizzare la sua opera. In quel triste frangente riecheggiarono nella mente dell’artista le parole ascoltate qualche anno prima in un discorso di Benito Mussolini: “… accade sempre che ci sia una coalizione di viltà e di miserie per ferire le anime che si distinguono e si elevano sulla moltitudine”.
Le angustie economiche che lo attanagliarono negli ultimi anni della sua esistenza impedirono all’insigne studioso di portare a compimento e di pubblicare il voluminoso trattato sulla Divina Proporzione e di realizzare le progettate riproduzioni in bronzo delle sue statue.
Dopo anni di oblio, oggi le corruscanti opere dell’illustre artista siciliano sono tornate ad emanare i loro fulgidi bagliori di luce, testimonianza plastica del riemergere, nella prima metà del Novecento, delle forze della Tradizione Nostra Romana. Che questo sia di fausto e lieto augurio di una Renovatio Italica.


NOTE
(1) Il “casuale” rinvenimento dell’archivio privato di Roggero Musmeci, presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani, ha permesso di gettare nuova luce sulla vita e sull’opera di questo insigne artista di inizio Novecento. Devo la segnalazione dell’esistenza del Fondo Musmeci-ignis al prof. Mario Giannitrapani.
(2) Plutarco, Quaest. conv., VIII, 2.
(3) Solo un’attenta e approfondita analisi del Trattato della Divina Struttura potrà rivelare il significato di questa formula matematica individuata da Musmeci.
(4) Il manoscritto del Trattato della Divina Struttura, redatto da Musmeci, rinvenuto di recente presso la Biblioteca dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, è attualmente oggetto di studio.
«Il Foglio» del 10 maggio 2010

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