La legge che tenta di dare una democrazia alla Rete è cilena, ma il problema si pone anche in Italia e in America
di Maurizio Stefanini
Viene dal Cile la prima legge del mondo che tutela la neutralità della Rete. Un problema che anche in Italia è oggi in prima linea nel momento in cui Telefónica, azionista di Telecom Italia, propone apertamente di discriminare i consumi degli utenti. “L’attuale modello di business potrebbe presto raggiungere un punto di rottura, in cui le spese superano le entrate, e nessuno vuole arrivare a questo punto”, ha spiegato l’amministratore delegato Julio Linares. “Non c’è spazio infinito per i provider Internet né le reti dispongono di capacità infinita”. Con la banda passante sottratta dai servizi avanzati forniti da Google, YouTube e altri content provider, con il 5 per cento dell'utenza residenziale responsabile di circa il 75 per cento del traffico, l’idea è quella di tassare le società Web e segmentare ulteriormente le tariffe dei consumatori. Google questa idea non la gradisce affatto, e non intende pagare per poter continuare a offfrire i servizi che ne hanno fatta una star economica di prima grandezza. Riconosce però che il problema esiste, lo ha studiato assieme a Verizon, e ne è venuta una fuori una “proposta legislativa”, definita formalmente Verizon-Google Legislative Framework Proposal. Il concetto di neutralità resterebbe nella teoria ma verrebbe drasticamente ridimensionato nella pratica, attraverso sistemi di gestione avanzata del network che ad esempio prevedano bassa latenza per un giocatore multiplayer, un’adeguata banda in continuità a un fruitore di video, una banda minima garantita a un net-surfer, e così via.
Negli Stati Uniti la questione era venuta alla ribalta un paio di anni fa, quando la Federal Communications Commission (Fcc) era intervenuta contro il provider Comcast, diffidandolo dal continuare a penalizzare gli utenti di applicazioni P2P con restrizioni di banda che rallentavano le prestazioni della connessione. Comcast si era adattata, imponendo invece a tutti gli utenti un capacità di 250 gb. Ma aveva comunque fatto un ricorso che lo scorso aprile la Corte di Appello di Washington aveva accolto: annullando la diffida, e decidendo che la Fcc non avrebbe sufficiente autorità per intervenire sul tipo di gestione della rete attuata dai provider. Qualcuno aveva allora ritenuto che la novità avrebbe spinto il Congresso usa a legiferare in materia. E anche l’Unione Europea aveva iniziato a studiare il problema, mentre per conto sui la Finlandia lo aveva affrontato da un altro punto di vista, con il definire l’accesso alla banda larga un “diritto umano” protetto dalla Costituzione. Ma tutti sono stati infine battuti sul tempo dal Congresso cileno.
La legge cilena numero 20.453, entrata in vigore lo scorso 18 agosto, stabilisce infatti formalmente che tutti i consumatori e utenti di Internet devono essere trattati allo stesso modo. Obbligando dunque i provider a “non bloccare, interferire, discriminare, rallentare o restringere arbitrariamente il diritto di qualsiasi utente di Internet per utilizzare, inviare, ricevere o offrire qualsiasi contenuto, applicazione o servizio legale”. Inoltre saranno “obbligati a preservare la privacy degli utenti, la protezione contro virus e la sicurezza”. I contenuti potranno essere bloccati solo su espressa richiesta di un utente a sue spese, ma in nessun caso in forma “arbitraria”. L’utente avrebbe inoltre la libertà di usare qualsiasi strumento, dispositivo o apparato nella Rete: sempre purchè legali.
Negli Stati Uniti la questione era venuta alla ribalta un paio di anni fa, quando la Federal Communications Commission (Fcc) era intervenuta contro il provider Comcast, diffidandolo dal continuare a penalizzare gli utenti di applicazioni P2P con restrizioni di banda che rallentavano le prestazioni della connessione. Comcast si era adattata, imponendo invece a tutti gli utenti un capacità di 250 gb. Ma aveva comunque fatto un ricorso che lo scorso aprile la Corte di Appello di Washington aveva accolto: annullando la diffida, e decidendo che la Fcc non avrebbe sufficiente autorità per intervenire sul tipo di gestione della rete attuata dai provider. Qualcuno aveva allora ritenuto che la novità avrebbe spinto il Congresso usa a legiferare in materia. E anche l’Unione Europea aveva iniziato a studiare il problema, mentre per conto sui la Finlandia lo aveva affrontato da un altro punto di vista, con il definire l’accesso alla banda larga un “diritto umano” protetto dalla Costituzione. Ma tutti sono stati infine battuti sul tempo dal Congresso cileno.
La legge cilena numero 20.453, entrata in vigore lo scorso 18 agosto, stabilisce infatti formalmente che tutti i consumatori e utenti di Internet devono essere trattati allo stesso modo. Obbligando dunque i provider a “non bloccare, interferire, discriminare, rallentare o restringere arbitrariamente il diritto di qualsiasi utente di Internet per utilizzare, inviare, ricevere o offrire qualsiasi contenuto, applicazione o servizio legale”. Inoltre saranno “obbligati a preservare la privacy degli utenti, la protezione contro virus e la sicurezza”. I contenuti potranno essere bloccati solo su espressa richiesta di un utente a sue spese, ma in nessun caso in forma “arbitraria”. L’utente avrebbe inoltre la libertà di usare qualsiasi strumento, dispositivo o apparato nella Rete: sempre purchè legali.
«Il Foglio» del 3 settembre 2010
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