di Maria Luisa Colledani
La meritocrazia ha più di cinquant'anni, è uscita dalla penna dell'inglese Michael Young ma in Italia proprio non riesce ad essere di casa. «O meglio la troviamo sui muri delle grandi periferie: guardi questo murale, c'è scritto "Abbasso la meritocrazia"».
Roger Abravanel, guru della consulenza aziendale, una vita alla McKinsey, ha scritto Meritocrazia. Per rilanciare la società italiana, ma sente che oggi la percezione del merito è diversa. «Il valore emerge di rado nel nostro paese: la scuola non crea eccellenza, lo stato è un tappo e non c'è libero mercato, ma adesso vedo tanta sete di merito, i cittadini lo vogliono perché sanno che solo con le persone migliori al vertice ci sarà un paese migliore».
La strada da fare è infinita, i cervelli migliori continuano a scappare all'estero: «Se la scuola non funziona, non funziona la meritocrazia. In classe, come su una pista di atletica, i ragazzi devono imparare che si parte tutti dallo stesso punto». È una questione di regole: «Per questo ora ho scritto il nuovo libro Regole - dice Abravanel -. Le stesse per tutti e la gara può iniziare». Sui mercati internazionali, nelle scuole, nella vita quotidiana.
Prima delle regole di oggi, Abravanel nel volume del 2008 aveva fatto quattro proposte per risvegliare il paese dal torpore delle raccomandazioni e dei figli di papà: la costituzione di una delivery unit, sul modello di quella di Tony Blair per misurare i risultati sostanziali e non solo formali delle pubbliche amministrazioni; la creazione di un'Authority del merito sulle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali; una affermative action per portare le donne più capaci nei consigli d'amministrazione delle aziende; l'introduzione anche in Italia di un modello standard di test nazionali per creare l'eccellenza nel sistema scolastico.
«Perfino l'Uzbekistan ha test standard per valutare gli studenti: finalmente sono entrati nelle aule italiane». Solo se la scuola saprà insegnare la meritocrazia, la società italiana cambierà: «Un docente di matematica deve insegnare a fare di conto - conclude Abravanel - ma soprattutto deve dare strumenti per non avere paura dei numeri, per risolvere problemi reali, concreti perché c'è una reale correlazione fra un test superato con profitto a undici anni e il reddito percepito a 33».
Roger Abravanel, guru della consulenza aziendale, una vita alla McKinsey, ha scritto Meritocrazia. Per rilanciare la società italiana, ma sente che oggi la percezione del merito è diversa. «Il valore emerge di rado nel nostro paese: la scuola non crea eccellenza, lo stato è un tappo e non c'è libero mercato, ma adesso vedo tanta sete di merito, i cittadini lo vogliono perché sanno che solo con le persone migliori al vertice ci sarà un paese migliore».
La strada da fare è infinita, i cervelli migliori continuano a scappare all'estero: «Se la scuola non funziona, non funziona la meritocrazia. In classe, come su una pista di atletica, i ragazzi devono imparare che si parte tutti dallo stesso punto». È una questione di regole: «Per questo ora ho scritto il nuovo libro Regole - dice Abravanel -. Le stesse per tutti e la gara può iniziare». Sui mercati internazionali, nelle scuole, nella vita quotidiana.
Prima delle regole di oggi, Abravanel nel volume del 2008 aveva fatto quattro proposte per risvegliare il paese dal torpore delle raccomandazioni e dei figli di papà: la costituzione di una delivery unit, sul modello di quella di Tony Blair per misurare i risultati sostanziali e non solo formali delle pubbliche amministrazioni; la creazione di un'Authority del merito sulle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali; una affermative action per portare le donne più capaci nei consigli d'amministrazione delle aziende; l'introduzione anche in Italia di un modello standard di test nazionali per creare l'eccellenza nel sistema scolastico.
«Perfino l'Uzbekistan ha test standard per valutare gli studenti: finalmente sono entrati nelle aule italiane». Solo se la scuola saprà insegnare la meritocrazia, la società italiana cambierà: «Un docente di matematica deve insegnare a fare di conto - conclude Abravanel - ma soprattutto deve dare strumenti per non avere paura dei numeri, per risolvere problemi reali, concreti perché c'è una reale correlazione fra un test superato con profitto a undici anni e il reddito percepito a 33».
«Il Sole 24 Ore» del 3 settembre 2010
Nessun commento:
Posta un commento