di Stefano Zecchi
Secondo l’Ocse, si spende poco per la scuola, e quel poco lo si spende male, prevalentemente per pagare gli stipendi del personale. I sindacati hanno creato una scuola-fabbrica: bisogna tornare a investire sugli insegnanti che meritano.
Si spende poco per la scuola, e quel poco lo si spende male, cioè, prevalentemente per pagare gli stipendi del personale docente e non docente. La domanda semplice che si pone la gente, pensando che all’inizio della prossima settimana i figli andranno a scuola, ricordando i disagi dell’anno passato, vedendo gli insegnanti cosiddetti precari che fanno lo sciopero della fame, accorgendosi colle statistiche alla mano che la scuola pubblica è tutt’altro che eccelsa... insomma, la domanda è: perché questo marasma? Verrebbe voglia di dare la colpa a un destino cinico e baro che ha colpito la nostra scuola, ma purtroppo non è così. Le responsabilità hanno nomi, cognomi e, se vogliamo, anche indirizzi. Chi sono i nostri docenti per cui si spende una percentuale molto alta delle risorse riservate alla scuola e tuttavia hanno stipendi da fame? Alcuni, pochi, sono bravi e hanno la vocazione all’insegnamento, gli altri sono nella scuola per tirare a campare, non avendo trovato nulla di meglio da fare pur avendo una laurea in tasca. La loro professione risulta così drammaticamente dequalificata sia economicamente, sia dal punto di vista del suo apprezzamento sociale. Poi ci sono i cosiddetti precari. Tra loro, alcuni non hanno passato neppure un concorso, anche se questi ormai hanno scadenze decennali, altri non sono rientrati nelle clausole di leggine salva-posto, altri hanno soltanto la colpa di essere giovani e di avere sperato in una scuola che pensa più ai docenti che agli studenti e credono, insieme ai colleghi che non hanno passato il concorso o non hanno trovato una leggina fatta su misura per i loro problemi, che la scuola debba essere uno stipendificio. Allora, non si dà la colpa al destino cinico e baro ma ai tagli finanziari di Tremonti, che hanno tolto lo stipendio a molti insegnanti lasciandoli a casa. È vero, ma i docenti erano troppi e inutili prima dei tagli come sono troppi e inutili adesso. Il problema non è la riduzione della spesa per la scuola, ma chi ha voluto e costruito nel tempo l’attuale dissennata massificazione della figura del docente che ha provocato, nell’ordine, la dequalificazione della professione dell’insegnante, l’abbassamento del suo stipendio rispetto agli standard degli anni Sessanta, la crisi della scuola pubblica, l’irrazionalità della distribuzione delle risorse destinate all’insegnamento. Chi ha incominciato a insegnare una quarantina di anni fa si ricorderà che nella scuola non erano presenti i grandi sindacati, in particolare la Cgil che oggi la fa da leone: c’erano soltanto piccole realtà sindacali corporative. E bisogna ricordare che, nel partito comunista, durante la prima metà degli anni Settanta, si discusse a lungo sull’opportunità che la Cgil entrasse nella scuola: una parte del partito era contraria perché considerava il docente una figura di intellettuale come gli altri, da reclutare nell’area comunista attraverso l’idea gramsciana di egemonia. Prevalse invece quella corrente del Pci che, sensibile alle tesi sessantottesche, favorì l’ingresso della Cgil nel mondo dell’istruzione per costruire la scuola di massa, l’insegnante contiguo alla classe operaia e lo studente lavoratore. Queste idee, applicate con meticolosità sindacale, hanno gettato alle ortiche il merito per esaltare un’ideologica uguaglianza che ha di fatto favorito un indiscriminato reclutamento dei docenti, affidando alla contrattazione sindacale il numero delle assunzioni e la stabilizzazione del personale. Un delirio che ha equiparato la scuola alla fabbrica, che ha ritenuto equivalente stringere un bullone e insegnare l’italiano, che ha messo sullo stesso piano costruire una macchina e formare un giovane. Liberarsi oggi da quest’idea di scuola è un imperativo morale prima ancora che economico; e non si dimentichi che i docenti che oggi scioperano sono le povere vittime della demagogia e del cinismo di chi ha voluto la scuola-fabbrica, l’insegnante-massa, lo studente-lavoratore e altre amenità figlie della miopia politica e sindacale.
Si spende poco per la scuola, e quel poco lo si spende male, cioè, prevalentemente per pagare gli stipendi del personale docente e non docente. La domanda semplice che si pone la gente, pensando che all’inizio della prossima settimana i figli andranno a scuola, ricordando i disagi dell’anno passato, vedendo gli insegnanti cosiddetti precari che fanno lo sciopero della fame, accorgendosi colle statistiche alla mano che la scuola pubblica è tutt’altro che eccelsa... insomma, la domanda è: perché questo marasma? Verrebbe voglia di dare la colpa a un destino cinico e baro che ha colpito la nostra scuola, ma purtroppo non è così. Le responsabilità hanno nomi, cognomi e, se vogliamo, anche indirizzi. Chi sono i nostri docenti per cui si spende una percentuale molto alta delle risorse riservate alla scuola e tuttavia hanno stipendi da fame? Alcuni, pochi, sono bravi e hanno la vocazione all’insegnamento, gli altri sono nella scuola per tirare a campare, non avendo trovato nulla di meglio da fare pur avendo una laurea in tasca. La loro professione risulta così drammaticamente dequalificata sia economicamente, sia dal punto di vista del suo apprezzamento sociale. Poi ci sono i cosiddetti precari. Tra loro, alcuni non hanno passato neppure un concorso, anche se questi ormai hanno scadenze decennali, altri non sono rientrati nelle clausole di leggine salva-posto, altri hanno soltanto la colpa di essere giovani e di avere sperato in una scuola che pensa più ai docenti che agli studenti e credono, insieme ai colleghi che non hanno passato il concorso o non hanno trovato una leggina fatta su misura per i loro problemi, che la scuola debba essere uno stipendificio. Allora, non si dà la colpa al destino cinico e baro ma ai tagli finanziari di Tremonti, che hanno tolto lo stipendio a molti insegnanti lasciandoli a casa. È vero, ma i docenti erano troppi e inutili prima dei tagli come sono troppi e inutili adesso. Il problema non è la riduzione della spesa per la scuola, ma chi ha voluto e costruito nel tempo l’attuale dissennata massificazione della figura del docente che ha provocato, nell’ordine, la dequalificazione della professione dell’insegnante, l’abbassamento del suo stipendio rispetto agli standard degli anni Sessanta, la crisi della scuola pubblica, l’irrazionalità della distribuzione delle risorse destinate all’insegnamento. Chi ha incominciato a insegnare una quarantina di anni fa si ricorderà che nella scuola non erano presenti i grandi sindacati, in particolare la Cgil che oggi la fa da leone: c’erano soltanto piccole realtà sindacali corporative. E bisogna ricordare che, nel partito comunista, durante la prima metà degli anni Settanta, si discusse a lungo sull’opportunità che la Cgil entrasse nella scuola: una parte del partito era contraria perché considerava il docente una figura di intellettuale come gli altri, da reclutare nell’area comunista attraverso l’idea gramsciana di egemonia. Prevalse invece quella corrente del Pci che, sensibile alle tesi sessantottesche, favorì l’ingresso della Cgil nel mondo dell’istruzione per costruire la scuola di massa, l’insegnante contiguo alla classe operaia e lo studente lavoratore. Queste idee, applicate con meticolosità sindacale, hanno gettato alle ortiche il merito per esaltare un’ideologica uguaglianza che ha di fatto favorito un indiscriminato reclutamento dei docenti, affidando alla contrattazione sindacale il numero delle assunzioni e la stabilizzazione del personale. Un delirio che ha equiparato la scuola alla fabbrica, che ha ritenuto equivalente stringere un bullone e insegnare l’italiano, che ha messo sullo stesso piano costruire una macchina e formare un giovane. Liberarsi oggi da quest’idea di scuola è un imperativo morale prima ancora che economico; e non si dimentichi che i docenti che oggi scioperano sono le povere vittime della demagogia e del cinismo di chi ha voluto la scuola-fabbrica, l’insegnante-massa, lo studente-lavoratore e altre amenità figlie della miopia politica e sindacale.
«Il Giornale» dell'8 settembre 2010
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