I successi (premiati) nella ricerca sulle staminali adulte
di Assuntina Morresi
Il principio su cui si è basata la scoperta dello scienziato giapponese Shinya Yamanaka – la possibilità cioè di far 'tornare indietro' cellule adulte fino a uno stadio molto simile a quello embrionale – è stato scoperto grazie a uno studio nel quale si utilizzarono cellule adulte insieme a embrionali, ma solo di topo. Il suo lavoro sulla 'riprogrammazione cellulare' fu pubblicato nel 2006. Subito dopo, nel 2007, furono resi noti i risultati ottenuti sull’uomo. Uscirono in contemporanea due pubblicazioni: una sempre del team di Yamanaka, l’altra a firma dello scienziato americano James Thomson, allora molto più noto del collega giapponese perché nel 1998 era riuscito a ottenere la prima linea cellulare staminale tratta da embrioni umani.
Ma il prestigioso Premio Balzan per la biologia, così come molti altri importanti riconoscimenti internazionali che gli sono stati conferiti per questa scoperta straordinaria, è stato assegnato al solo Yamanaka, perché suo è stato l’esperimento originale. In altre parole: nonostante gli anni passati dall’équipe di Thomson a manipolare embrioni umani, il segreto della riprogrammazione è stato svelato da un gruppo diverso, grazie a una ricerca su altri embrioni: quelle di topo.
E questo è un primo fatto.
Una seconda certezza è che molti scienziati del settore, come Ian Wilmut – il creatore della pecora clonata Dolly –, si sono affrettatati ad abbandonare la vecchia strada della cosiddetta 'clonazione terapeutica' per puntare sulla riprogrammazione cellulare: hanno quindi riconosciuto che il sentiero indicato da Yamanaka era il più generosa di prospettive. La comunità scientifica internazionale si è velocemente dedicata alle Ips, le cellule 'ringiovanite': chi ha interesse vero alla ricerca scientifica ne segue le strade che via via si presentano più promettenti. Il resto è ideologia.
Il terzo fatto certo è che il tentativo di ottenere staminali 'su misura' creando embrioni umani per clonazione è fallito: non esiste al mondo un’unica cellula staminale embrionale umana clonata.
Per quale motivo gli scienziati dovrebbero insistere nel percorrere una strada che ha assorbito investimenti pazzeschi e che non è riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati?
Cos’hanno prodotto liberissime e finanziatissime ricerche come quella coreana, ad esempio, oltre alla più grande frode scientifica del secolo, la della falsa clonazione a opera del veterinario Hwang Woo Suk?
Essere riusciti a ottenere cellule staminali senza dover distruggere embrioni umani significa aver eliminato un elemento fortemente divisivo non solo nella comunità scientifica ma anche nella società in generale, e dovrebbe essere per tutti un evento da celebrare, come giustamente ha fatto la Fondazione Balzan con il suo premio a Yamanaka.
Chi continua a insistere sull’importanza di linee di ricerca superate – sempre ricordando che nessuno può dimostrarne la necessità – forse non è veramente interessato a raggiungere l’obiettivo finale, e cioè aprire un passaggio decisivo per quella medicina rigenerativa che tanto fa sperare. Forse vuole difendere a priori una ben precisa modalità di ricerca: quella che, creando e distruggendo embrioni umani in laboratorio, pare più interessata ad acquisire un potere, un’autonomia e una libertà – economici e politici – tali da far passare del tutto in secondo piano il risultato finale.
Ma il prestigioso Premio Balzan per la biologia, così come molti altri importanti riconoscimenti internazionali che gli sono stati conferiti per questa scoperta straordinaria, è stato assegnato al solo Yamanaka, perché suo è stato l’esperimento originale. In altre parole: nonostante gli anni passati dall’équipe di Thomson a manipolare embrioni umani, il segreto della riprogrammazione è stato svelato da un gruppo diverso, grazie a una ricerca su altri embrioni: quelle di topo.
E questo è un primo fatto.
Una seconda certezza è che molti scienziati del settore, come Ian Wilmut – il creatore della pecora clonata Dolly –, si sono affrettatati ad abbandonare la vecchia strada della cosiddetta 'clonazione terapeutica' per puntare sulla riprogrammazione cellulare: hanno quindi riconosciuto che il sentiero indicato da Yamanaka era il più generosa di prospettive. La comunità scientifica internazionale si è velocemente dedicata alle Ips, le cellule 'ringiovanite': chi ha interesse vero alla ricerca scientifica ne segue le strade che via via si presentano più promettenti. Il resto è ideologia.
Il terzo fatto certo è che il tentativo di ottenere staminali 'su misura' creando embrioni umani per clonazione è fallito: non esiste al mondo un’unica cellula staminale embrionale umana clonata.
Per quale motivo gli scienziati dovrebbero insistere nel percorrere una strada che ha assorbito investimenti pazzeschi e che non è riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati?
Cos’hanno prodotto liberissime e finanziatissime ricerche come quella coreana, ad esempio, oltre alla più grande frode scientifica del secolo, la della falsa clonazione a opera del veterinario Hwang Woo Suk?
Essere riusciti a ottenere cellule staminali senza dover distruggere embrioni umani significa aver eliminato un elemento fortemente divisivo non solo nella comunità scientifica ma anche nella società in generale, e dovrebbe essere per tutti un evento da celebrare, come giustamente ha fatto la Fondazione Balzan con il suo premio a Yamanaka.
Chi continua a insistere sull’importanza di linee di ricerca superate – sempre ricordando che nessuno può dimostrarne la necessità – forse non è veramente interessato a raggiungere l’obiettivo finale, e cioè aprire un passaggio decisivo per quella medicina rigenerativa che tanto fa sperare. Forse vuole difendere a priori una ben precisa modalità di ricerca: quella che, creando e distruggendo embrioni umani in laboratorio, pare più interessata ad acquisire un potere, un’autonomia e una libertà – economici e politici – tali da far passare del tutto in secondo piano il risultato finale.
«Avvenire» dell'8 settembre 2010
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