La questione rimbalza dall’America
di Alfonso Berardinelli
Ogni argomento e problema ha la sua stagione, che all’improvviso arriva e all’improvviso passa. Ora sembra di nuovo il momento degli intellettuali. Da un lato all’altro dell’Atlantico ci si chiede: 1) a che servono gli intellettuali (dagli Usa mi arriva George Scialabba, What are intellectuals good for?); 2) perché sono così conformisti e fanno sempre le scelte politiche sbagliate (lo dice Pierluigi Battista; 3) perché sono in declino, anzi sono spariti, o non meritano di esistere. Il primo punto fermo è che gli intellettuali fanno l’impressione di esserci soprattutto quando parlano di se stessi, quando si assegnano un ruolo, si autoaccusano o si dichiarano estinti. Il secondo punto è che il discorso ricomincia sempre dal rapporto con la politica: cosa fanno gli intellettuali per risolvere i problemi politici? Perché non denunciano e combattono i mali del mondo e gli abusi di potere? Perché non spiegano ai cittadini cosa fare? Perché non influenzano l’opinione pubblica e l’azione dei partiti?
Questi interrogativi richiedono risposte pratiche. A ogni «perché?» dovrebbe seguire un «come?» Ma gli intellettuali raramente hanno idee facili da usare. Se poi si danno alla politica, sognano di comandare e superare l’«impotenza » del pensiero (il cui potere è imponderabile) allora si mettono nelle mani di chi davvero comanda, e che mai e poi mai farà quello che un intellettuale dice.
Secondo alcuni, gli intellettuali sono una categoria. Ma se è così hanno interessi corporativi, ragionano in gruppo, in massa, in schiera e loro stessi non sanno più cosa pensano veramente, perché hanno paura di restare soli con le loro opinioni. Secondo altri, gli intellettuali funzionano invece come individui: devono affidarsi alla loro mania di prendere sul serio quello che gli viene in mente. In questo modo potranno fare «politica della conoscenza » fuori dalla politica dei partiti: avranno un’utilità pubblica solo dicendo qualche verità ignorata e senza secondi fini.
Questi interrogativi richiedono risposte pratiche. A ogni «perché?» dovrebbe seguire un «come?» Ma gli intellettuali raramente hanno idee facili da usare. Se poi si danno alla politica, sognano di comandare e superare l’«impotenza » del pensiero (il cui potere è imponderabile) allora si mettono nelle mani di chi davvero comanda, e che mai e poi mai farà quello che un intellettuale dice.
Secondo alcuni, gli intellettuali sono una categoria. Ma se è così hanno interessi corporativi, ragionano in gruppo, in massa, in schiera e loro stessi non sanno più cosa pensano veramente, perché hanno paura di restare soli con le loro opinioni. Secondo altri, gli intellettuali funzionano invece come individui: devono affidarsi alla loro mania di prendere sul serio quello che gli viene in mente. In questo modo potranno fare «politica della conoscenza » fuori dalla politica dei partiti: avranno un’utilità pubblica solo dicendo qualche verità ignorata e senza secondi fini.
«Avvenire» del 20 marzo 2010
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