Francesco Agnoli
Si è visto nelle puntate precedenti come il comunismo abbia rappresentato nella storia il più compiuto tentativo di costruire una società senza Dio, anzi contro di Lui. Con un fallimento totale. Non si può dimenticare che proprio il mondo cattolico, che avrebbe dovuto costituire un argine all’ateismo comunista, è stato ed è tuttora fortemente contaminato da tale ideologia. Pigi Colognesi, nel suo “Russia cristiana” (san Paolo), ricorda che all’epoca del Concilio Vaticano II il Pcus è interessato a dare di sé un’immagine positiva per “assecondare e consolidare le prime timide aperture a sinistra che si stanno manifestando in campo cattolico” dopo la morte di Pio XII. Di fronte a questa tattica machiavellica padre Romano Scalfi, sacerdote trentino e fondatore di “Russia Cristiana”, comprende bene che la mentalità marxista sta penetrando anche all’interno della chiesa e che il cavallo di Troia è un “ecumenismo rarefatto e disincarnato” che vorrebbe persino tacere la verità sulle persecuzione religiose in Unione Sovietica per giovare, più che al dialogo con gli ortodossi, a quello col regime comunista. La tendenza di questi anni in certo mondo cattolico diventa quella di “minimizzare la componente atea del comunismo sovietico”. Sembra che molti cattolici si vergognino del fatto che il cristianesimo non ha eliminato il male dal mondo, e rimangano ammirati dal sogno utopico del comunismo, disposti a perdonargli “qualche incidente di percorso”. Ma come si realizza la contaminazione tra comunismo ateo e cattolicesimo? Avviene che molti cattolici, presi nel vortice delle soluzioni mondane, ritengono di poter battezzare il divorzio tra Dio e l’uomo, tra la sua legge e la società umana, tra Cristo e la storia.
Sembra che l’idea di una salvezza che l’uomo si procura da solo sia compatibile con l’idea, antitetica, di un Salvatore che viene incontro all’uomo che lo cerca. Eppure già Dostoevskij aveva capito che i “demoni” rivoluzionari “pensano di organizzarsi secondo giustizia, ma avendo respinto Cristo, finiranno con l’inondare il mondo di sangue”. L’umanesimo ateo diventa così il punto di incontro tra cattocomunisti e comunisti, in nome dell’uomo, misura di tutte le cose, a cui è stato tolto, per grazia ricevuta, il peccato originale. “La dottrina che l’uomo è un peccatore connaturato – scriveva il comunista V.I. Prokof’ev – giustifica il fatto dell’ingiustizia e del male, perché indica la loro causa non nell’ordinamento sociale, ma nell’imperfezione della natura umana”. Così mentre i comunisti si affannano a spiegare che l’uomo, naturalmente buono, creerà il paradiso egualitario sulla terra, molti cristiani, abbagliati da cotanta promessa, dimenticano “l’imperfezione della natura umana”, e il peccato personale, e si buttano nel tentativo di ribaltare d’un colpo, se possibile, l’“ordinamento sociale”, eliminando per sempre il “mistero d’iniquità”. Lo sguardo si abbassa da Cristo all’uomo, cadendo nella maledizione biblica: “maledetto l’uomo che confida (solo) nell’uomo”. L’esperienza di Russia Cristiana Pigi Colognesi ricorda come in mezzo a tanta confusione i membri di Russia Cristiana abbiano invece molto chiara l’idea di Cristo Salvatore. Per questo, in armonia con i fedeli russi perseguitati, mantengono viva la liturgia bizantina slava, mentre, riguardo agli esiti della riforma liturgica post Concilio, ne criticano le “traduzioni volgari, i brutti testi, e in sostanza, la perdita della sacralità”. Secondo Bruno Negri, per tanti anni diacono di padre Scalfi “in occidente ci siamo abituati all’abuso di chi mette in primo piano innovazioni o parole proprie, per cui il fedele ha più a che fare con quello che pensa o dice il prete, piuttosto che con il mistero che il prete stesso deve servire. Nella liturgia bizantina (come nella liturgia latina, ndr) tutto questo non è possibile: priorità assoluta va all’oggettività del gesto, delle parole fissate, dei movimenti sempre uguali. Nessuno spazio per le invenzioni umane, per quelle che Scalfi chiama ‘le fantasiose intromissioni clericali’”. Umanesimo ateo, dimenticanza della natura decaduta dell’uomo, preponderanza totale conferita alla dimensione sociale e politica della fede, insieme alla orizzontalità della nuova liturgia, rafforzano nel mondo cattolico l’equivoco catto-comunista, con una ricaduta immediata sulle priorità pratiche della vita cristiana. Il cristiano “contaminato”, infatti, non ha presente altro che il peccato sociale, l’ingiustizia del sistema, le “colpe” della società. Finisce così per cadere nello stesso astrattismo dei comunisti, cioè di coloro che, per dirla con Donoso Cortés, “affermano la solidarietà umana” ma “negano quella familiare”; predicano il rispetto per i lontani, ma hanno continuo bisogno del “nemico”, interno o esterno e dimenticano il prossimo più prossimo (ad esempio il figlio nell’ utero materno). A costoro Cortes chiederebbe: voi che negate, o dimenticate, un Padre comune, “da dove arguite che gli uomini sono tra loro solidali, fratelli, uguali e liberi?”. E Dostoevskij farebbe aggiungere a uno dei suoi bolscevichi senza Cristo ante litteram: “In astratto si può ancora amare il prossimo e talvolta anche da lontano,
ma da vicino quasi mai”.
Sembra che l’idea di una salvezza che l’uomo si procura da solo sia compatibile con l’idea, antitetica, di un Salvatore che viene incontro all’uomo che lo cerca. Eppure già Dostoevskij aveva capito che i “demoni” rivoluzionari “pensano di organizzarsi secondo giustizia, ma avendo respinto Cristo, finiranno con l’inondare il mondo di sangue”. L’umanesimo ateo diventa così il punto di incontro tra cattocomunisti e comunisti, in nome dell’uomo, misura di tutte le cose, a cui è stato tolto, per grazia ricevuta, il peccato originale. “La dottrina che l’uomo è un peccatore connaturato – scriveva il comunista V.I. Prokof’ev – giustifica il fatto dell’ingiustizia e del male, perché indica la loro causa non nell’ordinamento sociale, ma nell’imperfezione della natura umana”. Così mentre i comunisti si affannano a spiegare che l’uomo, naturalmente buono, creerà il paradiso egualitario sulla terra, molti cristiani, abbagliati da cotanta promessa, dimenticano “l’imperfezione della natura umana”, e il peccato personale, e si buttano nel tentativo di ribaltare d’un colpo, se possibile, l’“ordinamento sociale”, eliminando per sempre il “mistero d’iniquità”. Lo sguardo si abbassa da Cristo all’uomo, cadendo nella maledizione biblica: “maledetto l’uomo che confida (solo) nell’uomo”. L’esperienza di Russia Cristiana Pigi Colognesi ricorda come in mezzo a tanta confusione i membri di Russia Cristiana abbiano invece molto chiara l’idea di Cristo Salvatore. Per questo, in armonia con i fedeli russi perseguitati, mantengono viva la liturgia bizantina slava, mentre, riguardo agli esiti della riforma liturgica post Concilio, ne criticano le “traduzioni volgari, i brutti testi, e in sostanza, la perdita della sacralità”. Secondo Bruno Negri, per tanti anni diacono di padre Scalfi “in occidente ci siamo abituati all’abuso di chi mette in primo piano innovazioni o parole proprie, per cui il fedele ha più a che fare con quello che pensa o dice il prete, piuttosto che con il mistero che il prete stesso deve servire. Nella liturgia bizantina (come nella liturgia latina, ndr) tutto questo non è possibile: priorità assoluta va all’oggettività del gesto, delle parole fissate, dei movimenti sempre uguali. Nessuno spazio per le invenzioni umane, per quelle che Scalfi chiama ‘le fantasiose intromissioni clericali’”. Umanesimo ateo, dimenticanza della natura decaduta dell’uomo, preponderanza totale conferita alla dimensione sociale e politica della fede, insieme alla orizzontalità della nuova liturgia, rafforzano nel mondo cattolico l’equivoco catto-comunista, con una ricaduta immediata sulle priorità pratiche della vita cristiana. Il cristiano “contaminato”, infatti, non ha presente altro che il peccato sociale, l’ingiustizia del sistema, le “colpe” della società. Finisce così per cadere nello stesso astrattismo dei comunisti, cioè di coloro che, per dirla con Donoso Cortés, “affermano la solidarietà umana” ma “negano quella familiare”; predicano il rispetto per i lontani, ma hanno continuo bisogno del “nemico”, interno o esterno e dimenticano il prossimo più prossimo (ad esempio il figlio nell’ utero materno). A costoro Cortes chiederebbe: voi che negate, o dimenticate, un Padre comune, “da dove arguite che gli uomini sono tra loro solidali, fratelli, uguali e liberi?”. E Dostoevskij farebbe aggiungere a uno dei suoi bolscevichi senza Cristo ante litteram: “In astratto si può ancora amare il prossimo e talvolta anche da lontano,
ma da vicino quasi mai”.
«Il Foglio» del 18 marzo 2010
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