Polemiche per un finto reality su France 2
di A. M. M.
Christophe Nick è un autore di documentari molto noto. Con il filmato che verrà diffuso su France 2, rete pubblica, domani sera in prime time, ha voluto riflettere sugli effetti della tv sul comportamento delle persone (ne ha fatto anche un libro). Christophe Nick era rimasto traumatizzato da reality show tipo L'anello debole, che ricorrono all'umiliazione dei partecipanti. Così ha voluto riprodurre sullo schermo la celebre esperienza del ricercatore statunitense Stanley Milgram, che nel '63 aveva voluto analizzare i meccanismi che spingono un individuo ad obbedire, anche a ordini orribili, in contraddizione con i principi morali più comuni, per capire come era stato possibile che la grande maggioranza dei tedeschi avesse aderito al nazismo.
Il documentario intitolato Il Gioco della morte, risulta quindi essere un finto reality. Ma i partecipanti - un'ottantina di persone - non lo sanno. È un gioco a coppie, dove il partecipante-cavia, ignaro che si tratti di una finzione, deve dare una scarica elettrica progressiva, che può arrivare fino a 460 volts, al suo compagno nel caso in cui quest'ultimo sbagli la risposta. Ovviamente le scariche non sono vere, le «vittime» in realtà sono attori. Ma questo i «concorrenti» non lo sanno. Risultato: 65 sugli 80 partecipanti obbediscono alla presentatrice e al pubblico che li incita a «punire» il colpevole della risposta sbagliata e arrivano a scaricare sul malcapitato fino a 460 volts, cioè ad avvicinarsi a un assassino. Tutti i concorrenti sono stati selezionati nel 2009; con una sorta di inganno era stato detto loro che avrebbero preso parte a un gioco televisivo, La Zona Xtrema. Il documentario Il Gioco della morte presenta non solo le sequenze del gioco sadico, ma anche analisi di psicologi e testimonianze dei partecipanti, subito dopo che l'inganno viene rivelato loro.
È un documentario che fa discutere e genera inquietudine, tanto che il mensile Philosophie Magazine si interroga: «la televisione rende cattivi?». Christophe Nick è convinto che la tv oggi contribuisca a fabbricare degli individui estremamente manipolabili, sui quali lo schermo esercita un'autorità morale superiore a quella dei valori che si pensa siano comunemente condivisi. Per fare questo documentario ci sono voluti tre anni di lavoro e 2,5 milioni di euro. Cosa insegna? «È molto difficile uscire da un contesto - spiega il regista - saper dire di no non si improvvisa: nessuno nasce resistente o obbediente dalla nascita». Secondo Jean-Louis Beauvois, psicologo sociale che ha collaborato al documentario, «l'esperienza di Milgram e la nostra dimostrano che le persone normali possono fare delle cose immonde in situazioni particolari». Lo scopo del documentario è spingere gli spettatori a riflettere sulla questione generale dell'obbedienza. Ma in molti ne criticano la fondatezza.
Secondo Dominique Wolton, specialista di media, «il gioco non può essere paragonato all'esperienza di Milgram, per svariate ragioni: il contesto storico è radicalmente diverso, il ruolo svolto dall'animatrice è radicalmente diverso da quello dello scienziato. Avvicinare questo gioco al protocollo inventato dallo psicologo statunitense e dedurne che la facoltà di sottomissione sia aumentata dagli anni '60 è impossibile». Ma per il filosofo Yves Michaud, il documentario mostra come le «trasmissioni di reality non facciano che riflettere i rapporti di dominazione che esistono nel resto della società» Un partecipante, conducente di metropolitana, spiega: «Io ho l'abitudine di obbedire. Quando si pilota un aereo o un treno non bisogna farsi troppe domande, bisogna applicare la procedura, anche se sappiamo che è cattiva. Mi hanno detto: fa così, e quelli che me lo hanno detto sanno quello che fanno. Io, lo faccio. Certo, sapevo bene che il mio partner doveva bruciare, là dentro. Ma non era un problema mio». Un'archivista, tra i pochi ad aver disobbedito, dice: «mi preoccupavo per il candidato, ma al tempo stesso temevo di danneggiare il film. Vengo da un ex paese comunista, la Romania. Per fortuna, Tania ha detto all'inizio: siete voi i padroni del gioco. Mi sono detta: è in ballo una vita umana. Ma se sono io padrona del gioco, smetto. In Romania, non siamo mai stati padroni del gioco».
Il documentario intitolato Il Gioco della morte, risulta quindi essere un finto reality. Ma i partecipanti - un'ottantina di persone - non lo sanno. È un gioco a coppie, dove il partecipante-cavia, ignaro che si tratti di una finzione, deve dare una scarica elettrica progressiva, che può arrivare fino a 460 volts, al suo compagno nel caso in cui quest'ultimo sbagli la risposta. Ovviamente le scariche non sono vere, le «vittime» in realtà sono attori. Ma questo i «concorrenti» non lo sanno. Risultato: 65 sugli 80 partecipanti obbediscono alla presentatrice e al pubblico che li incita a «punire» il colpevole della risposta sbagliata e arrivano a scaricare sul malcapitato fino a 460 volts, cioè ad avvicinarsi a un assassino. Tutti i concorrenti sono stati selezionati nel 2009; con una sorta di inganno era stato detto loro che avrebbero preso parte a un gioco televisivo, La Zona Xtrema. Il documentario Il Gioco della morte presenta non solo le sequenze del gioco sadico, ma anche analisi di psicologi e testimonianze dei partecipanti, subito dopo che l'inganno viene rivelato loro.
È un documentario che fa discutere e genera inquietudine, tanto che il mensile Philosophie Magazine si interroga: «la televisione rende cattivi?». Christophe Nick è convinto che la tv oggi contribuisca a fabbricare degli individui estremamente manipolabili, sui quali lo schermo esercita un'autorità morale superiore a quella dei valori che si pensa siano comunemente condivisi. Per fare questo documentario ci sono voluti tre anni di lavoro e 2,5 milioni di euro. Cosa insegna? «È molto difficile uscire da un contesto - spiega il regista - saper dire di no non si improvvisa: nessuno nasce resistente o obbediente dalla nascita». Secondo Jean-Louis Beauvois, psicologo sociale che ha collaborato al documentario, «l'esperienza di Milgram e la nostra dimostrano che le persone normali possono fare delle cose immonde in situazioni particolari». Lo scopo del documentario è spingere gli spettatori a riflettere sulla questione generale dell'obbedienza. Ma in molti ne criticano la fondatezza.
Secondo Dominique Wolton, specialista di media, «il gioco non può essere paragonato all'esperienza di Milgram, per svariate ragioni: il contesto storico è radicalmente diverso, il ruolo svolto dall'animatrice è radicalmente diverso da quello dello scienziato. Avvicinare questo gioco al protocollo inventato dallo psicologo statunitense e dedurne che la facoltà di sottomissione sia aumentata dagli anni '60 è impossibile». Ma per il filosofo Yves Michaud, il documentario mostra come le «trasmissioni di reality non facciano che riflettere i rapporti di dominazione che esistono nel resto della società» Un partecipante, conducente di metropolitana, spiega: «Io ho l'abitudine di obbedire. Quando si pilota un aereo o un treno non bisogna farsi troppe domande, bisogna applicare la procedura, anche se sappiamo che è cattiva. Mi hanno detto: fa così, e quelli che me lo hanno detto sanno quello che fanno. Io, lo faccio. Certo, sapevo bene che il mio partner doveva bruciare, là dentro. Ma non era un problema mio». Un'archivista, tra i pochi ad aver disobbedito, dice: «mi preoccupavo per il candidato, ma al tempo stesso temevo di danneggiare il film. Vengo da un ex paese comunista, la Romania. Per fortuna, Tania ha detto all'inizio: siete voi i padroni del gioco. Mi sono detta: è in ballo una vita umana. Ma se sono io padrona del gioco, smetto. In Romania, non siamo mai stati padroni del gioco».
«Il Manifesto» del 16 marzo 2010
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