Nella loro lettera al 'Corriere della Sera' contro Galli della Loggia, Bondi, La Russa e Verdini mostrano nei loro geni memorie di antichi vezzi polemici Galli della Loggia
di Umberto Eco
Questa mia bustina esce solo ogni 15 giorni, così che, se qualcosa mi sta a cuore, devo attendere due settimane per parlarne. Ma non è mai troppo tardi. Dunque, a inizio marzo, sul 'Corriere della sera', Ernesto Galli della Loggia (che non è un pericoloso comunista) aveva scritto alcune cose che suonavano critiche nei confronti del Pdl, ed ecco che Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, che di quel partito sono coordinatori, il 4 marzo scrivevano una lettera allo stesso quotidiano per esporre il loro dissenso. Non entro nel merito della questione, libero un opinionista di criticare un partito politico e liberi alcuni uomini politici di ribattere a quelle critiche. Quello che m'interessa è una scelta lessicografica, fatta dai tre rappresentanti del Partito della Libertà.
Scrivevano essi: "Vi sono critiche. come quelle dell'editoriale di ieri del Corriere, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un'onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero auto-referenziale, come direbbero gli intellettuali". Che le critiche di Galli della Loggia fossero tipiche di un 'intellettuale' emergeva anche da brani successivi della lettera, dove si diceva che chi avanza critiche come quelle si comporta "come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni".
La faccenda curiosa è che, se per intellettuale è qualcuno che agisce col pensiero piuttosto che con l'azione manuale, allora fanno lavoro intellettuale non solo i filosofi e i giornalisti, ma anche i banchieri, gli assicuratori e, certamente, gli uomini politici come Bondi (che tra l'altro scrive poesie), La Russa e Verdini i quali, a quanto mi risulta, non si guadagnano da vivere zappando la terra. Che se poi intellettuale è non solo chi lavora col pensiero, ma chi col pensiero svolge attività critica (qualsiasi cosa critichi e comunque lo faccia) ancora una volta i firmatari della lettera dovrebbero ritenersi esempi di lavoro intellettuale.
Ma è che la parola 'intellettuale' ha particolari connotazioni storiche. Benché qualcuno abbia scoperto che appare per la prima volta nel 1864 nel 'Chevalier des Touches' di Barbey d'Aurevilly, nel 1879 in Maupassant e nel 1886 in Leon Bloy, essa viene usata sistematicamente nel corso del famigerato affare Dreyfus, almeno dal 1888 quando un gruppo di scrittori, artisti e scienziati come Proust, Anatole France, Sorel, Monet, Renard, Durkheim, per non dire di Zola che scriverà poi il suo micidiale 'J'accuse', si dichiarano convinti che Dreyfus sia stato vittima di un complotto, in gran parte antisemita, e chiedono la revisione del suo processo. Costoro vengono definiti intellettuali da Clemenceau ma la definizione viene subito ripresa in senso denigratorio da rappresentanti del pensiero reazionario come Barrès e Brunetière per indicare delle persone che, invece di occuparsi di poesia, scienza o altre arcane specialità (insomma, dei fatti loro), ficcano il naso in questioni di cui non sono competenti, come i problemi di spionaggio internazionale e di giustizia militare (che va lasciata appunto ai militari).
L'intellettuale era dunque per gli antidreyfusardi qualcuno che viveva tra i suoi libri e le sue astrazioni fumose e non aveva contatti con la realtà concreta (e quindi era meglio stesse zitto). Questa valutazione peggiorativa, si desume dalle polemiche dell'epoca ma appare singolarmente analoga alle espressioni usate nella lettera di Bondi, La Russa, Verdini.
Ora non oso pensare che i tre firmatari della lettera, benché certamente intellettuali anche loro (così da ostentare di conoscere il significato del termine 'auto-referenziale'), lo siano a tal punto da aver contezza delle polemiche di centovent'anni fa. Semplicemente hanno nei loro geni memorie di antichi vezzi polemici, come quello appunto di ritenere (sporco) intellettuale chiunque la pensi (e dunque pensi) diversamente da te.
Viene alla mente quello sfortunato presule che anni fa, per denunciare (benemeritamente) la mafia, aveva parlato di sinagoga di Satana - e gli ebrei si erano sentiti offesi. Invano i suoi difensori avevano ricordato che l'espressione era stata usata nel Vangelo di Giovanni; ma era stata usata appunto in funzione antigiudaica, e come tale l'espressione era stata ripresa nelle polemiche antisemite del cattolicesimo reazionario ottocentesco. E dunque si trattava di un modo di dire che si trascinava dietro l'odore delle proprie origini, anche se usata nell'enfasi di una predicazione benintenzionata.
Scrivevano essi: "Vi sono critiche. come quelle dell'editoriale di ieri del Corriere, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un'onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero auto-referenziale, come direbbero gli intellettuali". Che le critiche di Galli della Loggia fossero tipiche di un 'intellettuale' emergeva anche da brani successivi della lettera, dove si diceva che chi avanza critiche come quelle si comporta "come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni".
La faccenda curiosa è che, se per intellettuale è qualcuno che agisce col pensiero piuttosto che con l'azione manuale, allora fanno lavoro intellettuale non solo i filosofi e i giornalisti, ma anche i banchieri, gli assicuratori e, certamente, gli uomini politici come Bondi (che tra l'altro scrive poesie), La Russa e Verdini i quali, a quanto mi risulta, non si guadagnano da vivere zappando la terra. Che se poi intellettuale è non solo chi lavora col pensiero, ma chi col pensiero svolge attività critica (qualsiasi cosa critichi e comunque lo faccia) ancora una volta i firmatari della lettera dovrebbero ritenersi esempi di lavoro intellettuale.
Ma è che la parola 'intellettuale' ha particolari connotazioni storiche. Benché qualcuno abbia scoperto che appare per la prima volta nel 1864 nel 'Chevalier des Touches' di Barbey d'Aurevilly, nel 1879 in Maupassant e nel 1886 in Leon Bloy, essa viene usata sistematicamente nel corso del famigerato affare Dreyfus, almeno dal 1888 quando un gruppo di scrittori, artisti e scienziati come Proust, Anatole France, Sorel, Monet, Renard, Durkheim, per non dire di Zola che scriverà poi il suo micidiale 'J'accuse', si dichiarano convinti che Dreyfus sia stato vittima di un complotto, in gran parte antisemita, e chiedono la revisione del suo processo. Costoro vengono definiti intellettuali da Clemenceau ma la definizione viene subito ripresa in senso denigratorio da rappresentanti del pensiero reazionario come Barrès e Brunetière per indicare delle persone che, invece di occuparsi di poesia, scienza o altre arcane specialità (insomma, dei fatti loro), ficcano il naso in questioni di cui non sono competenti, come i problemi di spionaggio internazionale e di giustizia militare (che va lasciata appunto ai militari).
L'intellettuale era dunque per gli antidreyfusardi qualcuno che viveva tra i suoi libri e le sue astrazioni fumose e non aveva contatti con la realtà concreta (e quindi era meglio stesse zitto). Questa valutazione peggiorativa, si desume dalle polemiche dell'epoca ma appare singolarmente analoga alle espressioni usate nella lettera di Bondi, La Russa, Verdini.
Ora non oso pensare che i tre firmatari della lettera, benché certamente intellettuali anche loro (così da ostentare di conoscere il significato del termine 'auto-referenziale'), lo siano a tal punto da aver contezza delle polemiche di centovent'anni fa. Semplicemente hanno nei loro geni memorie di antichi vezzi polemici, come quello appunto di ritenere (sporco) intellettuale chiunque la pensi (e dunque pensi) diversamente da te.
Viene alla mente quello sfortunato presule che anni fa, per denunciare (benemeritamente) la mafia, aveva parlato di sinagoga di Satana - e gli ebrei si erano sentiti offesi. Invano i suoi difensori avevano ricordato che l'espressione era stata usata nel Vangelo di Giovanni; ma era stata usata appunto in funzione antigiudaica, e come tale l'espressione era stata ripresa nelle polemiche antisemite del cattolicesimo reazionario ottocentesco. E dunque si trattava di un modo di dire che si trascinava dietro l'odore delle proprie origini, anche se usata nell'enfasi di una predicazione benintenzionata.
«L'Espresso» del 18 marzo 2010
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