di Filippo Rizzi
Saggista, filosofo politico, educatore, testimone della dignità della persona, rivoluzionario fedele e leale fino all’eroismo, non strutturalmente metafisico e accademico come il suo amico Jacques Maritain ma soprattutto un cristiano nel senso più pieno della parola. Sono i tanti aspetti che hanno costellato, nella breve parabola del suo Novecento, la vita e l’azione del filosofo Emmanuel Mounier (1905-1950), di cui,in questi giorni ricorrono i sessant’anni della morte. Il 22 marzo del 1950 si spegneva a Parigi il grande filosofo, amico di Albert Camus e figlio spirituale del poeta della speranza cristiana Charles Péguy.
Oggi rimane viva la sua eredità di pensatore soprattutto per il suo contributo sul personalismo comunitario cristiano, la sua attenzione alla questione operaia, alla giustizia sociale nella Francia postbellica, ai diritti universali della persona, la sua critica agli eccessi del capitalismo, le sue intuizioni sulla crisi economica del 1929 e la sua impronta indelebile lasciata, nel 1932, con la fondazione della rivista "Esprit" assieme a Georges Izard.
Di questo ne è convinto uno dei più fedeli discepoli del pensiero e dell’eredità mouneriana in Italia, Giorgio Campanini, già docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma: «Il messaggio di Mounier ha come fondamento un’etica di relazione, della condivisione e della solidarietà ma aperto anche alla trascendenza». Un’attualità, quella di Mounier, che ha trovato conferma, agli occhi del professor Campanini, nella prima enciclica sociale di Benedetto XVI, la Caritas in veritate: «Nel testo si parla "di orientamento culturale personalista" ed è la prima volta che questo così solenne riconoscimento viene operato all’interno del magistero della Chiesa».
Vede l’attualità di questo pensatore anche Armando Rigobello, professore emerito di Filosofia morale all’università di Roma, che rivela: «Il mio primo incontro con lui avvenne attraverso la sua opera Rivoluzione personalista e comunitaria. Il continuatore ideale, soprattutto nel campo del personalismo, è stato Paul Ricoeur. In entrambi c’è una forte tensione alla dimensione religiosa e anche all’aristotelismo pratico-politico. In Italia chi idealmente ha messo in pratica le sue idee di comunitarismo è stato Adriano Olivetti. Nel Canavese, presso la sua azienda di macchine per scrivere, il grande industriale cercò di mettere in pratica, anche nell’organizzazione del lavoro, le idee del grande filosofo personalista».
Tornano a questo proposito alla mente di Giorgio Campanini la grande attenzione al proletariato, il «vangelo per i poveri», ai preti operai, (tra questi l’amato Andre Depiérre) di Mounier ma anche il suo vero pensiero riguardo al marxismo: «Analizzando la condizione del proletariato in Francia vedeva nei comunisti francesi dei "compagni di strada" ma questo non significò mai adesione al "materialismo storico". Già nel 1948 in un articolo di "Esprit", Mano aperta e marxismo chiuso, fa emergere la contraddizione insita nell’apertura di facciata ai cattolici e il rigido dogmatismo ateistico dei comunisti. Se non fosse prematuramente morto nel 1950 il distacco sarebbe stato più netto, grazie anche a una maggiore conoscenza dei regimi di Oltrecortina. La caduta del Muro gli sarebbe apparsa come l’involuzione di un’ideologia che aveva tradito la "speranza dei poveri"». Rigobello mette in rilievo gli aspetti più originali e controversi della sua ricerca: dalla critica alla borghesia, alla sua non simpatia verso la democrazia parlamentare alla sua totale estraneità all’esistenzialismo di Jean Paul Sartre: «Il movimento di "Esprit", come il pensiero di Maritain e Guitton, è stata messo ai margini, dando più rilevanza all’esistenzialismo e alla filosofia analitica. Per paradosso il comunitarismo e il personalismo di Mounier è rifiorito: non nella sua patria, bensì in Canada».
Un intellettuale che ha segnato il modo di pensare di un’intera generazione, quella uscita dalla guerra: è l’impressione che ancora suscita Mounier nel pro- teologo emerito della Casa pontificia, il cardinale svizzero Georges Marie Cottier: «Assieme a Maritain ha lasciato un impronta indelebile nella mia formazione di giovane domenicano. Il suo slogan personalista e comunitario ha significato una rottura con un certo cattolicesimo integralista francese. In lui ha vissuto lo zelo giovanile del pensiero impegnato, cioè la volontà di fare qualcosa di positivo per la società. E poi credo che una delle sue più grandi intuizioni sia stata la nascita di una rivista come "Esprit", perché rappresentò un punto di dialogo "ecumenico": vi collaborarono non credenti, protestanti ed ebrei . Se avesse potuto vedere il Concilio, credo si sarebbe ritrovato nei documenti sulla libertà religiosa e nella Gaudium et spes».
Ma è negli scritti più intimi, come Lettere e diari, Agonia del cristianesimo? o il Trattato del carattere, che emerge il Mounier più sofferente, di una profondità mistica che lo avvicina a Georges Bernanos, Giovanni della Croce, Charles Peguy, Paul Claudel o Primo Mazzolari; il Mounier fedele alla speranza e preghiera cristiana, come nelle lettere dedicate alla figlia handicappata Françoise e raccolte nel volume Lettere sul dolore (Rizzoli) o i lunghi dialoghi sull’amore coniugale con la moglie, il suo alter ego Paulette Leclercq. «Quelle pagine – nota il critico letterario de La civiltà cattolica, il gesuita Ferdinando Castelli – affondano nella carne dell’uomo e del cristiano d’oggi. Affascinano perché non sono mai astrazioni o elucubrazioni: ci interpellano.
A parlare sono soprattutto i tre pedagoghi di Mounier: la speranza, la povertà e la sofferenza». Un’eredità dunque, quella del filosofo di Grenoble, da recepire in ogni sua prospettiva. «Basti ricordare – è la riflessione finale di padre Castelli – la sua posizione sui diritti della persona, sull’attenzione ai "segni dei tempi", sull’insistenza di una rivoluzione interiore, sul superamento della concezione sacramentale della politica e di ogni rigido condizionamento tra cristianesimo e strutture politiche sociali. Il suo pensiero e la sua azione ci suggeriscono uno stile di vita modellato su quei valori umani e cristiani di cui oggi, forse più di un tempo, si avverte l’urgenza».
Oggi rimane viva la sua eredità di pensatore soprattutto per il suo contributo sul personalismo comunitario cristiano, la sua attenzione alla questione operaia, alla giustizia sociale nella Francia postbellica, ai diritti universali della persona, la sua critica agli eccessi del capitalismo, le sue intuizioni sulla crisi economica del 1929 e la sua impronta indelebile lasciata, nel 1932, con la fondazione della rivista "Esprit" assieme a Georges Izard.
Di questo ne è convinto uno dei più fedeli discepoli del pensiero e dell’eredità mouneriana in Italia, Giorgio Campanini, già docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma: «Il messaggio di Mounier ha come fondamento un’etica di relazione, della condivisione e della solidarietà ma aperto anche alla trascendenza». Un’attualità, quella di Mounier, che ha trovato conferma, agli occhi del professor Campanini, nella prima enciclica sociale di Benedetto XVI, la Caritas in veritate: «Nel testo si parla "di orientamento culturale personalista" ed è la prima volta che questo così solenne riconoscimento viene operato all’interno del magistero della Chiesa».
Vede l’attualità di questo pensatore anche Armando Rigobello, professore emerito di Filosofia morale all’università di Roma, che rivela: «Il mio primo incontro con lui avvenne attraverso la sua opera Rivoluzione personalista e comunitaria. Il continuatore ideale, soprattutto nel campo del personalismo, è stato Paul Ricoeur. In entrambi c’è una forte tensione alla dimensione religiosa e anche all’aristotelismo pratico-politico. In Italia chi idealmente ha messo in pratica le sue idee di comunitarismo è stato Adriano Olivetti. Nel Canavese, presso la sua azienda di macchine per scrivere, il grande industriale cercò di mettere in pratica, anche nell’organizzazione del lavoro, le idee del grande filosofo personalista».
Tornano a questo proposito alla mente di Giorgio Campanini la grande attenzione al proletariato, il «vangelo per i poveri», ai preti operai, (tra questi l’amato Andre Depiérre) di Mounier ma anche il suo vero pensiero riguardo al marxismo: «Analizzando la condizione del proletariato in Francia vedeva nei comunisti francesi dei "compagni di strada" ma questo non significò mai adesione al "materialismo storico". Già nel 1948 in un articolo di "Esprit", Mano aperta e marxismo chiuso, fa emergere la contraddizione insita nell’apertura di facciata ai cattolici e il rigido dogmatismo ateistico dei comunisti. Se non fosse prematuramente morto nel 1950 il distacco sarebbe stato più netto, grazie anche a una maggiore conoscenza dei regimi di Oltrecortina. La caduta del Muro gli sarebbe apparsa come l’involuzione di un’ideologia che aveva tradito la "speranza dei poveri"». Rigobello mette in rilievo gli aspetti più originali e controversi della sua ricerca: dalla critica alla borghesia, alla sua non simpatia verso la democrazia parlamentare alla sua totale estraneità all’esistenzialismo di Jean Paul Sartre: «Il movimento di "Esprit", come il pensiero di Maritain e Guitton, è stata messo ai margini, dando più rilevanza all’esistenzialismo e alla filosofia analitica. Per paradosso il comunitarismo e il personalismo di Mounier è rifiorito: non nella sua patria, bensì in Canada».
Un intellettuale che ha segnato il modo di pensare di un’intera generazione, quella uscita dalla guerra: è l’impressione che ancora suscita Mounier nel pro- teologo emerito della Casa pontificia, il cardinale svizzero Georges Marie Cottier: «Assieme a Maritain ha lasciato un impronta indelebile nella mia formazione di giovane domenicano. Il suo slogan personalista e comunitario ha significato una rottura con un certo cattolicesimo integralista francese. In lui ha vissuto lo zelo giovanile del pensiero impegnato, cioè la volontà di fare qualcosa di positivo per la società. E poi credo che una delle sue più grandi intuizioni sia stata la nascita di una rivista come "Esprit", perché rappresentò un punto di dialogo "ecumenico": vi collaborarono non credenti, protestanti ed ebrei . Se avesse potuto vedere il Concilio, credo si sarebbe ritrovato nei documenti sulla libertà religiosa e nella Gaudium et spes».
Ma è negli scritti più intimi, come Lettere e diari, Agonia del cristianesimo? o il Trattato del carattere, che emerge il Mounier più sofferente, di una profondità mistica che lo avvicina a Georges Bernanos, Giovanni della Croce, Charles Peguy, Paul Claudel o Primo Mazzolari; il Mounier fedele alla speranza e preghiera cristiana, come nelle lettere dedicate alla figlia handicappata Françoise e raccolte nel volume Lettere sul dolore (Rizzoli) o i lunghi dialoghi sull’amore coniugale con la moglie, il suo alter ego Paulette Leclercq. «Quelle pagine – nota il critico letterario de La civiltà cattolica, il gesuita Ferdinando Castelli – affondano nella carne dell’uomo e del cristiano d’oggi. Affascinano perché non sono mai astrazioni o elucubrazioni: ci interpellano.
A parlare sono soprattutto i tre pedagoghi di Mounier: la speranza, la povertà e la sofferenza». Un’eredità dunque, quella del filosofo di Grenoble, da recepire in ogni sua prospettiva. «Basti ricordare – è la riflessione finale di padre Castelli – la sua posizione sui diritti della persona, sull’attenzione ai "segni dei tempi", sull’insistenza di una rivoluzione interiore, sul superamento della concezione sacramentale della politica e di ogni rigido condizionamento tra cristianesimo e strutture politiche sociali. Il suo pensiero e la sua azione ci suggeriscono uno stile di vita modellato su quei valori umani e cristiani di cui oggi, forse più di un tempo, si avverte l’urgenza».
«Avvenire» del 19 marzo 2010
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