16 marzo 2010

De Chirico, pittura della mente

In mostra la parabola dal metafisico al surreale. Da Magritte a Balthus
di Patrizia Ferretti
«E cosa amerò se non ciò che è un enigma?». Il verso accompagna l’Autoritratto dallo sguardo senza pupilla di Giorgio De Chirico: la sua sottoscrizione al teorema romantico che riconosce nella vista interiore l’unica guida possibile per la concezione di un quadro. A testimoniare la portata del seguito riscosso da questo, per dirla con Cocteau, «dépaysagiste» («pittore di spaesamenti»), un centinaio di capolavori provenienti da esclusive collezioni private e museali nel mondo scelti per una sorta di lungometraggio focalizzato da Paolo Baldacci, Gerd Roos e Guido Magnaguagno sull’invisibile nell’arte del XX secolo tra le due guerre, dal Dada al Surrealismo, dal Realismo Magico al Neo-Romanticismo. Il sequel fiorentino nel segno dell’antropologia interiore dell’uomo moderno della precedente esposizione (1997-’98) Arnold Böecklin, Giorgio De Chirico, Max Ernst.
Un viaggio nell’ignoto , passata da Zurigo, Monaco e Berlino.
Già d’ispirazione per gli enigmi dechirichiani, Firenze suonava come tappa obbligata per opere che trascendono la distanza estetica sulla comune idea di concepimento che muove dall’impulso di una visione intuitiva, per poi rivelarsi attraverso «lo spettro» o comunque «l’architettura interna» della materia, senza limiti o confini. Così il muro nel dechirichiano Enigma dell’arrivo e del pomeriggio (cover del catalogo Mandragora) tradisce il suo alter ego nella siepe de L’infinito di Giacomo Leopardi, ribadito più tardi con La nostalgia dell’Infinito, là dove l’orizzonte si nasconde per lasciare il primo piano al «gioco enigmatico» dell’esistenza: una scacchiera su cui si muovono gli eredi elettivi a vario titolo della metafisica dechirichiana, maturata all’ombra di Eraclito, Nietzsche e Schopenhauer per quello che potrebbe leggersi come un lungo piano sequenza di alienazioni, solitudini, senso di abbandono e isolamento, inquietudini e disperazione divenuti abissali con guerra e violenze.
In altre parole la «grande pazzia» del mondo cui De Chirico allude con la metafisica del luogo reale orchestrata in Paesaggio romano o su cui riflette tramite la controfigura di artista in veste di poeta veggente e filosofo di Disegno per Enigma, secondo una personale interiorizzazione dell’antico che recupera la memoria passando per il mito e la metafora. E se nello Studio per la ricompensa dell’indovino - qui restituito all’autenticità dechirichiana con il conforto della radiografia effettuata nel 2002 dal Philadelphia Museum of Art ­Arianna non è colei che col suo filo conduce l’eroe fuori dal labirinto ma il simbolo dell’anima che lascia la razionalità e segue l’istinto intuitivo rientrando nel labirinto degli enigmi, è perché è là che si annida la realtà oltre l’apparenza sensibile. Ed è quel che prosegue sulla via della decontestualizzazione e del contrasto, del gioco del non finito, delle atmosfere irreali, degli sguardi aperti apparentemente sul nulla, per dare nuova vita alle cose: la serie dei «mobili all’aperto» di contro alle «rovine nelle stanze» docent.
Dimensione «sospesa» condivisa da Max Ernst, galeotta la rivista 'Valori Plastici'
(1919), con il suo Enigma e vari collage ( Gli uomini non lo sapranno mai ). Visioni in bilico tra memoria e inconscio, vera e propria folgorazione per Magritte, certo di poter «vedere il pensiero» colto in una sorta di «eternità pietrificata» con Il senso della notte di Houston o La condizione umana di Washington. Opere in grado di dialogare con l’immobilità del tempo e discutere, appese alla sospensione del silenzio, sulla psichicità della materia, anche quella inanimata (Il ponte di Eraclito).
Sarà poi la «metafisica riformata» di Carrà e Morandi a riflettersi su Realismo Magico e Nuova Oggettività, fino a raggiungere l’inquietudine raccolta nella sfera del quotidiano da Balthus. E il coprotagonismo di Arturo Nathan, Pierre Roy e Niklaus Stoecklin non fa che rafforzare la tesi dominante per cui l’unica vera realtà non è quella della vista bensì quella della mente.
Firenze, Palazzo Strozzi, DE CHIRICO, MAX ERNST, MAGRITTE, BALTHUS: Uno sguardo nell’invisibile ( fino al 18 luglio )
«Avvenire» del 16 marzo 2010

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