Le grandi manovre, le piccole attese dei cittadini
di Giancarlo Galli
«Arriva la primavera, e i banchieri stanno facendo il bucato, per cancellare i loro peccati», diceva l’altra notte in un salotto milanese un finanziere di lungo corso e alto profilo, commentando le «ultimissime» dal fronte bancario. Innanzitutto, il passaggio del romano Cesare Geronzi (classe 1935) dalla mitica Mediobanca di Enrico Cuccia alla presidenza delle Assicurazioni Generali, in assoluto il maggior potentato assicurativo-finanziario italiano e fra i primissimi in Europa. Geronzi sostituirà Antoine Bernheim (classe 1924), che in ossequio alla regola per cui i banchieri non conoscono età pensionabile, resterà con l’etichetta di «Onorario». Segue un valzer di spostamenti, coinvolgenti amministratori e manager. Nelle prossime settimane dovremmo avere una seconda ondata di «cambi della guardia»: nella galassia San Paolo-Intesa, al Monte Paschi, probabilmente in Unicredit e nell’Associazione bancaria italiana.
Primavera calda; e la prima, istintiva valutazione, è positiva. Per universale riconoscimento degli economisti, l’atteggiamento talvolta spregiudicato e speculativo delle banche, ha pesantemente influito sulla deflagrazione della recessione che tuttora ci affligge, e della quale si fatica a intravedere la fine. Quindi una revisione dei ruoli, e delle connesse responsabilità, era auspicabile e necessaria. Tuttavia, a differenza di quel che è avvenuto all’estero, il ricambio è stato soft: nessuno penalizzando, ma semplicemente spostando gli stessi uomini da un quadrante all’altro della scacchiera. Il che, evidentemente, può generare interrogativi, inducendo gli osservatori non compiacenti o eccessivamente maliziosi a parlare di «Operazione gattopardesca», all’insegna del famoso motto: «Che tutto cambi, affinché tutto resti come prima». Senza trascurare un fatto che non è un dettaglio: le pendenze giudiziarie che pesano come macigni sulla credibilità di qualche personaggio. Stabilito che il bucato potrebbe essere più di forma che di sostanza, sorge il vero problema: il ruolo dell’Alta Finanza nello scenario dell’economia in una stagione di crisi, disoccupazione, famiglie con acqua alla gola per i mutui, imprese che faticano a ottenere dalle banche il credito indispensabile alla loro sopravvivenza.
Certamente, gli spostamenti ai vertici rispondono (almeno c’è da sperarlo) a una logica. L’immobilismo, infatti non è mai stato una virtù. Però, in ciò che è avvenuto nella giornata di venerdì fra le ovattate boiseries di Mediobanca a Milano, vi è un sapore di autoreferenzialità che lascia spazio a qualche interrogativo. I Signori, della Finanza (di molti dei quali non si possano sottacere i bonus e gli stipendi milionari a prescindere dai risultati di gestione e bilancio), si sono battuti come leoni per poltronissime, poltrone, strapuntini. Senza alcun coinvolgimento degli azionisti minori, autentici donatori di sangue. Eppure il risparmio azionario dovrebbe essere la linfa che alimenta l’economia. Così, almeno, rispettando i canoni del moderno capitalismo, secondo il quale le banche sono al servizio dell’economia, del Bene comune, e non viceversa.
Un paio di domande sono, crediamo, lecite. A dirla fuori dai denti: con quale mission, ad esempio, Cesare Geronzi lascia Mediobanca per le Generali? Il vuoto informativo dà fiato a ogni sorta di congetture. Citiamone una, pur con beneficio di inventario: considerata la massiccia presenza di finanzieri francesi (in primis, Vincente Bolloré, azionista forte in Mediobanca e futuro vice presidente delle Generali), vi è chi sostiene un prossimo «traghettamento» delle due Istituzioni verso Parigi. Che ne pensano i politici, in un momento in cui Francia e Germania già la fanno da padroni in Eurolandia? Comunque, è anche possibile vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. Con l’auspicio che la Confraternita dei banchieri, risolti i problemi dei "piani alti" della Finanza, ridistribuite le cariche, si cali nella realtà degli sportelli, rispondendo ai bisogni quotidiani della clientela che si sente incompresa e talvolta strozzata. Una strada possibile. Non crediamo sia chiedere troppo.
Primavera calda; e la prima, istintiva valutazione, è positiva. Per universale riconoscimento degli economisti, l’atteggiamento talvolta spregiudicato e speculativo delle banche, ha pesantemente influito sulla deflagrazione della recessione che tuttora ci affligge, e della quale si fatica a intravedere la fine. Quindi una revisione dei ruoli, e delle connesse responsabilità, era auspicabile e necessaria. Tuttavia, a differenza di quel che è avvenuto all’estero, il ricambio è stato soft: nessuno penalizzando, ma semplicemente spostando gli stessi uomini da un quadrante all’altro della scacchiera. Il che, evidentemente, può generare interrogativi, inducendo gli osservatori non compiacenti o eccessivamente maliziosi a parlare di «Operazione gattopardesca», all’insegna del famoso motto: «Che tutto cambi, affinché tutto resti come prima». Senza trascurare un fatto che non è un dettaglio: le pendenze giudiziarie che pesano come macigni sulla credibilità di qualche personaggio. Stabilito che il bucato potrebbe essere più di forma che di sostanza, sorge il vero problema: il ruolo dell’Alta Finanza nello scenario dell’economia in una stagione di crisi, disoccupazione, famiglie con acqua alla gola per i mutui, imprese che faticano a ottenere dalle banche il credito indispensabile alla loro sopravvivenza.
Certamente, gli spostamenti ai vertici rispondono (almeno c’è da sperarlo) a una logica. L’immobilismo, infatti non è mai stato una virtù. Però, in ciò che è avvenuto nella giornata di venerdì fra le ovattate boiseries di Mediobanca a Milano, vi è un sapore di autoreferenzialità che lascia spazio a qualche interrogativo. I Signori, della Finanza (di molti dei quali non si possano sottacere i bonus e gli stipendi milionari a prescindere dai risultati di gestione e bilancio), si sono battuti come leoni per poltronissime, poltrone, strapuntini. Senza alcun coinvolgimento degli azionisti minori, autentici donatori di sangue. Eppure il risparmio azionario dovrebbe essere la linfa che alimenta l’economia. Così, almeno, rispettando i canoni del moderno capitalismo, secondo il quale le banche sono al servizio dell’economia, del Bene comune, e non viceversa.
Un paio di domande sono, crediamo, lecite. A dirla fuori dai denti: con quale mission, ad esempio, Cesare Geronzi lascia Mediobanca per le Generali? Il vuoto informativo dà fiato a ogni sorta di congetture. Citiamone una, pur con beneficio di inventario: considerata la massiccia presenza di finanzieri francesi (in primis, Vincente Bolloré, azionista forte in Mediobanca e futuro vice presidente delle Generali), vi è chi sostiene un prossimo «traghettamento» delle due Istituzioni verso Parigi. Che ne pensano i politici, in un momento in cui Francia e Germania già la fanno da padroni in Eurolandia? Comunque, è anche possibile vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. Con l’auspicio che la Confraternita dei banchieri, risolti i problemi dei "piani alti" della Finanza, ridistribuite le cariche, si cali nella realtà degli sportelli, rispondendo ai bisogni quotidiani della clientela che si sente incompresa e talvolta strozzata. Una strada possibile. Non crediamo sia chiedere troppo.
«Avvenire» del 28 marzo 2010
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