Home videns e homo zappiens
di Giovanni Sartori
Analfabeta è chi non sa l’alfabeto, e che perciò non sa leggere né scrivere. Beninteso, anche l’analfabeta parla e capisce frasi elementari. Per esempio capisce la frase «il gatto miagola», ma è già in difficoltà se la frase diventa «il gatto miagola perché vorrebbe bere il latte». L’esempio è di Tullio De Mauro, principe dei nostri linguisti, che torna alla carica con una nuova edizione del suo libro La cultura degli italiani. Cultura o incultura?
I suoi dati dicono che il 70% degli italiani è pressoché analfabeta o analfabeta di ritorno: fatica a comprendere testi, non legge niente, nemmeno i giornali. Per il sapere un 70% di somari è una maggioranza deprimente; e per la politica costituisce un’asinocrazia travolgente e facile da travolgere. Perché siamo arrivati, o scesi, a tanto? Quasi tutti puntano il dito sullo sfascio della scuola, a tutti i livelli. Perché è la scuola che dovrebbe «alfabetizzare ». Sì, ma chi ha sfasciato la scuola? Alla fonte, e più di ogni altro, sono stati i pedagogisti, il «novitismo pedagogico», i diseducatori degli educatori. E poi, s’intende, tanti altri: il sessantottismo demagogico dei politici, e anche la marea dilagante delle famiglie Spockiane (illuminate dal permissivismo a gogo del celebre dottore Benjamin Spock).
Ma quando si discute di trasformazioni della natura umana (io nel 1997 nel libro Homo Videns e di recente altri con la formula dell’Homo Zappiens) allora il fattore decisivo è la tecnologia. Così alla fine del 1400 nasce l’uomo di Gutenberg con l’invenzione della riproduzione a stampa della preesistente scrittura a mano; così, sostengo, l’invenzione della televisione crea un uomo forgiato dal «vedere» il cui sapere e capire si riduce all’ambito delle cose visibili a danno delle idee, delle immagini mentali create dal pensiero. Al limite, l’homo videns sa soltanto se vede e soltanto di quel che vede. Il che equivale a una perdita colossale delle nostre capacità mentali. Invece la teoria dell’homo zappiens trasforma questa perdita in una glorificazione, in un annunzio di nuovi e gloriosi destini.
La dizione è ricavata dal telecomando che consente e produce il cambiamento incessante dei canali televisivi; il che abituerebbe il nostro cervello al cosiddetto multitasking, al saper fare molte cose contemporaneamente. Davvero? Io direi, invece, che così veniamo abituati alla «sconnessione», a un saltare di palo in frasca che equivale alla distruzione della logica, della capacità logica di pensare una cosa alla volta, di mettere questa scomposizione analitica in sequenza, e nell’accertare se un rapporto prima-dopo sia anche un rapporto causa-effetto. Il progresso della tecnica è inevitabile.Ma deve essere contrastato quando produce l’homo stupidus stupidus. Sempre più i ragazzi di oggi vivono per 12 ore al giorno in «iperconnessione » e così, anche, in «sconnessione». Sono giustamente disgustati dalla politica. Ma dovrebbero anche essere disgustati di se stessi. Cosa sapranno combinare da grandi?
Ma quando si discute di trasformazioni della natura umana (io nel 1997 nel libro Homo Videns e di recente altri con la formula dell’Homo Zappiens) allora il fattore decisivo è la tecnologia. Così alla fine del 1400 nasce l’uomo di Gutenberg con l’invenzione della riproduzione a stampa della preesistente scrittura a mano; così, sostengo, l’invenzione della televisione crea un uomo forgiato dal «vedere» il cui sapere e capire si riduce all’ambito delle cose visibili a danno delle idee, delle immagini mentali create dal pensiero. Al limite, l’homo videns sa soltanto se vede e soltanto di quel che vede. Il che equivale a una perdita colossale delle nostre capacità mentali. Invece la teoria dell’homo zappiens trasforma questa perdita in una glorificazione, in un annunzio di nuovi e gloriosi destini.
La dizione è ricavata dal telecomando che consente e produce il cambiamento incessante dei canali televisivi; il che abituerebbe il nostro cervello al cosiddetto multitasking, al saper fare molte cose contemporaneamente. Davvero? Io direi, invece, che così veniamo abituati alla «sconnessione», a un saltare di palo in frasca che equivale alla distruzione della logica, della capacità logica di pensare una cosa alla volta, di mettere questa scomposizione analitica in sequenza, e nell’accertare se un rapporto prima-dopo sia anche un rapporto causa-effetto. Il progresso della tecnica è inevitabile.Ma deve essere contrastato quando produce l’homo stupidus stupidus. Sempre più i ragazzi di oggi vivono per 12 ore al giorno in «iperconnessione » e così, anche, in «sconnessione». Sono giustamente disgustati dalla politica. Ma dovrebbero anche essere disgustati di se stessi. Cosa sapranno combinare da grandi?
«Corriere della Sera» del 22 marzo 2010
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