Dallo stile impeccabile del testo originario a un'alluvione di commi prolissi e confusi
di Giorgio De Rienzo
Due prose a confronto: la Carta del '47 e gli articoli da poco riscritti
Nel sesto volume della «Lingua italiana d'oggi», di prossima uscita, il «punto» di discussione d'apertura è sul linguaggio della Costituzione, con interventi autorevoli di specialisti come Michele A. Cortellazzo, Tullio De Mauro e Fabio Ruggiano. La storia della Carta è nota. Il 31 gennaio del 1947 una commissione di 75 componenti aveva già preparato una stesura da sottoporre alla Costituente, che fu discussa e approvata alla fine dell'anno, per entrare in vigore il 1° gennaio del '48. Meno noto è invece che il testo fu sottoposto alla revisione linguistica di un letterato raffinato, con larga esperienza giornalistica, come Pancrazi, per garantire la semplicità (insieme all'eleganza) e soprattutto la leggibilità del testo definitivo. Il risultato fu eccezionale. Tanto è vero che la Costituzione può essere oggi proposta come un modello di lingua italiana di grande modernità. Nel suo «Elogio linguistico» della Carta, Cortellazzo mette in luce come siano privilegiati «i periodi brevi e chiari»: dunque proposizioni semplici e uso di frasi coordinate tra di loro, con la tendenza a eliminare una sintassi più complessa, nella preoccupazione di rendere più accessibile il testo alla comprensione. Molto limitato è il congiuntivo: si trova in soli 26 casi (circa uno ogni 5 articoli), là dove è richiesto per norma grammaticale. Molto raro è il gerundio, presente funestamente invece nel linguaggio legislativo e amministrativo d'oggi: nella Carta si tende a rendere esplicite, quando siano necessarie, le frasi subordinate. Mentre sul piano lessicale vengono limitati i tecnicismi: «Non si va molto al di là di termini come estradizione, impugnazione, ratifica, provvedimenti giurisdizionali, organi giurisdizionali, distribuiti comunque in un tessuto costituito da una base lessicale di dominio comune». Si vede benissimo, conclude Cortellazzo, come il testo finale sia «il risultato di un faticoso lavorio», in cui i costituenti «hanno messo sapientemente in atto una tecnica poco familiare nella politica: la tecnica del togliere, del semplificare, non dell'aggiungere, dell'amplificare». Una prova del nove sono le parti della Costituzione sottoposte a modifiche più di recente, che rientrano nel tipo di quella che Ainis ha definito «legislazione oscura», con incastri «di subordinazione, tortuosità, struttura sintattica labirintica e barocca», elementi tipici dei legislatori a noi più vicini, che per tutto elencare e specificare obbligano all'interpretazione, con ciò che ne deriva fatalmente. Tullio De Mauro resta su principi generali. Parte dalla constatazione che «una legge costituzionale mira non solo a regolare in generale un comportamento che possa aver luogo, ma mira anche a sollecitare che si attui tale comportamento, implica, comunque sia formulato, un invito, un ordine: è un testo, come si dice nelle lingue moderne ricorrendo a due latinismi tecnici, suasivo o iussivo», cioè che deve insieme persuadere e prescrivere. Di qui viene nella Costituzione un'astrattezza inevitabile e necessaria: l'invito, vale a dire, a prescrivere norme generali, le cui direttive applicative saranno poi specificate dalla successiva legislazione. Solo che i legislatori non hanno mai saputo riprodurre il modello della lingua della Carta e hanno proceduto nel creare, per troppo esemplificare e distinguere, un linguaggio di casta che può essere solo alla portata degli addetti ai lavori. Ben articolato nella sua analisi più minuta è l'intervento di Fabio Ruggiano, che punta a mettere in luce le caratteristiche più salienti della lingua della Costituzione. Un primo dato costante è l'elissi del soggetto, se facilmente recuperabile dal contesto: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» (art. 9). Un altro dato importante. Quando sia necessario il dettato non evita la ripetizione. Sacrifica in questo caso, se così si può dire, l'eleganza alla chiarezza: in tre articoli consecutivi, per esempio (13, 14, 15) viene ripetuto l'aggettivo «inviolabile» che riguarda la libertà personale, il domicilio, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. E si arriva così inevitabilmente a una sorta di hit parade dei termini usati dai Costituenti: dove, a parte «Repubblica» come è ovvio, la fanno da padrone parole chiave che derivano da «lavoro» (presente 41 volte), da «libertà» (29) e da «garanzia» (11). Ma ciò che caratterizza e rende un esempio di stile impeccabile la lingua della Carta è la mancanza di rinvii interni, che invece infesta e rende inintelligibile la legislazione ordinaria. Anche in questo caso basta un raffronto con le modifiche recenti per mettersi le mani nei capelli. Si è detto della sintassi lineare e semplice. Ciò non toglie che esistano esempi di variazione, per dare più incisività ai concetti: anticipazione del predicato nominale rispetto al soggetto con il verbo «essere», la presenza del cosiddetto «articolo zero», tipico del linguaggio giuridico. Ma sono variazioni sempre discrete, che diventano impercettibili alla lettura. Nulla a che fare con i testi modificati successivamente: dove aumentano la prolissità degli articoli, il numero dei commi, la loro lunghezza e la complessità dei periodi, spesso in bilico con l' errore grave di sintassi.
Ieri e oggi Art. 120, primo comma (1947) Art. 120, secondo comma (2001) La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito fra le Regioni. Non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni. Il governo può sostituirsi a organi delle Regioni (...) nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l' incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell' unità giuridica o dell' unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
«Corriere della Sera» del 30 marzo 2010
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