Da Plauto a Terenzio: il teatro antico rivive in una rassegna sulle maschere, i personaggi e gli spettacoli nel mondo antico, tra tragedia e commedia
di Rosita Copioli
A Sarsina Plauto va sempre in scena. È un caso? L’Emilia Romagna ha mantenuto, perfino nei travestimenti moderni, lo spirito del massimo innovatore della commedia antica. Plauto fu l’inventore di un linguaggio geniale, mobilissimo, ricchissimo, libero fino al selvaggio, prima che il dolce Terenzio addomesticasse definitivamente le tradizioni dei mimi e dei fescennini, delle Sature e delle Atellane che gli Italici ormai romanizzati (Andronico, Nevio, Ennio, Cecilio Stazio, Luscio Lanuvino, tra i più noti), traevano dagli Osci, dai Sanniti, dai Falisci, dagli Etruschi, dagli Umbri, forse dai Veneti e dai Celti. Per una vocazione naturale, che dura fino a oggi oltre Totò e Sordi, in Italia la commedia è prevalsa sulla tragedia. Da Seneca ad Alfieri i nostri tragici suonano retorici e artificiali. Ma Hilarotragoedia è il primo libro felice di Manganelli, che allude alla parodia delle tragedie rappresentate nelle Dionisie di Taranto nel III secolo. Plauto e Terenzio avevano entrambi a modello Menandro e scrissero palliate, con personaggi greci che indossavano il mantello nazionale (e poca fortuna avrebbe avuto la commedia togata, con personaggi romani che indossavano la toga). Plauto, che serbava il sapore dell’atellana, usava ancora le maschere, i tipi.
Terenzio passò definitivamente ai caratteri, ai personaggi. Ma come nacque il teatro latino? Di certo fu influenzato da quello greco, dai miti greci e dai culti di Dioniso, che dal VI secolo compaiono nelle rappresentazioni funebri e ludiche dei vasi e delle tombe, in Etruria e in Magna Grecia.
Nella bella mostra allestita dalle Soprintendenze per i Beni Archeologici di EmiliaRomagna e di Napoli e Pompei per RavennAntica nel Complesso di San Nicolò (i reperti provengono dai Musei di Napoli e dell’Emilia Romagna), è visibile il percorso complesso del teatro latino, sopravvissuto fino a noi nel suo spirito (la mostra è a cura di Maria Rosaria Borriello, Luigi Malnati, Valeria Sampaolo. Catalogo Skira a cura dei medesimi e di Giovanna Montevecchi). Gli scavi archeologici, soprattutto in aree etrusche, hanno messo in luce resti di edifici che possono far pensare a usi teatrali, agonistici, pubblici, ma di veri teatri si può parlare, in Campania ed Emilia Romagna, solo per gli oltre venti centri della Campania, dove spiccano quelli di Napoli, Teano, Ercolano, da cui vengono le statue in bronzo di Livia e di L. Mammius Maximus, della seconda metà del I secolo d.C. Così come, per l’Emilia Romagna, di Parma, Bologna, Mevaniola (Galeata), Rimini. Degli edifici rende conto il catalogo, ma anche nella mostra sono presenti diverse ricostruzioni, e un notevole modello di frons scenae di terracotta a stampo colorata del III-II secolo a.C., forse di provenienza magnogreca, che sembra una ceramica votiva. Le testimonianze sul teatro nel suo complesso gli attori, histriones, le maschere, personae dal Phersu che compare nelle tombe etrusche, con tutte le caratterizzazioni, le scene, gli strumenti musicali, prodotti dal culto religioso - provengono per la maggior parte dalle case, le domus dove il gusto per queste raffigurazioni non passeranno mai di moda. Un ricco, talora splendido corredo di ornamenti che si comincia a trovare tra la metà del I sec. a. C. fino a tutto l’impero, comprende le antefisse con maschere fittili ai cornicioni dei tetti, gli oscilla da appendere in marmo, le pareti affrescate, i rilievi, le statue, i pavimenti in mosaico, i vasi, le appliques , le lucerne. La varietà delle maschere aveva settantasei tipi, ventotto per la tragedia, quarantaquattro per la commedia, quattro per il genere satiresco. Un gruppo di quindici maschere in gesso trovato a Pompei nel 1749, davvero unico, poteva figurare da campionario di bottega, come scrive Maria Rosaria Borriello, per la riconoscibilità dei tipi: su due sono graffiti nomi: uno, Buco, è Bucco, che con Pappus, Maccus, Dossennus, era personaggio dell’atellana. Le cinque sezioni del nitido progetto espositivo di Paolo Bolzani, culminano con Dioniso: dai suoi miti e dai suoi culti nasce il teatro. Qui i diciannove meravigliosi, grandi vasi apuli, magnogreci, lucani, attici anche da Spina (come nella IV sezione il cratere di Paestum e l’hydria attica), raccontano di satiri, ninfe, menadi, delle divinità del suo pantheon, come Apollo e Afrodite, Orfeo, Arianna. Il dio viene smembrato e rinasce, simbolo della tragedia e della speranza dell’uomo.
Il sacrificio è crudeltà totale. Il ventre del capro rovesciato sulla tavola, è sezionato da vivo, carni e viscere mangiate mentre è vivo.
Come il capro, l’acrobata, l’attore sulla tavola o la scena, l’uomo ruota, si rovescia, è smembrato a morte, rimbalza a nuova vita. Occorre sicurezza per il gioco estremo, leggerezza dello spirito purificato.
Catarsi, ebbrezza, riso, commedia, sono strumenti e simboli. Dioniso è il teatro. In Cristo si riassume il finale.
Terenzio passò definitivamente ai caratteri, ai personaggi. Ma come nacque il teatro latino? Di certo fu influenzato da quello greco, dai miti greci e dai culti di Dioniso, che dal VI secolo compaiono nelle rappresentazioni funebri e ludiche dei vasi e delle tombe, in Etruria e in Magna Grecia.
Nella bella mostra allestita dalle Soprintendenze per i Beni Archeologici di EmiliaRomagna e di Napoli e Pompei per RavennAntica nel Complesso di San Nicolò (i reperti provengono dai Musei di Napoli e dell’Emilia Romagna), è visibile il percorso complesso del teatro latino, sopravvissuto fino a noi nel suo spirito (la mostra è a cura di Maria Rosaria Borriello, Luigi Malnati, Valeria Sampaolo. Catalogo Skira a cura dei medesimi e di Giovanna Montevecchi). Gli scavi archeologici, soprattutto in aree etrusche, hanno messo in luce resti di edifici che possono far pensare a usi teatrali, agonistici, pubblici, ma di veri teatri si può parlare, in Campania ed Emilia Romagna, solo per gli oltre venti centri della Campania, dove spiccano quelli di Napoli, Teano, Ercolano, da cui vengono le statue in bronzo di Livia e di L. Mammius Maximus, della seconda metà del I secolo d.C. Così come, per l’Emilia Romagna, di Parma, Bologna, Mevaniola (Galeata), Rimini. Degli edifici rende conto il catalogo, ma anche nella mostra sono presenti diverse ricostruzioni, e un notevole modello di frons scenae di terracotta a stampo colorata del III-II secolo a.C., forse di provenienza magnogreca, che sembra una ceramica votiva. Le testimonianze sul teatro nel suo complesso gli attori, histriones, le maschere, personae dal Phersu che compare nelle tombe etrusche, con tutte le caratterizzazioni, le scene, gli strumenti musicali, prodotti dal culto religioso - provengono per la maggior parte dalle case, le domus dove il gusto per queste raffigurazioni non passeranno mai di moda. Un ricco, talora splendido corredo di ornamenti che si comincia a trovare tra la metà del I sec. a. C. fino a tutto l’impero, comprende le antefisse con maschere fittili ai cornicioni dei tetti, gli oscilla da appendere in marmo, le pareti affrescate, i rilievi, le statue, i pavimenti in mosaico, i vasi, le appliques , le lucerne. La varietà delle maschere aveva settantasei tipi, ventotto per la tragedia, quarantaquattro per la commedia, quattro per il genere satiresco. Un gruppo di quindici maschere in gesso trovato a Pompei nel 1749, davvero unico, poteva figurare da campionario di bottega, come scrive Maria Rosaria Borriello, per la riconoscibilità dei tipi: su due sono graffiti nomi: uno, Buco, è Bucco, che con Pappus, Maccus, Dossennus, era personaggio dell’atellana. Le cinque sezioni del nitido progetto espositivo di Paolo Bolzani, culminano con Dioniso: dai suoi miti e dai suoi culti nasce il teatro. Qui i diciannove meravigliosi, grandi vasi apuli, magnogreci, lucani, attici anche da Spina (come nella IV sezione il cratere di Paestum e l’hydria attica), raccontano di satiri, ninfe, menadi, delle divinità del suo pantheon, come Apollo e Afrodite, Orfeo, Arianna. Il dio viene smembrato e rinasce, simbolo della tragedia e della speranza dell’uomo.
Il sacrificio è crudeltà totale. Il ventre del capro rovesciato sulla tavola, è sezionato da vivo, carni e viscere mangiate mentre è vivo.
Come il capro, l’acrobata, l’attore sulla tavola o la scena, l’uomo ruota, si rovescia, è smembrato a morte, rimbalza a nuova vita. Occorre sicurezza per il gioco estremo, leggerezza dello spirito purificato.
Catarsi, ebbrezza, riso, commedia, sono strumenti e simboli. Dioniso è il teatro. In Cristo si riassume il finale.
Ravenna, Complesso di San Nicolò, HISTRIONICA, Teatri, maschere e spettacoli nel mondo antico, fino al 12 settembre
«Avvenire» del 30 marzo 2010
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