di Giulia Galeotti
Uno studio anglo-norvegese, riportato dalla rivista Social Science & Medicine, avrebbe finalmente individuato la tanto agognata 'ricetta per la felicità'. Nonostante l’umanità si sia da sempre arrovellata alla sua ricerca, gli ingredienti, in realtà, sarebbero sotto gli occhi di tutti, facili e quasi banali. La formula magica per essere felici è quella di diventare genitori di due figli. Due, si badi, non uno di meno, non uno di più. Secondo i ricercatori, a stare peggio in assoluto è chi rinuncia del tutto alla prole o chi opta per un solo figlio: in agguato tumori, cardiopatie, malattie respiratorie, incidenti stradali e dipendenza dall’alcol ecc.. Superando i quattro figli, arrivano invece stress, preoccupazioni economiche e tanti altri imprevisti, potenzialmente mortali. Per lei, si moltiplica il rischio di cancro al collo dell’utero, per lui, aumenta il pericolo di morte violenta. Le indicazioni sono davvero dettagliate. È vero che dal punto di vista della 'gioia familiare' (continuano sempre gli esperti) allevare tre bambini è ancor meglio che accudirne solo due, occorre però considerare anche il rischio di malattie, dipendenza o incidenti, un calcolo che fa scendere il numero perfetto a due figli.
Ad ascoltare la notizia, inizialmente verrebbe quasi da sorridere. Finalmente anche la scienza si è accorta che avere figli fa bene, che prendersi cura 'dei piccoli' non è solo fatica, ripetitività ed impegno, ma un’occupazione che giova alla mente e al corpo. Eppure, questa contabilità riproduttiva ha in sé qualcosa di inquietante. Colpisce innanzitutto come l’enfasi della notizia venga posta sui benefici che l’avere figli produrrebbe sul singolo genitore, quasi che la prole nella 'giusta quantità' sia un nuovo ritrovato per il benessere personale, l’ultimo elisir di giovinezza. D’altro canto, la notizia è l’ennesima conferma di come il credo ormai imperante ed accettato sia quello della pianificazione familiare. Una pianificazione in positivo, ovviamente, presentata in nome del progresso, del miglioramento e della salute. Non da oggi ci siamo piegati alla divinità scientifica, una scienza (o pseudo-tale) cui continuiamo sempre più a delegare, nel piccolo e nel grande, le nostre scelte quotidiane (dal cosa mangiare a come gestire il dolore interiore, da come morire a quanto sport fare). Nessun problema, dunque, se è la scienza a spiegarci e indicarci quando avere i figli, come e quanti avene, nonché (più o meno velatamente) con quali caratteristiche.
Di certo, per l’imprevisto, la gioia, la speranza, l’accoglienza gratuita, l’amore, in una parola per tutto ciò che, semplicemente e misteriosamente, è l’umano con le sue ombre e le sue luci, non sembra esservi (ancora una volta) posto. Nel meraviglioso film Gattaca, i figli dell’amore (contrapposti ai figli della provetta) si vergognavano per essere stati concepiti in modo tanto primitivo.
E selvaggio.
Ad ascoltare la notizia, inizialmente verrebbe quasi da sorridere. Finalmente anche la scienza si è accorta che avere figli fa bene, che prendersi cura 'dei piccoli' non è solo fatica, ripetitività ed impegno, ma un’occupazione che giova alla mente e al corpo. Eppure, questa contabilità riproduttiva ha in sé qualcosa di inquietante. Colpisce innanzitutto come l’enfasi della notizia venga posta sui benefici che l’avere figli produrrebbe sul singolo genitore, quasi che la prole nella 'giusta quantità' sia un nuovo ritrovato per il benessere personale, l’ultimo elisir di giovinezza. D’altro canto, la notizia è l’ennesima conferma di come il credo ormai imperante ed accettato sia quello della pianificazione familiare. Una pianificazione in positivo, ovviamente, presentata in nome del progresso, del miglioramento e della salute. Non da oggi ci siamo piegati alla divinità scientifica, una scienza (o pseudo-tale) cui continuiamo sempre più a delegare, nel piccolo e nel grande, le nostre scelte quotidiane (dal cosa mangiare a come gestire il dolore interiore, da come morire a quanto sport fare). Nessun problema, dunque, se è la scienza a spiegarci e indicarci quando avere i figli, come e quanti avene, nonché (più o meno velatamente) con quali caratteristiche.
Di certo, per l’imprevisto, la gioia, la speranza, l’accoglienza gratuita, l’amore, in una parola per tutto ciò che, semplicemente e misteriosamente, è l’umano con le sue ombre e le sue luci, non sembra esservi (ancora una volta) posto. Nel meraviglioso film Gattaca, i figli dell’amore (contrapposti ai figli della provetta) si vergognavano per essere stati concepiti in modo tanto primitivo.
E selvaggio.
«Avvenire» del 18 marzo 2010
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