L'istruzione del futuro
di Andrea Gavosto *
Tutti coloro che hanno figli conoscono la difficoltà dei ragazzi a discernere le informazioni sulla Rete. Una ricerca su Google sforna pagine e pagine di riferimenti: in tutta questa abbondanza, come distinguere l'informazione importante e attendibile da quella irrilevante o patentemente falsa? Chi non è cresciuto con internet ha costruito con lo studio e buoni insegnanti la capacità di separare il grano dal loglio dell'informazione. Lo stesso deve avvenire oggi con la Rete: insegnare un "senso critico digitale" tocca, in primo luogo, alla scuola.
Questa, peraltro, è solo una delle ragioni per cui la scuola oggi non può fare a meno di internet. Un'altra è che i ragazzi imparano meglio se sono interessati. Lo scollamento fra la mattina, in cui i ragazzi assistono a lezioni tradizionali, con gesso, lavagne e quaderni a quadretti, e il pomeriggio, in cui gli stessi ragazzi passano il tempo al computer o alla playstation, non è mai stato così netto.
Per portare internet dentro la scuola italiana (è uno dei temi del Rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Agnelli in uscita da Laterza questo mese) bisogna innanzitutto abbandonare due convinzioni diffuse, ma sbagliate. Nelle nostre scuole i computer e internet ci sono: siamo appena sotto la media dei paesi avanzati. In secondo luogo, il problema non è quello dell'alfabetizzazione digitale di studenti e docenti. Non c'è adolescente che oggi non sappia usare il computer o la playstation. Ma anche l'80% dei docenti utilizza ormai internet abitualmente (e il 50% tutti i giorni).
Il problema degli insegnanti è semmai culturale e professionale: la loro tendenza – che è la stessa delle attuali politiche scolastiche - resta quella di vedere internet come un'attività scolastica ancillare, che non deve far perdere tempo nello svolgimento dei programmi ministeriali. Le nuove tecnologie, invece, possono e devono essere trasversali, servire a insegnare tutte le materie.
In prospettiva scolastica, le nuove tecnologie hanno due pregi. Intanto, favoriscono la "personalizzazione" dell'apprendimento. La Rete rende la personalizzazione più facile e mette in discussione la composizione di classi formate in base all'età, anziché al livello di competenze acquisito. Il secondo punto di forza dell'Ict è la capacità di simulare scenari. I videogiochi – soprattutto quelli strategici –, come pure software educativi di analoga ispirazione, permettono di apprendere nuove nozioni e, insieme, la capacità di risolvere problemi cognitivi e pratici, simulando "per prova ed errore" che cosa avviene modificando le variabili dello scenario.
Spesso si teme che internet e videogiochi distraggano i ragazzi e ne peggiorino il rendimento. Il rischio c'è, se l'uso delle nuove tecnologie non incontra nessun limite: lo confermano studi internazionali (ad esempio, New Millennium Learners di Ocse-Ceri) da cui apprendiamo anche, però, che un uso non smodato della tecnologia, ancor prima che questa entri nella scuola, migliora gli apprendimenti.
In conclusione: le nuove tecnologie e internet sono solo strumenti, ma strumenti oggi indispensabili per la vita e il lavoro. Sono gli insegnanti che devono guidare i ragazzi a un loro uso critico e vantaggioso, evitando che si perdano nella melassa indistinta della Rete.
Questa, peraltro, è solo una delle ragioni per cui la scuola oggi non può fare a meno di internet. Un'altra è che i ragazzi imparano meglio se sono interessati. Lo scollamento fra la mattina, in cui i ragazzi assistono a lezioni tradizionali, con gesso, lavagne e quaderni a quadretti, e il pomeriggio, in cui gli stessi ragazzi passano il tempo al computer o alla playstation, non è mai stato così netto.
Per portare internet dentro la scuola italiana (è uno dei temi del Rapporto sulla scuola in Italia 2010 della Fondazione Agnelli in uscita da Laterza questo mese) bisogna innanzitutto abbandonare due convinzioni diffuse, ma sbagliate. Nelle nostre scuole i computer e internet ci sono: siamo appena sotto la media dei paesi avanzati. In secondo luogo, il problema non è quello dell'alfabetizzazione digitale di studenti e docenti. Non c'è adolescente che oggi non sappia usare il computer o la playstation. Ma anche l'80% dei docenti utilizza ormai internet abitualmente (e il 50% tutti i giorni).
Il problema degli insegnanti è semmai culturale e professionale: la loro tendenza – che è la stessa delle attuali politiche scolastiche - resta quella di vedere internet come un'attività scolastica ancillare, che non deve far perdere tempo nello svolgimento dei programmi ministeriali. Le nuove tecnologie, invece, possono e devono essere trasversali, servire a insegnare tutte le materie.
In prospettiva scolastica, le nuove tecnologie hanno due pregi. Intanto, favoriscono la "personalizzazione" dell'apprendimento. La Rete rende la personalizzazione più facile e mette in discussione la composizione di classi formate in base all'età, anziché al livello di competenze acquisito. Il secondo punto di forza dell'Ict è la capacità di simulare scenari. I videogiochi – soprattutto quelli strategici –, come pure software educativi di analoga ispirazione, permettono di apprendere nuove nozioni e, insieme, la capacità di risolvere problemi cognitivi e pratici, simulando "per prova ed errore" che cosa avviene modificando le variabili dello scenario.
Spesso si teme che internet e videogiochi distraggano i ragazzi e ne peggiorino il rendimento. Il rischio c'è, se l'uso delle nuove tecnologie non incontra nessun limite: lo confermano studi internazionali (ad esempio, New Millennium Learners di Ocse-Ceri) da cui apprendiamo anche, però, che un uso non smodato della tecnologia, ancor prima che questa entri nella scuola, migliora gli apprendimenti.
In conclusione: le nuove tecnologie e internet sono solo strumenti, ma strumenti oggi indispensabili per la vita e il lavoro. Sono gli insegnanti che devono guidare i ragazzi a un loro uso critico e vantaggioso, evitando che si perdano nella melassa indistinta della Rete.
* Andrea Gavosto è il direttore della Fondazione Giovanni Agnelli
«Il Sole 24 Ore» del 19 marzo 2010
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