di Michele Brambilla
Oggi pubblichiamo un’inchiesta che manda un po’ in crisi il mito della scuola pubblica libera e gratuita per tutti. L’ha fatta Flavia Amabile e la trovate alle pagine 8 e 9. La riassumiamo a beneficio soprattutto di chi non ha figli a scuola, e troverà incredibili alcuni dei fatti che riportiamo. Ad esempio. La tassa statale per l’esame di maturità è di 12,03 euro: ma sono sempre di più gli istituti che richiedono un contributo straordinario. Chi 20 euro, chi 30, chi 50. Qualcuno arriva a chiederne 90.
Si tratta naturalmente di contributi volontari, come volontari sono i versamenti che sempre più spesso vengono richiesti all’inizio di ogni anno scolastico. Mi permetto una testimonianza personale. Al liceo classico (statale, s’intende) frequentato da mia figlia, quest’anno si è chiesto un contributo di 120 euro per alcune spese correnti cui non si riusciva a fare fronte: fra quelle indicate, l’acquisto dei cestini per gli assorbenti delle ragazze. Mi si perdoni se entro nei particolari: ma serve per dare l’idea di come sono ridotti i budget delle scuole. D’altra parte potete leggere anche nell’inchiesta della collega Amabile che lo stesso acquisto della carta igienica è a volte un problema. Così come le fotocopie: sono sempre più numerosi gli insegnanti che chiedono agli studenti di provvedere da soli.
Ovviamente non è che presidi e professori siano impazziti. Sono semplicemente costretti a fare i conti con una scuola che è alla canna del gas. Dicono - i responsabili degli istituti che chiedono questi contributi volontari - che negli anni scorsi le singole scuole hanno anticipato complessivamente un miliardo di euro, che il ministero non può restituire. Per questo si richiede un sacrificio alle famiglie. Su come si sia arrivati a questa quasi bancarotta ci sono diverse opinioni. C’è chi sostiene che si è sprecato troppo denaro, moltiplicando insegnanti e corsi (parecchi dei quali inutili). C’è al contrario chi accusa gli ultimi governi di avere più o meno deliberatamente lasciato morire la scuola pubblica.
Quale che sia la verità, ci chiediamo se sia giusto presentare il conto alle famiglie. Le quali già pagano le tasse: e sappiamo che in Italia non sono poche, soprattutto per chi non le può evadere. In più, quando mandano i figli a scuola, hanno già una serie di costi ben superiori alle semplici tasse di iscrizione. Nonostante si sia tanto parlato di un «tetto» per l’acquisto dei libri di testo, ad esempio, la spesa è spesso altissima, insospettabile da chi non ha figli a scuola. Altro esempio personale: sempre per mia figlia che fa il classico, quest’anno 570 euro.
Va detto che alcune spese sono anche conseguenze dei nostri tempi. Oggi ad esempio una classe che va in gita scolastica a Firenze o a Venezia è considerata un club di pezzenti. Si va a Barcellona, a Londra, a Monaco di Baviera, e così via: «viaggi di istruzione» che comportano per le famiglie esborsi di 400-500 euro tra aereo e albergo, più l’argent de poche per i nostri rampolli, ben più fortunati di noi genitori che ricordiamo memorabili escursioni al planetario o al museo della scienza e della tecnica.
Ma se su certe spese si potrebbe vigilare facilmente, non c’è dubbio che sull’ordinaria amministrazione che presidi e insegnanti (per altro una delle categorie peggio pagate d’Italia) sono costretti a fare i salti mortali. Non si può dare colpa alle singole scuole, e probabilmente non si può dare colpa neppure a un ministero anch’esso costretto a tirare la cinghia. E dunque? Forse una pur parziale e provvisoria via d’uscita - in questo Paese dove, chiunque vada al governo, le tasse non calano mai - sarebbe quella di aiutare alla fonte le famiglie, con sgravi fiscali crescenti per numeri di figli. Il famoso «quoziente familiare», che nessuno sembra avere il coraggio di introdurre, e che invece all’estero - in Francia, ad esempio - è spesso una cosa ovvia. Stiamo parlando di un abbattimento delle tasse vero, non delle cosiddette detrazioni per numero di figli attualmente in vigore, le quali non appartengono al mondo degli aiuti ma a quello delle barzellette.
Nei giorni scorsi c’è stata una specie di giornata nazionale dedicata a «Quanto costa un figlio». Credo che parlare di un figlio come di un costo sia terribilmente squallido. Un figlio è un essere umano che viene al mondo, un’apertura al grande mistero della vita, e quando se ne fa uno bisognerebbe avere un po’ più di coraggio e fare un po’ meno calcoli. Però resta incomprensibile che un paese moderno non solo faccia poco per aiutare chi fa figli, ma metta poi le scuole nella penosa condizione di chiedere un obolo per la carta igienica. Negli Stati Uniti e in Cina, fra le misure per la ripresa, hanno deciso finanziamenti per l’istruzione e per la formazione: nella convinzione che il primo passo per uscire dalla crisi è investire sui giovani.
Si tratta naturalmente di contributi volontari, come volontari sono i versamenti che sempre più spesso vengono richiesti all’inizio di ogni anno scolastico. Mi permetto una testimonianza personale. Al liceo classico (statale, s’intende) frequentato da mia figlia, quest’anno si è chiesto un contributo di 120 euro per alcune spese correnti cui non si riusciva a fare fronte: fra quelle indicate, l’acquisto dei cestini per gli assorbenti delle ragazze. Mi si perdoni se entro nei particolari: ma serve per dare l’idea di come sono ridotti i budget delle scuole. D’altra parte potete leggere anche nell’inchiesta della collega Amabile che lo stesso acquisto della carta igienica è a volte un problema. Così come le fotocopie: sono sempre più numerosi gli insegnanti che chiedono agli studenti di provvedere da soli.
Ovviamente non è che presidi e professori siano impazziti. Sono semplicemente costretti a fare i conti con una scuola che è alla canna del gas. Dicono - i responsabili degli istituti che chiedono questi contributi volontari - che negli anni scorsi le singole scuole hanno anticipato complessivamente un miliardo di euro, che il ministero non può restituire. Per questo si richiede un sacrificio alle famiglie. Su come si sia arrivati a questa quasi bancarotta ci sono diverse opinioni. C’è chi sostiene che si è sprecato troppo denaro, moltiplicando insegnanti e corsi (parecchi dei quali inutili). C’è al contrario chi accusa gli ultimi governi di avere più o meno deliberatamente lasciato morire la scuola pubblica.
Quale che sia la verità, ci chiediamo se sia giusto presentare il conto alle famiglie. Le quali già pagano le tasse: e sappiamo che in Italia non sono poche, soprattutto per chi non le può evadere. In più, quando mandano i figli a scuola, hanno già una serie di costi ben superiori alle semplici tasse di iscrizione. Nonostante si sia tanto parlato di un «tetto» per l’acquisto dei libri di testo, ad esempio, la spesa è spesso altissima, insospettabile da chi non ha figli a scuola. Altro esempio personale: sempre per mia figlia che fa il classico, quest’anno 570 euro.
Va detto che alcune spese sono anche conseguenze dei nostri tempi. Oggi ad esempio una classe che va in gita scolastica a Firenze o a Venezia è considerata un club di pezzenti. Si va a Barcellona, a Londra, a Monaco di Baviera, e così via: «viaggi di istruzione» che comportano per le famiglie esborsi di 400-500 euro tra aereo e albergo, più l’argent de poche per i nostri rampolli, ben più fortunati di noi genitori che ricordiamo memorabili escursioni al planetario o al museo della scienza e della tecnica.
Ma se su certe spese si potrebbe vigilare facilmente, non c’è dubbio che sull’ordinaria amministrazione che presidi e insegnanti (per altro una delle categorie peggio pagate d’Italia) sono costretti a fare i salti mortali. Non si può dare colpa alle singole scuole, e probabilmente non si può dare colpa neppure a un ministero anch’esso costretto a tirare la cinghia. E dunque? Forse una pur parziale e provvisoria via d’uscita - in questo Paese dove, chiunque vada al governo, le tasse non calano mai - sarebbe quella di aiutare alla fonte le famiglie, con sgravi fiscali crescenti per numeri di figli. Il famoso «quoziente familiare», che nessuno sembra avere il coraggio di introdurre, e che invece all’estero - in Francia, ad esempio - è spesso una cosa ovvia. Stiamo parlando di un abbattimento delle tasse vero, non delle cosiddette detrazioni per numero di figli attualmente in vigore, le quali non appartengono al mondo degli aiuti ma a quello delle barzellette.
Nei giorni scorsi c’è stata una specie di giornata nazionale dedicata a «Quanto costa un figlio». Credo che parlare di un figlio come di un costo sia terribilmente squallido. Un figlio è un essere umano che viene al mondo, un’apertura al grande mistero della vita, e quando se ne fa uno bisognerebbe avere un po’ più di coraggio e fare un po’ meno calcoli. Però resta incomprensibile che un paese moderno non solo faccia poco per aiutare chi fa figli, ma metta poi le scuole nella penosa condizione di chiedere un obolo per la carta igienica. Negli Stati Uniti e in Cina, fra le misure per la ripresa, hanno deciso finanziamenti per l’istruzione e per la formazione: nella convinzione che il primo passo per uscire dalla crisi è investire sui giovani.
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Dagli esami di Stato alla pagella, dai corsi di recupero fino alle lettere: tutto quello che le scuole chiedono alle famiglie di pagare
Maturità, doppia tassa
di Flavia Amabile
Maturità, doppia tassa
di Flavia Amabile
Una doppia tassa sulla maturità finora non si era ancora sentita, ma nelle scuole ormai ci si è abituati a tutto. Non è più come anni fa, quando per frequentare un istituto pubblico bastava pagare il bollettino dell'iscrizione di qualche decina di euro, quello della mensa più o meno analogo, e non molto di più per un anno intero.
Ora a scuola si va con il tariffario. Consulti una delle pagine dei siti e sembra di guardare il link ad un albergo o un centro benessere: tutto (o quasi) si paga, dal ritiro del diploma alle lettere ricevute a casa, dai corsi di recupero all’esame di maturità per i privatisti per il quale i prezzi possono aumentare anche di dieci volte rispetto a quelli praticati agli alunni interni.
E' la crisi, è l’effetto dei tagli di Tremonti, e di un miliardo di euro tra supplenze e fondi per il funzionamento ordinario che le scuole hanno anticipato e che ora il ministero fa finta di non dover restituire alle scuole, spiegano i sindacati e politici dell’opposizione. «Da quest’anno non solo le scuole corrono il rischio di avere trasferimenti inadeguati, ma anche di vedere cancellata qualsiasi possibilità di recuperare i propri crediti», avverte Mariangela Bastico del Pd. Mentre Manuela Ghizzoni, sempre del Pd, sulla vicenda ha presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo l’intervento del ministero che nonostante le denunce non aveva ancora assunto una posizione ufficiale.
Manca un miliardo nelle scuole, insomma. E’ una cifra di tutto rispetto: i dirigenti scolastici, sono costretti a inventare di tutto pur di far quadrare conti che in queste condizioni sembra impossibile far quadrare. Anche raddoppiare le tasse. Finora esisteva una sola tassa per la maturità, da versare allo Stato, di 12,03 euro. Quest’anno almeno una scuola su due ha chiesto agli studenti dell’ultimo anno una doppia tassa: quella regolare con bollettino intestato all’Agenzia delle Entrate, e la seconda invece con bollettino intestato alle scuole, a volte addirittura agli stessi dirigenti scolastici come accade all’Itc Cesare Beccaria di Carbonia.
Alcuni studenti e genitori hanno pagato senza protestare. Altri invece non hanno mandato giù la seconda tassa. All'istituto Piaget di Roma, ad esempio dove una decina di ragazzi si sono rifiutati di pagare. Anche perché la richiesta era di 100 euro, piuttosto cara rispetto alla media. Sono state minacciate ritorsioni da parte della dirigenza ma i ragazzi non intendono fare marcia indietro. La maggior parte degli istituti infatti si limita a chiedere un contributo di una ventina di euro. «Per le fotocopie, e le spese di segreteria. E’ solo doveroso nella condizione in cui sono costrette a andare avanti le scuole», spiega Antonio Gaeta dirigente scolastico del Polo Didattico di Passo Corese, in provincia di Rieti.
E in genere i genitori accettano il pagamento, a meno che le spese non risultino particolarmente elevate come al Piaget di Roma, oppure in Puglia a Ceglie Messapica, all'Istituto tecnico Agostinelli dove il tariffario prevede una «tassa per la maturità» di 50 euro o al liceo scientifico «De Sanctis» di Salerno dove se ne pagano 90. E’ a quel punto che qualcuno inizia a chiedersi se la seconda tassa è davvero una tassa o soltanto un contributo, e quindi se esista l’obbligo di pagarla oppure no.
Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini lo ha finalmente chiarito pochi giorni fa, ricordando ai dirigenti scolastici che non hanno alcun diritto di chiedere soldi alle famiglie. Alcuni dirigenti però la pensano diversamente come Marco Bevilacqua, a capo dell’istituto Ambrosoli di Roma, che di fronte alle proteste per aver chiesto 200 euro per frequentare l’istituto ricorda l’esistenza di un Patto educativo di corresponsabilità sottoscritto da genitori al momento dell’iscrizione che prevede l’obbligatorietà dei contributi decisi dalle scuole.
Insomma, pagare si deve sostengono alcuni dirigenti. E quindi nascono le voci più varie. Doppie tasse sulla maturità, doppie tasse di iscrizione, ma anche molto altro. All’Istituto d’Arte Licini di Ascoli Piceno si chiede ogni anno una seconda tassa di iscrizione per la scuola di 90 euro obbligatoria anche per le famiglie che per legge sarebbero esentate dal pagamento della tassa imposta dallo Stato. E poi 10 euro per le «spese postali per comunicazioni alle famiglie e gestione informatizzata delle assenze», e ancora 1 euro per l’acquisto della pagella scolastica. Situazione simile al professionale Datini di Prato dove la seconda tassa sulla maturità è di 51 euro (i privatisti pagano il doppio), le doppie iscrizioni ai vari indirizzi sono tutte di oltre 100 euro a seconda dei vari indirizzi, ma comunque si chiede 1 euro a tutti per un non meglio identificato «fondo di solidarietà».
I prezzi non appaiono sui tariffari ufficiali ma spesso le scuole si fanno pagare anche i corsi di recupero organizzati per aiutare a metà anno gli studenti in difficoltà. Secondo un sondaggio del sito Skuola.net più di una scuola su 10 chiede una cifra in cambio del corso.
Un capitolo a parte sono i privatisti, da sempre territorio di caccia di fondi da parte di presidi di ogni epoca. Quest’anno all’Istituto Comprensivo Statale di Oppido Mamertina per la maturità gli interni pagano una tassa di 30 euro, i privatisti di 80, quasi tre volte di più. Ancora nulla rispetto al professionale Einaudi di Ferrara, dove gli interni pagano 25,82 euro e i privatisti 206,58, quasi nove volte di più. E’ l’autonomia scolastica: in tempo di crisi somiglia terribilmente a un suq, in cui ognuno fa come gli pare.
Ora a scuola si va con il tariffario. Consulti una delle pagine dei siti e sembra di guardare il link ad un albergo o un centro benessere: tutto (o quasi) si paga, dal ritiro del diploma alle lettere ricevute a casa, dai corsi di recupero all’esame di maturità per i privatisti per il quale i prezzi possono aumentare anche di dieci volte rispetto a quelli praticati agli alunni interni.
E' la crisi, è l’effetto dei tagli di Tremonti, e di un miliardo di euro tra supplenze e fondi per il funzionamento ordinario che le scuole hanno anticipato e che ora il ministero fa finta di non dover restituire alle scuole, spiegano i sindacati e politici dell’opposizione. «Da quest’anno non solo le scuole corrono il rischio di avere trasferimenti inadeguati, ma anche di vedere cancellata qualsiasi possibilità di recuperare i propri crediti», avverte Mariangela Bastico del Pd. Mentre Manuela Ghizzoni, sempre del Pd, sulla vicenda ha presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo l’intervento del ministero che nonostante le denunce non aveva ancora assunto una posizione ufficiale.
Manca un miliardo nelle scuole, insomma. E’ una cifra di tutto rispetto: i dirigenti scolastici, sono costretti a inventare di tutto pur di far quadrare conti che in queste condizioni sembra impossibile far quadrare. Anche raddoppiare le tasse. Finora esisteva una sola tassa per la maturità, da versare allo Stato, di 12,03 euro. Quest’anno almeno una scuola su due ha chiesto agli studenti dell’ultimo anno una doppia tassa: quella regolare con bollettino intestato all’Agenzia delle Entrate, e la seconda invece con bollettino intestato alle scuole, a volte addirittura agli stessi dirigenti scolastici come accade all’Itc Cesare Beccaria di Carbonia.
Alcuni studenti e genitori hanno pagato senza protestare. Altri invece non hanno mandato giù la seconda tassa. All'istituto Piaget di Roma, ad esempio dove una decina di ragazzi si sono rifiutati di pagare. Anche perché la richiesta era di 100 euro, piuttosto cara rispetto alla media. Sono state minacciate ritorsioni da parte della dirigenza ma i ragazzi non intendono fare marcia indietro. La maggior parte degli istituti infatti si limita a chiedere un contributo di una ventina di euro. «Per le fotocopie, e le spese di segreteria. E’ solo doveroso nella condizione in cui sono costrette a andare avanti le scuole», spiega Antonio Gaeta dirigente scolastico del Polo Didattico di Passo Corese, in provincia di Rieti.
E in genere i genitori accettano il pagamento, a meno che le spese non risultino particolarmente elevate come al Piaget di Roma, oppure in Puglia a Ceglie Messapica, all'Istituto tecnico Agostinelli dove il tariffario prevede una «tassa per la maturità» di 50 euro o al liceo scientifico «De Sanctis» di Salerno dove se ne pagano 90. E’ a quel punto che qualcuno inizia a chiedersi se la seconda tassa è davvero una tassa o soltanto un contributo, e quindi se esista l’obbligo di pagarla oppure no.
Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini lo ha finalmente chiarito pochi giorni fa, ricordando ai dirigenti scolastici che non hanno alcun diritto di chiedere soldi alle famiglie. Alcuni dirigenti però la pensano diversamente come Marco Bevilacqua, a capo dell’istituto Ambrosoli di Roma, che di fronte alle proteste per aver chiesto 200 euro per frequentare l’istituto ricorda l’esistenza di un Patto educativo di corresponsabilità sottoscritto da genitori al momento dell’iscrizione che prevede l’obbligatorietà dei contributi decisi dalle scuole.
Insomma, pagare si deve sostengono alcuni dirigenti. E quindi nascono le voci più varie. Doppie tasse sulla maturità, doppie tasse di iscrizione, ma anche molto altro. All’Istituto d’Arte Licini di Ascoli Piceno si chiede ogni anno una seconda tassa di iscrizione per la scuola di 90 euro obbligatoria anche per le famiglie che per legge sarebbero esentate dal pagamento della tassa imposta dallo Stato. E poi 10 euro per le «spese postali per comunicazioni alle famiglie e gestione informatizzata delle assenze», e ancora 1 euro per l’acquisto della pagella scolastica. Situazione simile al professionale Datini di Prato dove la seconda tassa sulla maturità è di 51 euro (i privatisti pagano il doppio), le doppie iscrizioni ai vari indirizzi sono tutte di oltre 100 euro a seconda dei vari indirizzi, ma comunque si chiede 1 euro a tutti per un non meglio identificato «fondo di solidarietà».
I prezzi non appaiono sui tariffari ufficiali ma spesso le scuole si fanno pagare anche i corsi di recupero organizzati per aiutare a metà anno gli studenti in difficoltà. Secondo un sondaggio del sito Skuola.net più di una scuola su 10 chiede una cifra in cambio del corso.
Un capitolo a parte sono i privatisti, da sempre territorio di caccia di fondi da parte di presidi di ogni epoca. Quest’anno all’Istituto Comprensivo Statale di Oppido Mamertina per la maturità gli interni pagano una tassa di 30 euro, i privatisti di 80, quasi tre volte di più. Ancora nulla rispetto al professionale Einaudi di Ferrara, dove gli interni pagano 25,82 euro e i privatisti 206,58, quasi nove volte di più. E’ l’autonomia scolastica: in tempo di crisi somiglia terribilmente a un suq, in cui ognuno fa come gli pare.
«La Stampa» del 29 marzo 2010
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