17 gennaio 2011

La ricreazione è finita: la scuola ricomincia sotto una buona Stella

Con l’inizio del nuovo anno debutta la riforma Gelmini Troppo moderata? Forse. Ma di sicuro rivoluzionaria
di Marcello Veneziani
Mariastella Gelmini ha un'età indefinibile, tra gli undici e i set­tantuno anni. A volte sembra un'adolescente con lenti correttive, secchiona e assai educata, forse anche un po' repressa, che studia in una scuola privata, dalle orsoli­ne. A volte appare come un'anzia­na nubile che si mantiene giova­ne per la vita sana e rigorosa, usando vita snella, fave di fuca, pedana mobile e personal trainer per tenersi in forma. A volte sem­bra una misteriosa segretaria d'azienda, nata stenografa, che conosce tutti i segreti dell'azien­da e del suo padrone ma non le scuci un pelo di bocca; una di quelle segretarie perfettine e mor­bosette che suscitano qualche lie­ve sogno perverso nei suoi supe­riori, che le fanno pure piedino. A volte, anzi, la vedi proprio come una sensuale signorina che na­sconde bene la ninfomania e la forte tempesta ormonale dietro un look castigato e perciò anco­ra più eccitante per i sado­maso. In ogni caso non si di­rebbe una mamma, come invece lo è, piuttosto una zia. Non me la vedo ad allat­tare, piuttosto a interrogare il bambino: un cucchiaio di omogeneizzati ad ogni ri­sposta esatta. Meritocrazia, bambino, meritocrazia. Pensatela come preferite, ma la Gelmini si è rivelata un bel ministro tosto e co­raggioso, diciamo la Mar­chionne della Pubblica istruzione. Azienda in forte crisi come la Fiat, anche per errori antichi. La sua Fiom-Cgil sono i professori e so­prattutto le professoresse che vedono, sentono e pen­sano rosso; e gli studenti fe­lini che vanno sui tetti, accompagnati dai ricercatori gattoni. O vanno in corteo, assediano i palazzi, sfascia­no le vetrine non potendo direttamente sfasciare lei, che pure ha quel nome così leggiadro da fatina. Ora che riaprono le scuo­le e le università dopo la pausa vacanziera, vedremo come andrà il debutto della riforma griffata Mariastel­la. Forse la sua riforma è pic­cina e fin troppo moderata per poter davvero parlare di un evento epocale o di una rivoluzione, ma ci è piaciu­ta l'ardita motivazione idea­le e culturale che la Gelmini ha dato alla sua riforma: la ricreazione del Sessantotto è finita, adesso finalmente si volta pagina, il sessantot­to è finito. Ammazza che im­presa. Un bel cazzottone nella pancia di tanti professori che vengono da lì, e sull' utopia sessantottarda han­no costruito tutta la loro vi­ta e la loro carriera o hanno succhiato il latte dalla scuo­la e dall'università venute dal Sessantotto. Una botta tremenda data così, senza battere ciglio, con gentile crudeltà, con quell'aria da marziana, anzi da preside d'altri tempi o d'altre galas­sie. Gli altri si agitano, urla­no, strepitano. Lei, calma e professorale, col sorrisino d'acciaio e il frustino invisi­bile tra le mani, va avanti con la sua vocina senza mai incepparsi, incurante della bolgia e degli odi che susci­ta. Nell'immaginario della gente, la Gelmini appare co­me una maestrina che usa la bacchetta e dà le spalma­te ai ragazzi, secondo il rego­lamento della scuola britan­nica varata dal laburista Bla­ir. Ma non si scompone, non lascia segni, giova persi­no alle vittime. Immagino quanto l'avrà fatta soffrire, non tanto la si­nistra da piazza e da sog­giorno, da passeggio e da lotta, le vignette e gli artico­li contro di lei, quanto il più terribile braccino corto che la repubblica italiana ricor­di, secondo solo a Giuliano Amato del '92. Dico Giulio Tremonti, l'Avaro del Teso­ro, il Tirchio della Provvi­denza, che ha castigato pu­re la zarina della scuola ita­liana, lesinandole la paghet­ta e gli investimenti. Per molto tempo lei è apparsa soltanto come la longa ma­nus di Tremonti, colei che doveva portare in classe i ta­gli del ministro. Ma lei, ca­patosta, giovandosi perfino dei rivoltosi e dei giornali che urlavano contro di lei, è riuscita a scucire soldi a Tre­monti e a ripristinare i fon­di per l'Università quasi co­me in passato. E, toma to­ma cacchia cacchia, ha fat­to la sua riforma. Non so se questa riforma valorizzerà davvero il merito e la re­sponsabilità, la qualità de­gli studi e la serietà di chi studia. Ma già annunciarla in questo modo, già spiega­re che la ragione sociale del­la riforma è quella lì, è un gran passo avanti. Anzi una svolta rispetto al passato. Certo, sarà una fatica far partire davvero la scuola «a premio», finora non c'è riu­scito nessuno ma lei è forse la prima che davvero ci sta provando. Questa è una scuola abituata al contra­rio, fondata su un egualitari­smo arretrato, di stampo cattosovietico, da far pau­ra. Immagino il boicottag­gio, la Repubblica soffia quasi ogni giorno sul fuoco dei docenti per incitarli alla rivolta. Non so cosa pensi di lei Berlusconi ma a volte ho l'impressione che sia un po' intimorito come davanti a una severa insegnante di la­tino e greco, che sul più bel­lo ti può interrogare e man­darti poi dietro la lavagna. Però dev'essere abbastanza contento se si parla da tem­po di affidarle una scuola delle più tormentate: nien­temeno che la scuola media unica Popolo della libertà, ovvero il Partito intero. Via il modulo, cioè la terna d'in­segnanti che c'è adesso, per il Pdl si torna all'insegnante unico, la Maestra Mariastel­la. Non so, e francamente non me la vedo a navigare nella politica politicante, negoziare con i ras regiona­li, controllare il territorio. Me la vedo più là, dov'è at­tualmente, magari sotto as­sedio, in trincea. Credo che stia facendo bene come mi­nistro, soprattutto se si con­sidera che aveva in parten­za tre handicap: ragazza senza curriculum, con una macchia nera calabrese ne­gli esami professionali; una platea di utenti immensa e avversa già per natura a tut­ti i ministri della pubblica istruzione, figuriamoci a una extraterrestre come lei, per giunta nordica in un'azienda piena di centrome­ridionali; infine erede ri­spetto al governo Berlusco­ni precedente dell'Impo­nente Letizia Moratti. Be’, Mariastella ha superato la prova. Si è rivelata idonea agli esami. Perfino i finiani l'hanno votata, dopo che qualcuno di loro si era ar­rampicato sui tetti. Insom­ma Mariastella ha funziona­to nel ruolo di domatrice di tigri e leoni. Anche perché, come nella famosa barzel­­letta, ha capito subito che quei leoni e quelle tigri fero­ci erano in realtà precari che si travestivano da belve al circo per campare. Maria­stella, sei la nostra stella co­meta.
«Il Giornale» del 9 gennaio 2011

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