23 gennaio 2011

Il «De senectute» del XXI secolo

di Anselm Grün
Spesso, da persone che hanno lasciato la vita lavorativa, si sente la frase: «Una volta vivevo sempre con l’agenda. Dovevo pianificare esattamente i miei appuntamenti. Qualche volta era un peso. Ma anche vivere senza agenda, come adesso, non è tanto semplice». Alcuni di quelli che fanno quest’esperienza si chiedono che cosa possono fare perché la loro vecchiaia non diventi un tempo sprecato, inutilizzato. Come si può, da vecchi, fare l’esperienza del tempo in modo nuovo? Le nostre agende hanno il senso di farci sfruttare bene il nostro tempo. Strutturiamo la nostra giornata in modo da poter portare a termine i compiti importanti nel tempo a nostra disposizione. Le persone anziane non hanno più bisogno di programmare il loro tempo fino all’ultimo secondo, perché non devono più rendere il più possibile. È bene, però, che diano al loro tempo una buona struttura. Ognuno dovrebbe scegliere un buon ritmo per la propria giornata. La variazione che portiamo nella giornata attraverso il ritmo ci fa bene. Il tempo sarebbe sprecato se fosse riempito di cose futili, di un continuo brontolare, di rabbia e di liti. Nella vecchiaia non dobbiamo più rendere, ma sarebbe bene vivere il tempo in maniera consapevole. È un’arte che dobbiamo imparare ora, nella vecchiaia: essere interamente nell’attimo, concentrarci sulle conversazioni che abbiamo, assaporare l’incontro con le persone, lasciarci tempo per gli altri. Il tempo, però, è anche tempo compiuto quando leggo ciò che mi interessa, quando ascolto musica o gioisco di una passeggiata. Se viviamo davvero, il tempo è sempre tempo pieno. La prima frase di Gesù che l’evangelista Marco ci tramanda è: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1 ,15).
Il tempo – afferma dunque Gesù – è compiuto se è Dio a regnare su di me e non più la pressione delle molte scadenze o le aspettative delle persone. Nella vecchiaia non sono più tenuto a esaudire le aspettative altrui.
Posso vivere in prima persona. Si potrebbe definire il regno di Dio come lo spazio in cui mi è lecito vivere in prima persona, invece di essere vissuto. Chi è interamente nell’attimo e vive consapevolmente proprio quell’attimo fa l’esperienza del tempo come di tempo compiuto. Non è un tempo sprecato, un tempo inutilizzato, ma nemmeno un tempo sottoposto alla pressione di dover ancora farci stare il maggior numero di cose. È tempo regalato, tempo piacevole, tempo di grazia, come lo chiama l’apostolo Paolo.
Agli anziani piace raccontare del passato. Per la generazione successiva può senz’altro essere interessante. Ci sono persone anziane che si ascoltano volentieri quando raccontano del passato. Ma ci sono anche persone con le quali ci si dispone a fare entrare le cose da un orecchio e a farle uscire dall’altro, perché si sono sentite già tante volte le vecchie storie. C’è una differenza nel modo in cui racconto del passato, se metto soltanto me stesso e le mie grandi imprese al centro dell’attenzione o se parlo di esperienze che ho fatto con le persone o se rifletto anche su ciò che ho vissuto e cerco di comprenderne il significato per la nostra vita oggi.
È importante trasmettere le esperienze e i valori del passato. Ne traggono profitto anche gli altri. Ma, anche da anziani, non bisognerebbe rimanere a quello che è stato. Anche da anziani dobbiamo senz’altro pensare al nostro futuro. Non sappiamo quanti anni Dio ci donerà ancora. Possiamo però pianificare il nostro futuro, dei viaggi, una vacanza. Ciascuno dovrebbe riflettere su come gli piacerebbe vivere gli anni a venire, che cosa vorrebbe ancora realizzare e fare all’esterno. In tutto ciò che programma, però, dovrebbe aggiungere la riserva: «Se Dio vuole». Nella storia ci sono sempre stati vecchi che, in qualità di profeti, hanno avuto un occhio particolare per il futuro. Li incontriamo anche nella Bibbia. Per esempio, Simeone e Anna nella storia dell’infanzia di Gesù narrata da Luca. Il loro esempio dimostra che gli anziani non hanno soltanto il compito di provvedere al proprio futuro e pianificarlo. Spesso hanno anche una responsabilità particolare per il futuro dell’umanità.
Simeone e Anna, i due vecchi, riconoscono chi è quel bambino, Gesù, e che cosa porterà al mondo. Le persone anziane, quindi, hanno spesso un occhio particolare per quello di cui c’è bisogno per il futuro del mondo e per che cosa potrebbe essergli d’aiuto per trasformarsi in un futuro migliore. Devono anche comunicarlo all’esterno, ciascuno a modo suo. La nonna fa semplicemente coraggio ai nipoti per il futuro, senza vedere in profondità in esso. Un’altra persona, che ha avuto un posto di responsabilità in un’azienda e ha imparato a conoscere i meccanismi della gestione economica, anche a distanza è in grado di fornire buoni consigli, non soltanto per la sua ex azienda, ma, in generale, per un tipo di gestione che tornerà a benedizione di questo mondo.
Ma forse anche proprio con il suo operato. Anthony de Mello racconta una bella storia a questo proposito. Stava per arrivare la stagione dei monsoni e uno vide come il suo vicino, un uomo di età molto avanzata, scavava dei buchi profondi nel suo giardino. «Che cosa fate?», chiese. «Pianto alberi di mango», fu la risposta. «Volete ancora mangiare i frutti di questi alberi?». «No», replicò il vecchio, «non vivrò più così a lungo. Ma ci saranno degli altri. Poco tempo fa mi è venuto in mente che per tutta la vita ho mangiato dei manghi piantati da altri. In questo modo desidero dimostrare loro la mia gratitudine».
Si può raccontare il passato ai nipotini o riscoprire la bellezza di una passeggiata o l’ascolto della musica: perché ha un senso l’attività post-lavorativa. Ecco come vivere senza agenda.
«Avvenire» del 23 gennaio 2011

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