Il dramma di sara, tv spietata
di Mirella Poggialini
Siamo tornati a Vermicino.
Vergogna. La notte tragica e surreale di Raitre, con la foga allucinata di giornalisti che in 'Chi l’ha visto?' aizzavano i cronisti sul posto a interrogare la madre della ragazzina uccisa, ha segnato un momento nerissimo della coscienza e della pietà, cancellate dalla voglia di scoop in nome di un preteso diritto all’informazione. Una pagina crudele, per il pur lodevole programma che avrebbe dovuto limitarsi al suo compito di servizio, ritrovare persone scomparse. E pur se Federica Sciarelli si è scusata e giustificata, giovedì pomeriggio su Raiuno, per la presenza della madre di Sara, la piccola vittima, proprio nella casa dell’assassino, davanti alle telecamere invadenti e feroci, non si può dimenticare la faccia di marmo della povera donna, sconvolta, l’incalzare delle domande, la furia delle esclamazioni, l’assedio di interrogativi ai quali certamente lei, la madre lì crocifissa, non avrebbe mai potuto dare risposta… Come nella mai dimenticata tragedia di Vermicino, trent’anni fa, la telecamera ha consentito lo scempio di una visione avida, di una curiosità malsana, è diventata occhio famelico di milioni di astanti. Ci si vergognava di seguire, anche se la forza tragica di ciò che stava accadendo inchiodava davanti al piccolo schermo, come hanno fatto tre milioni e mezzo di spettatori, sino alla mezzanotte di mercoledì.
L’incalzare delle domande, il vano appello alla figlia dell’assassino, lì davanti alla madre di Sara a gridare «Calunnia!» per le accuse al padre, ha sigillato malamente la storia di un delitto atroce e incredibile, di una serie di menzogne articolate per giorni con volti impassibili, il senso di uno stravolgimento della sicurezza sulla quale ognuno costruisce la sua parte di vita… Drammaticamente efficace, purtroppo, nella sua brutalità, l’assedio alla madre della vittima ha segnato la fine di quel rispetto che si deve al dolore, la cancellazione clamorosa di quella privacy tanto ostentata quanto costantemente tradita, in nome di una realtà – altra parola abusata – da offrire in pasto alla curiosità divenuta morbosa. La televisione del reality e della sua prepotente aggressività si arroga ormai il diritto a qualunque invadenza in nome di una presunta 'verità' da fornire con immagini e parole.
Ogni trasmissione che affronti temi di cronaca nera con indiscrezioni penose viene presentata come «diritto alla verità» che lo spettatore-simbolo può pretendere.
Già devastata, l’idea di giustizia, dai cosiddetti processi paralleli con i quali la tv costruisce storie a effetto e le rimanda all’infinito per soddisfare annoiate curiosità, l’altra sera quest’idea è stata tradita dalla furia di un’indelicatezza crudele, dalla volontà di offrire una primizia che sollecitasse attenzione ad ogni costo.
Una ragazzina massacrata, già offesa da lunghe illazioni maligne che ne avevano perfino fatto una colpevole. Ma, soprattutto, la faccia di pietra della madre inchiodata allo strazio di una lunga scoperta del delitto, lì davanti a noi per fare spettacolo. Sì, ha ricordato Vermicino. Anche lì un pozzo, anche lì un bambino orrendamente morto, anche lì le telecamere a violare sentimenti e dolore. Vergogna, per tutti noi.
Vergogna. La notte tragica e surreale di Raitre, con la foga allucinata di giornalisti che in 'Chi l’ha visto?' aizzavano i cronisti sul posto a interrogare la madre della ragazzina uccisa, ha segnato un momento nerissimo della coscienza e della pietà, cancellate dalla voglia di scoop in nome di un preteso diritto all’informazione. Una pagina crudele, per il pur lodevole programma che avrebbe dovuto limitarsi al suo compito di servizio, ritrovare persone scomparse. E pur se Federica Sciarelli si è scusata e giustificata, giovedì pomeriggio su Raiuno, per la presenza della madre di Sara, la piccola vittima, proprio nella casa dell’assassino, davanti alle telecamere invadenti e feroci, non si può dimenticare la faccia di marmo della povera donna, sconvolta, l’incalzare delle domande, la furia delle esclamazioni, l’assedio di interrogativi ai quali certamente lei, la madre lì crocifissa, non avrebbe mai potuto dare risposta… Come nella mai dimenticata tragedia di Vermicino, trent’anni fa, la telecamera ha consentito lo scempio di una visione avida, di una curiosità malsana, è diventata occhio famelico di milioni di astanti. Ci si vergognava di seguire, anche se la forza tragica di ciò che stava accadendo inchiodava davanti al piccolo schermo, come hanno fatto tre milioni e mezzo di spettatori, sino alla mezzanotte di mercoledì.
L’incalzare delle domande, il vano appello alla figlia dell’assassino, lì davanti alla madre di Sara a gridare «Calunnia!» per le accuse al padre, ha sigillato malamente la storia di un delitto atroce e incredibile, di una serie di menzogne articolate per giorni con volti impassibili, il senso di uno stravolgimento della sicurezza sulla quale ognuno costruisce la sua parte di vita… Drammaticamente efficace, purtroppo, nella sua brutalità, l’assedio alla madre della vittima ha segnato la fine di quel rispetto che si deve al dolore, la cancellazione clamorosa di quella privacy tanto ostentata quanto costantemente tradita, in nome di una realtà – altra parola abusata – da offrire in pasto alla curiosità divenuta morbosa. La televisione del reality e della sua prepotente aggressività si arroga ormai il diritto a qualunque invadenza in nome di una presunta 'verità' da fornire con immagini e parole.
Ogni trasmissione che affronti temi di cronaca nera con indiscrezioni penose viene presentata come «diritto alla verità» che lo spettatore-simbolo può pretendere.
Già devastata, l’idea di giustizia, dai cosiddetti processi paralleli con i quali la tv costruisce storie a effetto e le rimanda all’infinito per soddisfare annoiate curiosità, l’altra sera quest’idea è stata tradita dalla furia di un’indelicatezza crudele, dalla volontà di offrire una primizia che sollecitasse attenzione ad ogni costo.
Una ragazzina massacrata, già offesa da lunghe illazioni maligne che ne avevano perfino fatto una colpevole. Ma, soprattutto, la faccia di pietra della madre inchiodata allo strazio di una lunga scoperta del delitto, lì davanti a noi per fare spettacolo. Sì, ha ricordato Vermicino. Anche lì un pozzo, anche lì un bambino orrendamente morto, anche lì le telecamere a violare sentimenti e dolore. Vergogna, per tutti noi.
«Avvenire» dell'8 ottobre 2010
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