di Dario Zonta
Impossibili istruzioni critiche per comprendere Inception (premesso che è assolutamente inutile descriverne la trama).
Primo approccio: razionalista! È possibile affermare che “Inception" sia un film noioso? Forse è eccessivo, affermarlo, eppure è una sensazione che affiora sincera lungo le due ore e mezza del film. È possibile dire che "Inception" sia un film troppo complicato? Beh, qui, siamo già sul campo delle possibilità concrete, anche se il labirinto onirico di mille piani sovrapposti è la materia di cui è fatto questo film. È possibile affermare che "Inception" sia un film d’azione guarnito di ambiziosi artifici intellettualistici? Oddio, ora si esagera, anche se allo scoccare della seconda ora, pure lo spettatore più attento e concentrato stacca l’ingaggio cerebrale e si gode le scene d’azione alla 007, senza più chiedersi che fine ha fatto Borges. È possibile dirsi delusi quando ci si accorge che le più spettacolari scene di avvitamento logico-visivo di "Inception" siano racchiuse nel trailer e che il resto del film è il tentativo inane di spiegare le ragioni di quell’avvitamento? Legittimo!
Insomma, il film americano più atteso della stagione, diretto dal regista più sorprendente e redditizio degli ultimi anni (il Nolan di "Memento" e del notevole "Il cavaliere oscuro"), pone una serie infinita di domande senza soluzioni, e forse per questo ha raccolto il successo di mille nazioni.
Secondo approccio: evoluzionista! Forse "Inception" è un film per i posteri che si spera intellettualmente più dotati di noi e in grado di saltare da un modo ad un altro, da un mondo ad un altro con la stessa agilità con cui si richiama un diverso interfaccia sul computer. Ma a tutt’oggi – come tutti gli studi scientifici e statistici dimostrano – la concentrazione media dello spettatore cinematografico medio è molto bassa, tant’è che gli esperti di sceneggiatura dei film americani di cassetta, grazie all’evidenza dei grafici, disegnano ogni tot un picco di emozione. Ora, per i meriti d’incasso dei suoi precedenti film, Nolan è riuscito a ottenere carta bianca dalla Warner (e questa molto coraggiosamente – gli va dato atto – gliel'ha concessa, vincendo la scommessa) per realizzare un film personale, concettuale e complesso ad alto budget, fregandosene dei grafici dei supervisor, dei picchi emozionali e della chiarezza lineare del racconto. E così ha concepito un film diviso in due parti: la prima parte (un’ora circa) che spiega cosa avverrà nella seconda parte (la restante ora e mezza), anche se la difficoltà è tale che la prima lezione non serve alla seconda dimostrazione… quindi tempo perso.
Terzo approccio: onirico! Non provate in nessun modo a contenere i mille piani di "Inception". Ma fatelo subito, senza perdere tempo! Lasciatevi andare, come se stesse, appunto, sognando. Non c’è rigore e spiegazione, ma accadimenti successivi e sconnessi, circolari e involuti. Delle immagini davvero sorprendenti affioreranno dal vostro inconscio spettatoriale e duetteranno alla pari con le immagini spettacolari di quell’inconscio cinematografico. Ora siete alla pari: sogno contro sogno, visione contro visione, immaginario contro immaginario. E così aderirete senza saperlo al mandato stesso del film che immagina un mondo in cui hacker della mente condividono i sogni delle loro vittime per estrarre o installare idee e pensieri profondi (questo fa Dom Cobb, alias Di Caprio). E come nei sogni, concentratevi sui particolari, perdendo la visione d’insieme. Non c’è un insieme, un tutto.
La visione complessiva è un tremendo gioco di specchi, come percorrere le scale di Escher e perdersi all’infinito nel suo affascinante paradosso logico, come cadere nel buco di Alice ricostruendo ogni secondo della caduta. Lasciatevi cadere, appunto come Alice, e forse alla fine, cara fine, troverete il senso ultimo del cinema spettacolare americano: vivere un’esperienza per interposta visione.
Quarto e ultimo approccio. Troppo complicato? Allora restate a casa ...
Primo approccio: razionalista! È possibile affermare che “Inception" sia un film noioso? Forse è eccessivo, affermarlo, eppure è una sensazione che affiora sincera lungo le due ore e mezza del film. È possibile dire che "Inception" sia un film troppo complicato? Beh, qui, siamo già sul campo delle possibilità concrete, anche se il labirinto onirico di mille piani sovrapposti è la materia di cui è fatto questo film. È possibile affermare che "Inception" sia un film d’azione guarnito di ambiziosi artifici intellettualistici? Oddio, ora si esagera, anche se allo scoccare della seconda ora, pure lo spettatore più attento e concentrato stacca l’ingaggio cerebrale e si gode le scene d’azione alla 007, senza più chiedersi che fine ha fatto Borges. È possibile dirsi delusi quando ci si accorge che le più spettacolari scene di avvitamento logico-visivo di "Inception" siano racchiuse nel trailer e che il resto del film è il tentativo inane di spiegare le ragioni di quell’avvitamento? Legittimo!
Insomma, il film americano più atteso della stagione, diretto dal regista più sorprendente e redditizio degli ultimi anni (il Nolan di "Memento" e del notevole "Il cavaliere oscuro"), pone una serie infinita di domande senza soluzioni, e forse per questo ha raccolto il successo di mille nazioni.
Secondo approccio: evoluzionista! Forse "Inception" è un film per i posteri che si spera intellettualmente più dotati di noi e in grado di saltare da un modo ad un altro, da un mondo ad un altro con la stessa agilità con cui si richiama un diverso interfaccia sul computer. Ma a tutt’oggi – come tutti gli studi scientifici e statistici dimostrano – la concentrazione media dello spettatore cinematografico medio è molto bassa, tant’è che gli esperti di sceneggiatura dei film americani di cassetta, grazie all’evidenza dei grafici, disegnano ogni tot un picco di emozione. Ora, per i meriti d’incasso dei suoi precedenti film, Nolan è riuscito a ottenere carta bianca dalla Warner (e questa molto coraggiosamente – gli va dato atto – gliel'ha concessa, vincendo la scommessa) per realizzare un film personale, concettuale e complesso ad alto budget, fregandosene dei grafici dei supervisor, dei picchi emozionali e della chiarezza lineare del racconto. E così ha concepito un film diviso in due parti: la prima parte (un’ora circa) che spiega cosa avverrà nella seconda parte (la restante ora e mezza), anche se la difficoltà è tale che la prima lezione non serve alla seconda dimostrazione… quindi tempo perso.
Terzo approccio: onirico! Non provate in nessun modo a contenere i mille piani di "Inception". Ma fatelo subito, senza perdere tempo! Lasciatevi andare, come se stesse, appunto, sognando. Non c’è rigore e spiegazione, ma accadimenti successivi e sconnessi, circolari e involuti. Delle immagini davvero sorprendenti affioreranno dal vostro inconscio spettatoriale e duetteranno alla pari con le immagini spettacolari di quell’inconscio cinematografico. Ora siete alla pari: sogno contro sogno, visione contro visione, immaginario contro immaginario. E così aderirete senza saperlo al mandato stesso del film che immagina un mondo in cui hacker della mente condividono i sogni delle loro vittime per estrarre o installare idee e pensieri profondi (questo fa Dom Cobb, alias Di Caprio). E come nei sogni, concentratevi sui particolari, perdendo la visione d’insieme. Non c’è un insieme, un tutto.
La visione complessiva è un tremendo gioco di specchi, come percorrere le scale di Escher e perdersi all’infinito nel suo affascinante paradosso logico, come cadere nel buco di Alice ricostruendo ogni secondo della caduta. Lasciatevi cadere, appunto come Alice, e forse alla fine, cara fine, troverete il senso ultimo del cinema spettacolare americano: vivere un’esperienza per interposta visione.
Quarto e ultimo approccio. Troppo complicato? Allora restate a casa ...
«L'Unità» del 24 settembre 2010
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