Giornata mondiale contro la pena di morte
di Franco Frattini *
«Ogni individuo ha diritto alla vita»: così stabilisce l’art.3, uno dei più celebri della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Il termine «individuo» non consente eccezioni, comprende tutti gli esseri umani – donne, uomini, bambini – in tutti i Paesi del mondo. È per ricordarcelo che da sette anni a questa parte si celebra il 10 ottobre la Giornata mondiale contro la pena di morte.
In questi anni l’Italia ha fatto della lotta per l’abolizione della pena di morte e l’affermazione del diritto alla vita uno dei cavalli di battagli della propria politica estera.
Una battaglia che riflette i valori della nostra Costituzione che all’art.2 bandisce la pena di morte e aggiunge un concetto fondamentale: le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, non al suo annientamento.
Alle Nazioni Unite l’Italia ha dato impulso a numerose iniziative che portarono, prima a Ginevra, in seno alla Commissione per i diritti umani, poi, nel 2007, all’Assemblea Generale, alla storica adozione della risoluzione che fa appello a tutti gli Stati affinché adottino una moratoria delle esecuzioni in vista della completa abolizione della pena di morte. Nel 2008 abbiamo promosso una seconda risoluzione sulla moratoria, che ha ottenuto un numero ancora maggiore di adesioni. La nostra azione diplomatica e pressione ha prodotto importanti risultati. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, nel suo rapporto dello scorso agosto, ha evidenziato una chiara tendenza verso l’abolizione della pena di morte. Ben 141 Paesi – alla data del 1° luglio 2008 – hanno abolito de jure o de facto la pena di morte. Siamo determinati a consolidare ulteriormente tale tendenza attraverso una nuova risoluzione che, insieme ad un gruppo di Paesi appartenenti a tutte le aree geografiche del mondo, stiamo per presentare anche quest’anno a New York.
Ma non possiamo permetterci di essere compiaciuti. Il traguardo sembra lontano quando apprendiamo delle migliaia di sentenze capitali che ancora si eseguono ogni anno. Almeno 5.700 esecuzioni sono state effettuate nel 2009 in diversi Paesi, soprattutto africani ed asiatici. Il caso di Sakineh Ashtiani, condannata alla pena capitale in Iran, ci ricorda e dimostra che la strada per affermare il diritto alla vita è ancora lunga e complessa. Il Governo italiano continua, attraverso i canali diplomatici e la mobilitazione pubblica, a seguire e a stare vicino a Sakineh.
È in questo ambito che l’Italia sta negoziando alle Nazioni Unite per introdurre nella risoluzione di quest’anno alcuni elementi volti a ridurre l’applicazione della pena capitale dove viene ancora praticata. A partire dalla trasparenza. Intendiamo, ad esempio, richiedere agli Stati di rendere pubblici i dati sulle condanne a morte e sulle esecuzioni; una migliore informazione dell’opinione pubblica contribuirebbe di per sé a ridurre il numero di esecuzioni. È importante inoltre che l’applicazione della pena di morte, nei Paesi che ancora la praticano, venga limitata ai reati più gravi e sia proibita tassativamente nei confronti delle categorie più vulnerabili, come i minori e i disabili mentali.
Il rafforzamento – con il trattato di Lisbona – delle strutture e del profilo della politica estera dell’Ue dovrebbe a nostro avviso con maggior determinazione essere messo al servizio anche di questa nobile causa.
Insieme ai nostri partners, europei e non, siamo profondamente determinati a mantenere alta l’attenzione della comunità internazionale e a estendere il fronte dei Paesi contrari alla pena di morte, per avvicinarci sempre più al traguardo ultimo dell’abolizione universale.
È un obiettivo ambizioso sul quale il Governo continuerà ad impegnarsi con convinzione, assieme al Parlamento e in raccordo con la società civile, il cui sostegno e il cui impulso sono di fondamentale importanza per la nostra azione.
In questi anni l’Italia ha fatto della lotta per l’abolizione della pena di morte e l’affermazione del diritto alla vita uno dei cavalli di battagli della propria politica estera.
Una battaglia che riflette i valori della nostra Costituzione che all’art.2 bandisce la pena di morte e aggiunge un concetto fondamentale: le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, non al suo annientamento.
Alle Nazioni Unite l’Italia ha dato impulso a numerose iniziative che portarono, prima a Ginevra, in seno alla Commissione per i diritti umani, poi, nel 2007, all’Assemblea Generale, alla storica adozione della risoluzione che fa appello a tutti gli Stati affinché adottino una moratoria delle esecuzioni in vista della completa abolizione della pena di morte. Nel 2008 abbiamo promosso una seconda risoluzione sulla moratoria, che ha ottenuto un numero ancora maggiore di adesioni. La nostra azione diplomatica e pressione ha prodotto importanti risultati. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, nel suo rapporto dello scorso agosto, ha evidenziato una chiara tendenza verso l’abolizione della pena di morte. Ben 141 Paesi – alla data del 1° luglio 2008 – hanno abolito de jure o de facto la pena di morte. Siamo determinati a consolidare ulteriormente tale tendenza attraverso una nuova risoluzione che, insieme ad un gruppo di Paesi appartenenti a tutte le aree geografiche del mondo, stiamo per presentare anche quest’anno a New York.
Ma non possiamo permetterci di essere compiaciuti. Il traguardo sembra lontano quando apprendiamo delle migliaia di sentenze capitali che ancora si eseguono ogni anno. Almeno 5.700 esecuzioni sono state effettuate nel 2009 in diversi Paesi, soprattutto africani ed asiatici. Il caso di Sakineh Ashtiani, condannata alla pena capitale in Iran, ci ricorda e dimostra che la strada per affermare il diritto alla vita è ancora lunga e complessa. Il Governo italiano continua, attraverso i canali diplomatici e la mobilitazione pubblica, a seguire e a stare vicino a Sakineh.
È in questo ambito che l’Italia sta negoziando alle Nazioni Unite per introdurre nella risoluzione di quest’anno alcuni elementi volti a ridurre l’applicazione della pena capitale dove viene ancora praticata. A partire dalla trasparenza. Intendiamo, ad esempio, richiedere agli Stati di rendere pubblici i dati sulle condanne a morte e sulle esecuzioni; una migliore informazione dell’opinione pubblica contribuirebbe di per sé a ridurre il numero di esecuzioni. È importante inoltre che l’applicazione della pena di morte, nei Paesi che ancora la praticano, venga limitata ai reati più gravi e sia proibita tassativamente nei confronti delle categorie più vulnerabili, come i minori e i disabili mentali.
Il rafforzamento – con il trattato di Lisbona – delle strutture e del profilo della politica estera dell’Ue dovrebbe a nostro avviso con maggior determinazione essere messo al servizio anche di questa nobile causa.
Insieme ai nostri partners, europei e non, siamo profondamente determinati a mantenere alta l’attenzione della comunità internazionale e a estendere il fronte dei Paesi contrari alla pena di morte, per avvicinarci sempre più al traguardo ultimo dell’abolizione universale.
È un obiettivo ambizioso sul quale il Governo continuerà ad impegnarsi con convinzione, assieme al Parlamento e in raccordo con la società civile, il cui sostegno e il cui impulso sono di fondamentale importanza per la nostra azione.
*Ministro degli Affari Esteri
«Avvenire» del 10 ottobre 2010
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