Stoccolma assegna il premio per la letteratura allo scrittore nato in Perù e ora residente a Londra. In prima linea per difendere i diritti umani
di Fulvio Panzeri
Non ci credeva, quando ha ricevuto la telefonata da Stoccolma che gli comunicava che la scelta del nuovo Premio Nobel per la letteratura era caduta su di lui. A New York, dove stava preparando una conferenza, una delle tante che da anni tiene in tutto il mondo, Mario Vargas Llosa, ha detto: «È stata una sorpresa enorme. Non mi ricordavo che in questi giorni si assegnava il premio. Ho addirittura pensato fosse uno scherzo di cattivo gusto come quello che fecero ad Alberto Moravia». Invece lo scrittore peruviano ce l’ha fatta, dopo che per molti anni il suo nome è circolato tra i favoriti dagli Accademici di Svezia, che quest’anno hanno puntato su di lui, come si legge nella motivazione, «per la sua cartografia delle strutture del potere e per le acute immagini della resistenza, la rivolta e la sconfitta dell’individuo ». Del resto le strutture 'nuove', che non ripetono lo stereotipo di quel 'realismo magico' che da sempre ha caratterizzato l’idea della letteratura sudamericana, adottate da Vargas Llosa e la sua anima da 'liberale' integrale che lo porta a battersi per i diritti civili fanno della sua figura una delle più complesse e originali di questa letteratura. Gli ultimi, e unici, latino-americani a essere insigniti del Nobel erano stati finora la cilena Gabriela Mistral (1945), Gabriel Garcia Marquez (1982) e Octavio Paz (1990). I rapporti tra Marquez e Llosa furono buoni per anni, tanto che Llosa scrisse un saggio su Marquez e collaborano alle stesse riviste, fra cui «Libre». Nel 1971 invece si consuma un’epica rottura, a suon di schiaffi e pugni. Di fronte a un 'processo-farsa' a un poeta cubano, i redattori della rivista «Libre» mandano a Castro un telegramma di protesta, Marquez non firma e, dopo furibonda discussione, ecco il litigio e il distacco da Vargas Llosa.
Da questo punto di vista lo scrittore peruviano è sempre stato coerente nella critica alle dittature e ai poteri forti dell’America Latina, di qualunque colore ideologico fossero, al punto che ancora recentemente in un’intervista lamentava un certo 'ostracismo' verso i suoi libri dedicati a queste tematiche. E in particolare in Italia. Sostiene Llosa: «In Italia non piaccio perché sono un uccello tropicale. Secondo gli italiani gli scrittori sudamericani devono essere amici dei dittatori in odore di socialismo, come Castro o Chàvez».
Fra gli scrittori che hanno riflettuto sulla complessa relazione tra politica e letteratura, la posizione di Mario Vargas Llosa è particolarmente interessante, in quanto il grande narratore peruviano non solo ha indagato questa relazione nel corso della sua ormai vasta opera, ma ha voluto cimentarsi anche in prima persona con l’impegno politico, candidandosi alcuni anni fa alla presidenza del suo Paese. Sconfitto, nel 1990, è diventato cittadino spagnolo e da vent’anni vive a Londra. Il suo essere 'liberale' si esprime nella consapevolezza che «nel progresso della libertà risiede l’umanizzazione della vita e delle relazioni sociali. L’errore fatale della mia generazione di scrittori è stato quello di giustificare le autocrazie, le dittature e di accettare la visione rivoluzionaria marxista come panacea di tutti i mali». Nato a Arequipa, in Perù, nel 1936, si forma a Parigi negli anni Cinquanta, seguendo la radicalità di Sartre e finendo per abbracciare il riformismo di Camus. È una formazione che riguarda anche una innovazione dal punto di vista letterario, che lo porta a soluzioni diverse da quelle del 'realismo magico', anche perché i suoi autori di riferimento sono Conrad, Faulkner, Tolstoj, Flaubert. Il libro che lo fa conoscere a livello internazionale, ottenendo un grande successo, nel 1963, è La città e i cani, che prende spunto da un’esperienza giovanile dell’autore, nel Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l’educazione del protagonista-alter ego dell’autore. Si tratta di un collegio retto da militari secondo una disciplina rigida, sorretta dalla sopraffazione, dalla forza bruta, dal dispotismo.
Mentre l’Europa lo acclama, in Perù, nel suo paese il romanzo viene bruciato in piazza, perché considerato dissacrante. Il romanzo successivo, La casa verde (1965), tradotto in venti lingue, conferma l’interesse del pubblico e della critica, che accompagneranno poi la sua vasta produzione narrativa e saggistica (Vargas Llosa si è definito «uno schiavo volontario e felice della letteratura»). Llosa in Italia è pubblicato principalmente da Einaudi, che a novembre manderà in libreria Il sogno di Celta , una storia che si ispira a un personaggio storico, Roger David Casement, diplomatico britannico e patriota irlandese, amico di Joseph Conrad, impegnato contro le atrocità commesse verso gli indigeni nel Congo e lo sfruttamento del caucciù in Africa e America del Sud. Una produzione così vasta presenta anche qualche cedimento e qualche ripetitività tematica (certe insistenze su atmosfere fin troppo sensuali), soprattutto nelle ultime opere, che non sempre riescono ad eguagliare la tensione dei romanzi d’esordio. Scheiwiller Libri invece in questi ultimi anni stanno pubblicando i suoi scritti saggistici meno conosciuti, una possibilità in più per approfondire un’esperienza letteraria complessa, controcorrente rispetto agli stereotipi, sempre puntata alla ricerca della libertà e del suo valore.
Fra gli scrittori che hanno riflettuto sulla complessa relazione tra politica e letteratura, la posizione di Mario Vargas Llosa è particolarmente interessante, in quanto il grande narratore peruviano non solo ha indagato questa relazione nel corso della sua ormai vasta opera, ma ha voluto cimentarsi anche in prima persona con l’impegno politico, candidandosi alcuni anni fa alla presidenza del suo Paese. Sconfitto, nel 1990, è diventato cittadino spagnolo e da vent’anni vive a Londra. Il suo essere 'liberale' si esprime nella consapevolezza che «nel progresso della libertà risiede l’umanizzazione della vita e delle relazioni sociali. L’errore fatale della mia generazione di scrittori è stato quello di giustificare le autocrazie, le dittature e di accettare la visione rivoluzionaria marxista come panacea di tutti i mali». Nato a Arequipa, in Perù, nel 1936, si forma a Parigi negli anni Cinquanta, seguendo la radicalità di Sartre e finendo per abbracciare il riformismo di Camus. È una formazione che riguarda anche una innovazione dal punto di vista letterario, che lo porta a soluzioni diverse da quelle del 'realismo magico', anche perché i suoi autori di riferimento sono Conrad, Faulkner, Tolstoj, Flaubert. Il libro che lo fa conoscere a livello internazionale, ottenendo un grande successo, nel 1963, è La città e i cani, che prende spunto da un’esperienza giovanile dell’autore, nel Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l’educazione del protagonista-alter ego dell’autore. Si tratta di un collegio retto da militari secondo una disciplina rigida, sorretta dalla sopraffazione, dalla forza bruta, dal dispotismo.
Mentre l’Europa lo acclama, in Perù, nel suo paese il romanzo viene bruciato in piazza, perché considerato dissacrante. Il romanzo successivo, La casa verde (1965), tradotto in venti lingue, conferma l’interesse del pubblico e della critica, che accompagneranno poi la sua vasta produzione narrativa e saggistica (Vargas Llosa si è definito «uno schiavo volontario e felice della letteratura»). Llosa in Italia è pubblicato principalmente da Einaudi, che a novembre manderà in libreria Il sogno di Celta , una storia che si ispira a un personaggio storico, Roger David Casement, diplomatico britannico e patriota irlandese, amico di Joseph Conrad, impegnato contro le atrocità commesse verso gli indigeni nel Congo e lo sfruttamento del caucciù in Africa e America del Sud. Una produzione così vasta presenta anche qualche cedimento e qualche ripetitività tematica (certe insistenze su atmosfere fin troppo sensuali), soprattutto nelle ultime opere, che non sempre riescono ad eguagliare la tensione dei romanzi d’esordio. Scheiwiller Libri invece in questi ultimi anni stanno pubblicando i suoi scritti saggistici meno conosciuti, una possibilità in più per approfondire un’esperienza letteraria complessa, controcorrente rispetto agli stereotipi, sempre puntata alla ricerca della libertà e del suo valore.
«Avvenire» dell'8 ottobre 2010
Nessun commento:
Posta un commento