di Bianca Garavelli
La parola poetica, così in apparenza immateriale e lontana dal presente, può avere un impatto sul mondo? Secondo Pierantonio Frare, che insegna Letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano, può, e non solo quella letteraria, ma in generale la parola che si usa normalmente per comunicare. Ce lo spiega in questo libro, che riunisce tre saggi strettamente collegati: la parola ha un grande potere, e per questo va usata con attenzione, anzi con senso di responsabilità. La letteratura può aiutarci a riflettere su questo tema: un intellettuale può essere parte molto attiva della società, per il fatto stesso di indicare una via morale d’azione ai suoi lettori. Gli esempi del libro sono due grandi classici della letteratura, Dante e Manzoni, e un classico della contemporaneità, testimone della mostruosità del Novecento, Primo Levi. Il punto di partenza è il suo modo di servirsi della parola per reagire a questa crudeltà. L’esempio di Levi include quello di Dante: la forza della parola, capace di portare alla salvezza, viene dal canto XXVI dell’Inferno , il cui protagonista Ulisse è il simbolo dell’umanità in cerca della verità senza una guida morale. Il tema della guida è centrale nel rapporto stesso fra Primo, internato nel lager, e il sorvegliante Pikolo, che vuole imparare l’italiano da lui e lo accetta come guida.
Primo sceglie proprio il canto di Ulisse, che ricorda quasi perfettamente, come strumento di lavoro, senza un apparente motivo. Poi intuisce che Pikolo, a sua volta, ha assunto nei suoi confronti il ruolo di guida: il 'kapo' infatti ha capito che ricordare con esattezza i versi è una cura per l’anima di Primo, e lo invita a farlo, salvandolo: la parola dantesca fa sì che tra i due si instauri un autentico dialogo, anche dentro un luogo così drammaticamente «a-comunicativo». Ulisse si chiarisce così come il simbolo della parola che inganna e porta all’inevitabile naufragio. Analogamente, i primi due canti dell’Inferno sono la giustificazione del viaggio nell’aldilà, ma soprattutto del ruolo di guida di Virgilio, che non appartenendo al mondo cristiano ha bisogno dell’avallo di Beatrice. È la parola di Beatrice, scesa nel Limbo a incontrare il poeta latino, che ha il potere di innescare il meccanismo della salvezza, essendo lei un’anima beata a diretto contatto col volere divino. Ma Beatrice stessa riconosce che è la «parola ornata» di Virgilio, l’autore del poema più ammirato da Dante, il mezzo indispensabile per guidarlo. Ma lo stesso Dante saprà essere guida per il suo Virgilio, offrendogli i suoi consigli e avvicinandosi sempre più al suo ruolo finale di autore. Per contro, ruolo non salvifico, ma terribile ha la parola nell’episodio manzoniano di Gertrude: è la «strategia di persuasione occulta» del principe padre, che non dà scampo alla figlia facendola cedere alla sua volontà. Con questi episodi famosi di «ricaduta della parola», Frare ci esorta a non dimenticare, anche se tutto intorno a noi invita alla superficialità e alla falsificazione.
Pierantonio Frare, IL POTERE DELLA PAROLA: Dante, Manzoni, Primo Levi, Interlinea, pp. 158, € 18
Primo sceglie proprio il canto di Ulisse, che ricorda quasi perfettamente, come strumento di lavoro, senza un apparente motivo. Poi intuisce che Pikolo, a sua volta, ha assunto nei suoi confronti il ruolo di guida: il 'kapo' infatti ha capito che ricordare con esattezza i versi è una cura per l’anima di Primo, e lo invita a farlo, salvandolo: la parola dantesca fa sì che tra i due si instauri un autentico dialogo, anche dentro un luogo così drammaticamente «a-comunicativo». Ulisse si chiarisce così come il simbolo della parola che inganna e porta all’inevitabile naufragio. Analogamente, i primi due canti dell’Inferno sono la giustificazione del viaggio nell’aldilà, ma soprattutto del ruolo di guida di Virgilio, che non appartenendo al mondo cristiano ha bisogno dell’avallo di Beatrice. È la parola di Beatrice, scesa nel Limbo a incontrare il poeta latino, che ha il potere di innescare il meccanismo della salvezza, essendo lei un’anima beata a diretto contatto col volere divino. Ma Beatrice stessa riconosce che è la «parola ornata» di Virgilio, l’autore del poema più ammirato da Dante, il mezzo indispensabile per guidarlo. Ma lo stesso Dante saprà essere guida per il suo Virgilio, offrendogli i suoi consigli e avvicinandosi sempre più al suo ruolo finale di autore. Per contro, ruolo non salvifico, ma terribile ha la parola nell’episodio manzoniano di Gertrude: è la «strategia di persuasione occulta» del principe padre, che non dà scampo alla figlia facendola cedere alla sua volontà. Con questi episodi famosi di «ricaduta della parola», Frare ci esorta a non dimenticare, anche se tutto intorno a noi invita alla superficialità e alla falsificazione.
Pierantonio Frare, IL POTERE DELLA PAROLA: Dante, Manzoni, Primo Levi, Interlinea, pp. 158, € 18
«Avvenire» del 9 ottobre 2010
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