A fil di rete
di Aldo Grasso
Il delitto perfetto. Non per chi l’ha commesso, ma per la tv: le telecamere sono in casa dell’assassino mentre il colpevole confessa l’omicidio in una vicina caserma dei carabinieri. E la prima ad apprendere la notizia, è la madre della povera Sarah Scazzi. Con un crescendo drammaturgico di grande intensità: le mezze conferme, le mezze smentite, l’incertezza sulla localizzazione del ritrovamento, il numero dei «fermati». A un certo punto, sul finire della trasmissione, la conduttrice Federica Sciarelli dice: «Una notizia che non avremmo mai voluto dare». C’è da crederle.
Ma sul piano mediatico era quella la notizia che ogni programma, dei tanti che si sono occupati del caso, avrebbe voluto dare. Poteva capitare a una delle tv locali che in Puglia hanno seguito ossessivamente la vicenda; poteva capitare a Porta a porta, con l’inevitabile commento a caldo di qualche criminologo; poteva capitare, ed è capitato, a Chi l’ha visto?, la trasmissione più titolata a seguire la scomparsa della ragazza, la trasmissione che una settimana fa aveva mandato in onda le lacrime dello zio, Michele Misseri, disperato perché aveva trovato i resti del telefonino di Sarah.
Con le telecamere ormai accese 24 ore su 24, in una società organizzata attorno ai media, nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo, è inutile chiedersi se questo strazio collettivo in diretta andasse fermato o no. Da tempo viviamo nel post-Vermicino.
Quando la Sciarelli si premura di dire alla mamma di Sarah, Concetta Serrano, se desidera interrompere il collegamento compie un gesto di estrema delicatezza, ma manda, contemporaneamente, un’indicazione linguistica: questo non è un reality, questa è tv verità. Il fatto è che la verità non sembra mai vera, si vorrebbe dire di no alla verità dell’apparenza, spegnendo le telecamere, nella speranza che ci sia una verità diversa dell’essere.
Ma sul piano mediatico era quella la notizia che ogni programma, dei tanti che si sono occupati del caso, avrebbe voluto dare. Poteva capitare a una delle tv locali che in Puglia hanno seguito ossessivamente la vicenda; poteva capitare a Porta a porta, con l’inevitabile commento a caldo di qualche criminologo; poteva capitare, ed è capitato, a Chi l’ha visto?, la trasmissione più titolata a seguire la scomparsa della ragazza, la trasmissione che una settimana fa aveva mandato in onda le lacrime dello zio, Michele Misseri, disperato perché aveva trovato i resti del telefonino di Sarah.
Con le telecamere ormai accese 24 ore su 24, in una società organizzata attorno ai media, nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo, è inutile chiedersi se questo strazio collettivo in diretta andasse fermato o no. Da tempo viviamo nel post-Vermicino.
Quando la Sciarelli si premura di dire alla mamma di Sarah, Concetta Serrano, se desidera interrompere il collegamento compie un gesto di estrema delicatezza, ma manda, contemporaneamente, un’indicazione linguistica: questo non è un reality, questa è tv verità. Il fatto è che la verità non sembra mai vera, si vorrebbe dire di no alla verità dell’apparenza, spegnendo le telecamere, nella speranza che ci sia una verità diversa dell’essere.
«Corriere della Sera» dell'8 ottobre 2010
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