Appunti inediti per spiegare che la religione d’Europa non può essere l’islam
di Edoardo Rialti
E’ sera in Egitto, e un turista inglese corpulento e ansimante, vestito di bianco impeccabile, accompagnato da una signora dai capelli rossi e l’aria gentile e paziente, sua moglie, osserva le strade e le persone. Tornato in albergo prende il proprio taccuino di appunti e riflessioni, e scrive: “Lungo la strada per il Cairo uno può notare almeno una ventina di gruppi esattamente uguali alla Sacra Famiglia nei dipinti della fuga in Egitto, con una sola differenza: che è l’uomo a cavalcare l’asino”.
Siamo nel 1919, e l’uomo era G. K. Chesterton, diretto a Gerusalemme; avrebbe poi raccolto i reportage delle varie tappe del suo viaggio-pellegrinaggio in un volume del 1920, The New Jerusalem (non più pubblicato in Italia da oltre settant’anni e di cui riproponiamo qui alcuni stralci in una traduzione inedita, ndr). Alle spalle oltre vent’anni come giornalista, già decine di libri e innumerevoli conferenze, al cuore delle riflessioni del celebre polemista c’è sempre e innanzitutto lo sguardo di un poeta, capace di farsi colpire da un’immagine, una scena, sorprendendo e inseguendo gli imprevedibili nessi che questa è in grado di rivelare, sbaragliando le più facili e scontate presunzioni.
Così il viaggio nel tempo che Chesterton compie e annota via via che si muove nello spazio, da Londra, a Parigi, Roma, il Cairo e infine Gerusalemme, riflettendo sulle peculiarità delle diverse fasi della storia e delle civiltà, sono sempre suscitate innanzitutto da un particolare visivo. Così è anche nel caso dell’islam, che ha conquistato l’oriente e l’Africa un tempo romane, eppoi cristiane e bizantine. Il giornalista inglese è al Cairo, e guarda: “Dalla sua superba altitudine il viaggiatore ammira per la prima volta il deserto, da cui giunse la grande conquista”. Per prima cosa un’immagine: “La prima vista del deserto è simile a quella di un gigante nudo a distanza”. Chesterton continua a guardare, ed ecco, pian piano, emergere una scoperta, che porta in sé una considerazione assai più vasta: “Solo coloro che hanno visto il deserto nei dipinti generalmente lo pensano del tutto piatto. Ma quando la mente si è abituata alla sua monotonia, ecco un curioso cambiamento prenderne il posto: parrebbe strano dire che la monotonia della sua natura diventa novità; ma chiunque provasse il comune esperimento di dire qualche parola ordinaria come ‘luna’ o ‘uomo’ una cinquantina di volte, questi troverebbe che l’espressione è diventata straordinaria per semplice ripetizione”.
Questa è “la via del deserto”, la sua filosofia e l’ultimo orizzonte di quanto in esso nasca, il grande segreto delle “religioni del deserto, specialmente dell’Islam”. Noi “pensiamo al deserto e alle sue rocce come antiche; ma in un certo senso sono innaturalmente nuove, ed ecco che possiamo cominciare a comprendere sia l’immensità che l’insufficienza di quella potenza che emerse dal deserto, la grande religione di Maometto”.
Pochi grandi artisti occidentali hanno trovate parole così semplici e magnanime come quelle di Chesterton – l’innamorato campione dell’occidente che aveva scritto la ballata “Lepanto” e il romanzo “L’osteria volante” in cui denunciava la minaccia di una islamizzazione della società inglese – per tessere un vero elogio dell’islam: “Nel cerchio rosso del deserto, nel luogo tenebroso e segreto, il profeta scopre le cose ovvie. Non lo dico come semplice scherno, giacché le cose ovvie vengono facilmente dimenticate, ed è proprio vero che ogni civiltà elevata decade nello scordare le ovvietà”. Ma ecco poi giungere, con un sorriso e inchino rispettoso, come nei migliori duelli, il guanto di sfida: “L’islam era contento con l’idea di possedere una grande verità, in effetti una verità colossale. Si trattava d’una verità così grande che era difficile accorgersi che si trattava d’una mezza verità”. La stessa grandezza della religione musulmana ne costituisce il massimo limite: “In altre parole, il musulmano, l’uomo del deserto, è abbastanza intelligente dal credere in Dio. Ma il suo credo manca di quell’umana complessità che deriva dall’istituire paragoni”. Invece lo sguardo di un poeta, e di un vero filosofo, vive di paragoni, perché questi soddisfano sia l’immaginazione che la ragione, salvando la misteriosa, affascinante complessità del cosmo; un uomo come Chesterton non si sarebbe mai accontentato per niente di meno, mentre “per farla breve, l’uomo del deserto tende a semplificare troppo, e apprendere la sua prima verità come la verità ultima”.
Per Chesterton l’uomo senza pensieri non è chi non pensi a niente, ma inaspettatamente, e qui egli cita e chiama in gioco l’amato Stevenson, “chi non abbia un pensiero da contrapporre all’altro mentre aspetta il treno alla stazione”. Questa dialettica vitale è il cuore della grande cultura occidentale. E’ un luogo davvero comune parlare dei “paradossi di Chesterton”: ma è proprio qui che essi attingono la loro forza, e il loro significato: si rivelano supremamente intelligenti, proprio perché costringono a scoprire nessi laddove non ce li aspetteremmo. Un “ateo di ferro” come il giovane C. S. Lewis – che trovò in Chesterton “lo scrittore più ragionevole che avesse mai letto” – li definiva i bagliori accecanti della spada di un guerriero che lotti per la vita; una cosa tremendamente seria, e capace di fare breccia nelle corazze più dure, come la sua, che qualche anno dopo, anche grazie a Chesterton, si convertì. Invece “i musulmani hanno un pensiero, e uno supremamente vitale; la grandezza di Dio che livella tutti gli uomini. Ma i musulmani non hanno un altro pensiero da contrapporre, perché davvero non dispongono di altro. E’ la frizione tra due realtà spirituali, tradizione e invenzione, o sostanza e simbolo, che permette alla mente di accendersi”. I milioni di lettori la cui mente sia stata accesa dalle parole di Chesterton, spesso fino a cambiare radicalmente opinioni e vita, lo possono testimoniare.
L’islam predica e propugna l’unità di tutti gli uomini, ma livellandone le differenze e specificità; la sua sterile uguaglianza “è quella del deserto e non del campo arato”. Di qui il sorgere d’un genere tutto peculiare di fanatismo, l’ideologia di ciò che viene sentito come ovvio: “Fanatismo suona come il piano contrario di buon senso, eppure, cosa abbastanza curiosa, sono facce della stessa medaglia. Il fanatico del deserto è pericoloso proprio perché prende la sua fede come un fatto, e neppure come una verità nel nostro senso più trascendentale. Divide i musulmani dai non musulmani proprio come dividerebbe l’uomo dal cammello”.
In sintesi, la migliore definizione dell’islam è che questo costituisce “un movimento, una reazione per la semplicità”. Tuttavia questo livellamento è ormai caratteristica diffusa anche di un occidente che ha smarrito la conoscenza di sé: “Ogni cristiano moderno che critichi così il movimento islamico farebbe altrettanto bene a criticare se stesso e il proprio mondo. Perché invero molte cose moderne sono semplici movimenti al modo del movimento musulmano. Al massimo costituiscono delle mode, in cui una cosa viene esagerata perché era stata prima trascurata”.
Ma cosa, dunque, contraddistingue il vero sguardo occidentale, figlio del cristianesimo? Un appassionato, verrebbe da dire spregiudicato amore per la complessità dell’umana esperienza, salvando e abbracciando quello che altrimenti finirebbe ridotto o censurato: e qui il giornalista inglese evoca soprattutto due grandi bacini: il rapporto col passato, ed il rapporto con il sesso. Entrambi questi fattori giocarono un ruolo fondamentale per il convertito Chesterton, che come poi Lewis avrebbe potuto benissimo definirsi “un pagano convertito in un mondo di puritani apostati”. Da quando Dio si è fatto uomo, tutta la storia umana, nelle sue glorie e nelle sue bassezze, diventa, per così dire, “un affare divino”, e questo permette di guardare al passato, personale e collettivo, con quel sentimento di “pathos” e una “ironia” altrimenti impensabili, “che divideva il cuore dei primi cristiani in presenza della grande arte e letteratura pagana”. Non si può che immaginare un Chesterton deliziato ed entusiasta ad ascoltare dal cielo le parole di Benedetto XVI a Ratisbona, o al Collegio dei Bernardini. “La cristianità, se possibile, non deve perdere niente”.
Così, rispetto alle tradizioni culturali la civiltà cristiana ha potuto amare gli antichi senza venerarli ideologicamente (come invece accadde con Aristotele nei sapienti musulmani), o criticarli senza doverli distruggere. Nell’autentico sguardo cristiano troviamo sempre “questa combinazione che non costituisce un compromesso, ma piuttosto una complessità fatta di due entusiasmi contrari; come quando gli Anni Bui copiavano i poemi pagani mentre negavano le leggende pagane; o quando i papi del Rinascimento imitavano i templi greci mentre negavano gli dei greci”. Invece “Saladino, il grande guerriero Saraceno, non fece che spogliare le piramidi per costruire una fortezza militare in cima al Cairo. E’ un poco difficile comprendere quale sia il dovere dell’uomo nei confronti della Sfinge, e così i mammelucchi la usarono del tutto come bersaglio”.
Pochi autori del ’900 hanno cantato con tanta appassionata gioia di Chesterton la grande avventura dell’attrazione per una creatura che sia altra e diversa da sé, l’epica gioiosa della sessualità. Basti pensare a “Le avventure di un uomo vivo”, dove il protagonista escogita mille espedienti per sedurre e fare l’amore con mille donne dai nomi diversi, che in realtà sono solo la sua unica, amatissima moglie. Predicendo che si sarebbe arrivati ad un mondo da incubo in cui si sarebbe potuti divorziare per “incompatibilità”, Chesterton nel 1920 ribatteva che il bello delle donne è proprio quello di essere del tutto, incompatibilmente, meravigliosamente diverse dagli uomini. E proprio nel bacino della religione in cui Dio si è fatto uomo (maschio), la donna, “il sesso debole” sono state elevate a una dignità senza pari. Chesterton si divertiva a dire che Dio avrebbe inventato il matrimonio “per nobilitare l’uomo, giacché senza le donne gli uomini resterebbero sempre dei barbari”. Quello che diceva per la ragione potrebbe essere detto del rapporto con l’altro sesso: lo amava troppo per adorarlo, proprio perché lo conosceva bene. Egli, le cui ultime parole svegliandosi del coma per poi morire qualche istante dopo, sono state un “Ciao, mia cara” rivolto alla moglie, notava sorridendo che “ovunque sia cavalleria c’è cortesia; e ovunque sia cortesia c’è commedia. Non c’è commedia nel deserto”. E nell’usare quest’ultima parola sicuramente l’uomo che aveva scritto di non voler andare in cielo se non avrebbe ritrovato il tetto della propria casetta appena fuori Londra, e sua moglie dentro ad aspettarlo, sapeva di riprendere anche il titolo con cui il più grande poeta cristiano aveva cantato nella Firenze del ’300 il suo viaggio verso Dio, che era anche e sempre il suo viaggio verso la donna che gli aveva per sempre cambiato la vita.
Invece “è ammirabile che l’islam ammetta l’uguaglianza di tutti gli uomini, ma si tratta di una uguaglianza tra maschi”. Per Chesterton le donne costituivano il vertice della creazione, e come tale vanno trattate: “La cavalleria non è un’idea ovvia. Si tratta di un delicato equilibrio tra i sessi che conferisce il più raro e poetico genere di piacere a coloro in grado di coglierlo”; mentre, osservando la struttura sociale islamica nota che “il maschio musulmano è, specialmente nella propria famiglia, re, prete e giudice. Quel che voglio dire è che non possiede solo il regno, la potenza e la gloria, ma persino il glamour. […] Egli può comprendere la pietà per il più debole; ma la reverenza per il più debole è per lui semplicemente senza senso”.
Questo è per Chesterton “l’uomo del deserto, che si muove e non si posa mai, ma che possiede molte superiorità alle razze senza posa delle città industriali”. Ma tutti i movimenti e gli echi devono arrestarsi da qualche parte. Mentre le verità parziali, più o meno grandi, più o meno nobili – e in questo caso Chesterton nota che si tratta di una realtà che dura da oltre 1.300 anni e per la quale tanti “uomini semplici e seri e splendidi” hanno dato la vita – “non possono fare altro che muoversi; non hanno trovato dove riposare”. Al pari del femminismo, e del comunismo, molto meno profondi, l’islam è tormentato dalla sua riduttiva semplicità. La differenza rimane sempre la stessa, proprio laddove ad uno sguardo superficiale parrebbero le maggiori somiglianze. E’ un luogo comune che al fondo le professioni di fede non fanno che indicare la stessa nobile ultima realtà. Non dicono tutte che c’è un Dio? E’ vero, ma “come lo dicono” sottende immense differenze, dalle conseguenze altrettanto immense per la vita dell’uomo. Per rispondere Chesterton torna ancora una volta all’immagine, allo sfondo da cui tutto è nato: “il messaggio più elevato di Maometto è un pezzo di divina tautologia. Proprio il grido che Dio è Dio è una ripetizione di parole, come le sabbie e i cieli burrascosi del deserto che si ripetono ancora e ancora. Quella frase è come un’eco eterna, che non può smettere mai di ripetere le stesse sacre parole. Mentre molte persone, per esempio, immaginano che il Credo di Atanasio sia zeppo di vane ripetizioni, ma questo perché le persone sono troppo pigre per ascoltarlo, o non abbastanza lucide per comprenderlo. Vi si usano gli stessi termini, come in una proposizione di Euclide, ma come in una proposizione di Euclide i passaggi sono tutti altrettanto differenziati e progressivi”. E’ questa la radice della straordinaria tendenza innovativa della cultura occidentale: non potrebbe essere altrimenti in un cosmo culturale la cui religione sia la più progressista e materialista – per dirla con Rodney Stark e Romano Guardini – che si possa immaginare. In Cristo Dio stesso si è definitivamente coinvolto con la storia umana, e quindi è sempre possibile scoprire cose nuove, sul mondo e su stessi.
“La filosofia del deserto può solo cominciare ancora e ancora. Non può crescere; non può disporre di ciò che i protestanti chiamano progresso e i cattolici sviluppo”. E qui Chesterton dà prova della salute e della solidità di questa prospettiva con un’immagine che solo un simile sguardo potrebbe permettersi di suscitare: volete sapere se la filosofia che abbracciate funziona, è davvero in grado di rispondere esaurientemente al mondo? Ancora una volta, dipende da quanto somigli al fare l’amore, perché “i credi condannati come complessi possiedono qualcosa del segreto del sesso: prolificano i pensieri”. In questi giorni il leader libico Muammar Gheddafi ripete ogni volta che può che all’Europa converrebbe convertirsi in massa all’islam, e che le donne sono molto più rispettate nella sua religione. Francamente si sente tanto la mancanza di una Fallaci che possa chiedergli se egli condivida il cattolicissimo pensiero di Chesterton secondo cui “Dio avrebbe creato gli uomini solo come scusa per creare poi le donne”. Ma si sa, e Chesterton ce l’aveva già detto, “non c’è commedia nel deserto”.
Siamo nel 1919, e l’uomo era G. K. Chesterton, diretto a Gerusalemme; avrebbe poi raccolto i reportage delle varie tappe del suo viaggio-pellegrinaggio in un volume del 1920, The New Jerusalem (non più pubblicato in Italia da oltre settant’anni e di cui riproponiamo qui alcuni stralci in una traduzione inedita, ndr). Alle spalle oltre vent’anni come giornalista, già decine di libri e innumerevoli conferenze, al cuore delle riflessioni del celebre polemista c’è sempre e innanzitutto lo sguardo di un poeta, capace di farsi colpire da un’immagine, una scena, sorprendendo e inseguendo gli imprevedibili nessi che questa è in grado di rivelare, sbaragliando le più facili e scontate presunzioni.
Così il viaggio nel tempo che Chesterton compie e annota via via che si muove nello spazio, da Londra, a Parigi, Roma, il Cairo e infine Gerusalemme, riflettendo sulle peculiarità delle diverse fasi della storia e delle civiltà, sono sempre suscitate innanzitutto da un particolare visivo. Così è anche nel caso dell’islam, che ha conquistato l’oriente e l’Africa un tempo romane, eppoi cristiane e bizantine. Il giornalista inglese è al Cairo, e guarda: “Dalla sua superba altitudine il viaggiatore ammira per la prima volta il deserto, da cui giunse la grande conquista”. Per prima cosa un’immagine: “La prima vista del deserto è simile a quella di un gigante nudo a distanza”. Chesterton continua a guardare, ed ecco, pian piano, emergere una scoperta, che porta in sé una considerazione assai più vasta: “Solo coloro che hanno visto il deserto nei dipinti generalmente lo pensano del tutto piatto. Ma quando la mente si è abituata alla sua monotonia, ecco un curioso cambiamento prenderne il posto: parrebbe strano dire che la monotonia della sua natura diventa novità; ma chiunque provasse il comune esperimento di dire qualche parola ordinaria come ‘luna’ o ‘uomo’ una cinquantina di volte, questi troverebbe che l’espressione è diventata straordinaria per semplice ripetizione”.
Questa è “la via del deserto”, la sua filosofia e l’ultimo orizzonte di quanto in esso nasca, il grande segreto delle “religioni del deserto, specialmente dell’Islam”. Noi “pensiamo al deserto e alle sue rocce come antiche; ma in un certo senso sono innaturalmente nuove, ed ecco che possiamo cominciare a comprendere sia l’immensità che l’insufficienza di quella potenza che emerse dal deserto, la grande religione di Maometto”.
Pochi grandi artisti occidentali hanno trovate parole così semplici e magnanime come quelle di Chesterton – l’innamorato campione dell’occidente che aveva scritto la ballata “Lepanto” e il romanzo “L’osteria volante” in cui denunciava la minaccia di una islamizzazione della società inglese – per tessere un vero elogio dell’islam: “Nel cerchio rosso del deserto, nel luogo tenebroso e segreto, il profeta scopre le cose ovvie. Non lo dico come semplice scherno, giacché le cose ovvie vengono facilmente dimenticate, ed è proprio vero che ogni civiltà elevata decade nello scordare le ovvietà”. Ma ecco poi giungere, con un sorriso e inchino rispettoso, come nei migliori duelli, il guanto di sfida: “L’islam era contento con l’idea di possedere una grande verità, in effetti una verità colossale. Si trattava d’una verità così grande che era difficile accorgersi che si trattava d’una mezza verità”. La stessa grandezza della religione musulmana ne costituisce il massimo limite: “In altre parole, il musulmano, l’uomo del deserto, è abbastanza intelligente dal credere in Dio. Ma il suo credo manca di quell’umana complessità che deriva dall’istituire paragoni”. Invece lo sguardo di un poeta, e di un vero filosofo, vive di paragoni, perché questi soddisfano sia l’immaginazione che la ragione, salvando la misteriosa, affascinante complessità del cosmo; un uomo come Chesterton non si sarebbe mai accontentato per niente di meno, mentre “per farla breve, l’uomo del deserto tende a semplificare troppo, e apprendere la sua prima verità come la verità ultima”.
Per Chesterton l’uomo senza pensieri non è chi non pensi a niente, ma inaspettatamente, e qui egli cita e chiama in gioco l’amato Stevenson, “chi non abbia un pensiero da contrapporre all’altro mentre aspetta il treno alla stazione”. Questa dialettica vitale è il cuore della grande cultura occidentale. E’ un luogo davvero comune parlare dei “paradossi di Chesterton”: ma è proprio qui che essi attingono la loro forza, e il loro significato: si rivelano supremamente intelligenti, proprio perché costringono a scoprire nessi laddove non ce li aspetteremmo. Un “ateo di ferro” come il giovane C. S. Lewis – che trovò in Chesterton “lo scrittore più ragionevole che avesse mai letto” – li definiva i bagliori accecanti della spada di un guerriero che lotti per la vita; una cosa tremendamente seria, e capace di fare breccia nelle corazze più dure, come la sua, che qualche anno dopo, anche grazie a Chesterton, si convertì. Invece “i musulmani hanno un pensiero, e uno supremamente vitale; la grandezza di Dio che livella tutti gli uomini. Ma i musulmani non hanno un altro pensiero da contrapporre, perché davvero non dispongono di altro. E’ la frizione tra due realtà spirituali, tradizione e invenzione, o sostanza e simbolo, che permette alla mente di accendersi”. I milioni di lettori la cui mente sia stata accesa dalle parole di Chesterton, spesso fino a cambiare radicalmente opinioni e vita, lo possono testimoniare.
L’islam predica e propugna l’unità di tutti gli uomini, ma livellandone le differenze e specificità; la sua sterile uguaglianza “è quella del deserto e non del campo arato”. Di qui il sorgere d’un genere tutto peculiare di fanatismo, l’ideologia di ciò che viene sentito come ovvio: “Fanatismo suona come il piano contrario di buon senso, eppure, cosa abbastanza curiosa, sono facce della stessa medaglia. Il fanatico del deserto è pericoloso proprio perché prende la sua fede come un fatto, e neppure come una verità nel nostro senso più trascendentale. Divide i musulmani dai non musulmani proprio come dividerebbe l’uomo dal cammello”.
In sintesi, la migliore definizione dell’islam è che questo costituisce “un movimento, una reazione per la semplicità”. Tuttavia questo livellamento è ormai caratteristica diffusa anche di un occidente che ha smarrito la conoscenza di sé: “Ogni cristiano moderno che critichi così il movimento islamico farebbe altrettanto bene a criticare se stesso e il proprio mondo. Perché invero molte cose moderne sono semplici movimenti al modo del movimento musulmano. Al massimo costituiscono delle mode, in cui una cosa viene esagerata perché era stata prima trascurata”.
Ma cosa, dunque, contraddistingue il vero sguardo occidentale, figlio del cristianesimo? Un appassionato, verrebbe da dire spregiudicato amore per la complessità dell’umana esperienza, salvando e abbracciando quello che altrimenti finirebbe ridotto o censurato: e qui il giornalista inglese evoca soprattutto due grandi bacini: il rapporto col passato, ed il rapporto con il sesso. Entrambi questi fattori giocarono un ruolo fondamentale per il convertito Chesterton, che come poi Lewis avrebbe potuto benissimo definirsi “un pagano convertito in un mondo di puritani apostati”. Da quando Dio si è fatto uomo, tutta la storia umana, nelle sue glorie e nelle sue bassezze, diventa, per così dire, “un affare divino”, e questo permette di guardare al passato, personale e collettivo, con quel sentimento di “pathos” e una “ironia” altrimenti impensabili, “che divideva il cuore dei primi cristiani in presenza della grande arte e letteratura pagana”. Non si può che immaginare un Chesterton deliziato ed entusiasta ad ascoltare dal cielo le parole di Benedetto XVI a Ratisbona, o al Collegio dei Bernardini. “La cristianità, se possibile, non deve perdere niente”.
Così, rispetto alle tradizioni culturali la civiltà cristiana ha potuto amare gli antichi senza venerarli ideologicamente (come invece accadde con Aristotele nei sapienti musulmani), o criticarli senza doverli distruggere. Nell’autentico sguardo cristiano troviamo sempre “questa combinazione che non costituisce un compromesso, ma piuttosto una complessità fatta di due entusiasmi contrari; come quando gli Anni Bui copiavano i poemi pagani mentre negavano le leggende pagane; o quando i papi del Rinascimento imitavano i templi greci mentre negavano gli dei greci”. Invece “Saladino, il grande guerriero Saraceno, non fece che spogliare le piramidi per costruire una fortezza militare in cima al Cairo. E’ un poco difficile comprendere quale sia il dovere dell’uomo nei confronti della Sfinge, e così i mammelucchi la usarono del tutto come bersaglio”.
Pochi autori del ’900 hanno cantato con tanta appassionata gioia di Chesterton la grande avventura dell’attrazione per una creatura che sia altra e diversa da sé, l’epica gioiosa della sessualità. Basti pensare a “Le avventure di un uomo vivo”, dove il protagonista escogita mille espedienti per sedurre e fare l’amore con mille donne dai nomi diversi, che in realtà sono solo la sua unica, amatissima moglie. Predicendo che si sarebbe arrivati ad un mondo da incubo in cui si sarebbe potuti divorziare per “incompatibilità”, Chesterton nel 1920 ribatteva che il bello delle donne è proprio quello di essere del tutto, incompatibilmente, meravigliosamente diverse dagli uomini. E proprio nel bacino della religione in cui Dio si è fatto uomo (maschio), la donna, “il sesso debole” sono state elevate a una dignità senza pari. Chesterton si divertiva a dire che Dio avrebbe inventato il matrimonio “per nobilitare l’uomo, giacché senza le donne gli uomini resterebbero sempre dei barbari”. Quello che diceva per la ragione potrebbe essere detto del rapporto con l’altro sesso: lo amava troppo per adorarlo, proprio perché lo conosceva bene. Egli, le cui ultime parole svegliandosi del coma per poi morire qualche istante dopo, sono state un “Ciao, mia cara” rivolto alla moglie, notava sorridendo che “ovunque sia cavalleria c’è cortesia; e ovunque sia cortesia c’è commedia. Non c’è commedia nel deserto”. E nell’usare quest’ultima parola sicuramente l’uomo che aveva scritto di non voler andare in cielo se non avrebbe ritrovato il tetto della propria casetta appena fuori Londra, e sua moglie dentro ad aspettarlo, sapeva di riprendere anche il titolo con cui il più grande poeta cristiano aveva cantato nella Firenze del ’300 il suo viaggio verso Dio, che era anche e sempre il suo viaggio verso la donna che gli aveva per sempre cambiato la vita.
Invece “è ammirabile che l’islam ammetta l’uguaglianza di tutti gli uomini, ma si tratta di una uguaglianza tra maschi”. Per Chesterton le donne costituivano il vertice della creazione, e come tale vanno trattate: “La cavalleria non è un’idea ovvia. Si tratta di un delicato equilibrio tra i sessi che conferisce il più raro e poetico genere di piacere a coloro in grado di coglierlo”; mentre, osservando la struttura sociale islamica nota che “il maschio musulmano è, specialmente nella propria famiglia, re, prete e giudice. Quel che voglio dire è che non possiede solo il regno, la potenza e la gloria, ma persino il glamour. […] Egli può comprendere la pietà per il più debole; ma la reverenza per il più debole è per lui semplicemente senza senso”.
Questo è per Chesterton “l’uomo del deserto, che si muove e non si posa mai, ma che possiede molte superiorità alle razze senza posa delle città industriali”. Ma tutti i movimenti e gli echi devono arrestarsi da qualche parte. Mentre le verità parziali, più o meno grandi, più o meno nobili – e in questo caso Chesterton nota che si tratta di una realtà che dura da oltre 1.300 anni e per la quale tanti “uomini semplici e seri e splendidi” hanno dato la vita – “non possono fare altro che muoversi; non hanno trovato dove riposare”. Al pari del femminismo, e del comunismo, molto meno profondi, l’islam è tormentato dalla sua riduttiva semplicità. La differenza rimane sempre la stessa, proprio laddove ad uno sguardo superficiale parrebbero le maggiori somiglianze. E’ un luogo comune che al fondo le professioni di fede non fanno che indicare la stessa nobile ultima realtà. Non dicono tutte che c’è un Dio? E’ vero, ma “come lo dicono” sottende immense differenze, dalle conseguenze altrettanto immense per la vita dell’uomo. Per rispondere Chesterton torna ancora una volta all’immagine, allo sfondo da cui tutto è nato: “il messaggio più elevato di Maometto è un pezzo di divina tautologia. Proprio il grido che Dio è Dio è una ripetizione di parole, come le sabbie e i cieli burrascosi del deserto che si ripetono ancora e ancora. Quella frase è come un’eco eterna, che non può smettere mai di ripetere le stesse sacre parole. Mentre molte persone, per esempio, immaginano che il Credo di Atanasio sia zeppo di vane ripetizioni, ma questo perché le persone sono troppo pigre per ascoltarlo, o non abbastanza lucide per comprenderlo. Vi si usano gli stessi termini, come in una proposizione di Euclide, ma come in una proposizione di Euclide i passaggi sono tutti altrettanto differenziati e progressivi”. E’ questa la radice della straordinaria tendenza innovativa della cultura occidentale: non potrebbe essere altrimenti in un cosmo culturale la cui religione sia la più progressista e materialista – per dirla con Rodney Stark e Romano Guardini – che si possa immaginare. In Cristo Dio stesso si è definitivamente coinvolto con la storia umana, e quindi è sempre possibile scoprire cose nuove, sul mondo e su stessi.
“La filosofia del deserto può solo cominciare ancora e ancora. Non può crescere; non può disporre di ciò che i protestanti chiamano progresso e i cattolici sviluppo”. E qui Chesterton dà prova della salute e della solidità di questa prospettiva con un’immagine che solo un simile sguardo potrebbe permettersi di suscitare: volete sapere se la filosofia che abbracciate funziona, è davvero in grado di rispondere esaurientemente al mondo? Ancora una volta, dipende da quanto somigli al fare l’amore, perché “i credi condannati come complessi possiedono qualcosa del segreto del sesso: prolificano i pensieri”. In questi giorni il leader libico Muammar Gheddafi ripete ogni volta che può che all’Europa converrebbe convertirsi in massa all’islam, e che le donne sono molto più rispettate nella sua religione. Francamente si sente tanto la mancanza di una Fallaci che possa chiedergli se egli condivida il cattolicissimo pensiero di Chesterton secondo cui “Dio avrebbe creato gli uomini solo come scusa per creare poi le donne”. Ma si sa, e Chesterton ce l’aveva già detto, “non c’è commedia nel deserto”.
«Il Foglio» del 5 settembre 2010
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