Dopo i suicidi degli imprenditori
di Roberto Zuccato *
Caro Direttore, è evidente e drammatico come questa criisi abbia percosso violentemente, dalle fondamenta, non solo il tessuto economico e industriale, ma anche la tenuta sociale del nostro Paese. Ma la dura recessione ha, anche, portato allo scoperto l'attaccamento degli imprenditori - quelli piccoli soprattutto - alla propria azienda. Svelando quella solidarietà che lega in maniera inscindibile l'imprenditore e i suoi dipendenti. Non è mitologia, chi conosce questa terra sa che ci sono valori che riguardano l'impresa e che non hanno a che fare con il solo tornaconto economico. Se così fosse, il miracolo economico che questa regione d'Italia ha prodotto sarebbe evaporato di fronte alle prime difficoltà. Se così fosse, non conteremmo tra le morti bianche anche la perdita di quegli imprenditori - come Dario Di Vico ha scritto sul Corriere di lunedì - che pur di non tradire la parola data hanno scelto una via diversa. Di annientamento. Alla lezione di questi uomini, grandi nella pur miseranda condizione di inadeguatezza nei confronti della crisi, dobbiamo guardare nella consapevolezza che questa situazione va affrontata riportando al centro di tutto un nuovo sistema di regole, a supporto di un nuovo modo di intendere l'impresa. Serve un diverso punto di riferimento. Bisogna ripartire dall'uomo nel suo senso più esteso, singolare e allo stesso tempo collettivo. All'interno di questo quadro la sfida che gli imprenditori devono saper raccogliere è la durabilità delle loro imprese. Un obiettivo che non si raggiunge lavorando unicamente nella ricerca della profittabilità. Dobbiamo saper integrare - e c'è chi lo fa già quotidianamente - in modo virtuoso la ricerca dell' economicità con lo sviluppo sostenibile della comunità di riferimento. È il tema, questo, dell' impresa socialmente responsabile, che richiama i confini entro i quali valutare gli effetti delle proprie decisioni e l'orizzonte temporale di ritorno degli investimenti. La ricerca di una progetto di sviluppo virtuoso e sostenibile passa per un punto nodale: investire sulla fiducia. L'origine della crisi attuale nasce da comportamenti non lungimiranti (e a volte irresponsabili) che hanno minato la fiducia. La fiducia è un moltiplicatore dell'economia di mercato, è decisiva non solo per dare stabilità al sistema finanziario, ma per assicurare continuità ai consumi e agli investimenti. Il progresso dell'impresa è strettamente legato alla coesione sociale. In un momento come questo è pericolosa più che mai la tentazione di «chiudersi» nella propria azienda, nel nostro piccolo mondo locale, in famiglia. Per questo ritengo che dalla crisi si potrà uscire solo insieme. Tanto più noi imprenditori del Nordest, rappresentanti dell'economia locale più globalizzata d'Europa. Dobbiamo aprirci ai mercati, alle altre economie, alla società, perché come dimostrano drammaticamente le notizie di cronaca di questi giorni, siamo lavoratori fra i lavoratori. Consapevoli che il nostro lavoro favorisce tutta la società e, conseguentemente, che le nostre difficoltà si rovesciano sulla vita di tutta la società. È la dimensione etica, l'impegno imprenditoriale verso una visione economica responsabile che sta alla base della strategia di uscita dalla crisi. E non solo per ragioni di marketing, o peggio, di moda, ma perché è stata l'assenza di regole e di etica che ci ha condotti verso un sistema di crescita che poi è imploso. L'impresa deve tornare al centro del processo di sviluppo, essere il luogo in cui si crea ricchezza, ma anche dove si produce valore per la società. In fondo chi si assume l' onere e il coraggio di intraprendere lo fa con uno spirito che non è di solo orientamento al profitto. Se così non fosse, e questa crisi lo ha dimostrato, ci sono modalità più sbrigative che assumersi il rischio di un'impresa.
* presidente degli industriali di Vicenza
«Corriere della Sera» del 3 marzo 2010
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