Una maggiore discrezione da parte dei giornalisti non guasterebbe. Verso tutti, però.
Di Piero Ostellino
Un giornale pubblica la notizia che il portavoce del governo, Silvio Sircana, sarebbe finito nell’inchiesta della Procura di Potenza sullo scandalo delle fotografie di persone più o meno celebri usate a scopo di ricatto. Alcune fotografie lo ritrarrebbero in compagnia, diciamo, inconsueta, ma solo apparentemente compromettente. In ogni caso, si tratterebbe pur sempre di un comportamento del tutto privato. Così, c’è chi, giustamente, disinnesca ogni tentazione di speculazione politica, definendola una «notizia inutile». Concordo. La vicenda nulla aggiunge e nulla toglie al lavoro del portavoce di Prodi. Non conosco personalmente Silvio Sircana. Non ho, perciò, ragione alcuna per nutrire nei suoi confronti un qualche sentimento di simpatia o di ostilità. Tanto meno, ho interesse ad avere con lui un rapporto professionale. Ma gli voglio ugualmente manifestare solidarietà, augurandogli di superare questo difficile momento nel modo che egli stesso riterrà più opportuno e, spero, senza conseguenze per il suo futuro. Contemporaneamente, però, il mondo politico - che sarebbe vittima di pedinamenti e foto a scopo di ricatto - insorge contro il giornale che ha pubblicato la notizia. Non avrebbe dovuto. Qui, non concordo più. Trovo l’alzata di scudi ipocrita, corporativa, frutto di una concezione elitaria del proprio ruolo e dei propri rapporti con il sistema informativo in una società democratica. Una notizia è una notizia, chiunque riguardi. Non vedo che differenza ci sia fra la notizia che un uomo politico è stato oggetto di attenzione da parte di una banda di ricattatori; quella che un altro politico ha pagato il riscatto delle foto di sua figlia un pò scarmigliata all’uscita di un locale notturno; quella di tante ragazze che circolano negli ambienti dello spettacolo e della moda fotografate per le stesse ragioni. Se si pubblicano le une, non capisco perché mai non si dovrebbe pubblicare l’altra. Vengo, allora, al ruolo dell’informazione. Non ritengo sia stata propriamente una manifestazione di civiltà dell’informazione aver gettato in pasto agli appetiti di un pubblico pruriginoso le vicende di ragazze che, da che mondo è mondo, sapevano di essere sedute sulla propria fortuna e ne avevano approfittato per uscire dall’anonimato. Ciascuno è libero di fare della propria vita ciò che meglio crede a condizione di non danneggiare il suo prossimo. C’è chi, a sua volta, ama leggere un certo genere di notizie. Ed è, infine, comprensibile, anche se non giustificabile, che il sistema informativo ne approfitti per vendere qualche copia in più di un giornale. Ma siamo ancora sul terreno del giudizio morale o, se si preferisce, del buon gusto. Che sarebbe, perciò, sbagliato pretendere di disciplinare legislativamente e tradurre in una qualche forma di censura. Da perseguire è, invece, chi specula sulla difesa della privatezza - da parte di personaggi pubblici esposti, a ragione dei propri stili di vita, al pericolo della gogna mediatica e della riprovazione popolare - per farne un’occasione di ricatto. I giornali popolari delle grandi democrazie anglosassoni sono pieni di notizie scandalistiche. Solo nei Paesi autoritari o totalitari non se ne parla. E non è necessariamente un bene. Una maggiore discrezione e un pò più di rispetto da parte del sistema informativo per vicende che riguardano la vita privata e, perché no, il libero arbitrio di chi è sulla ribalta della cronaca non guasterebbero. Senza distinzioni, però. Neppure per il mondo della politica.
«Corriere della sera» del 17 marzo 2007
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