di Andrea Lavazza
La fantascienza si è esercitata in mille simulazioni di memorie manipolate, ma il desiderio (e la paura) di poter intervenire sui ricordi sono un «topos» delle letteratura universale. Anche Shakespeare mette in scena un Macbeth che chiede al medico una pozione che rimuova dalla mente della moglie le immagini insostenibili del delitto compiuto e la sollevi dal peso del rimorso. «Il malato trovi da sé il rimedio», è la risposta nella tragedia. Oggi, quella «medicina» comincia a prendere corpo. Un gruppo di ricercatori del Center for Neural Science della New York University, guidato da Joseph LeDoux, è riuscito a cancellare un singolo ricordo dal cervello di topi di laboratorio. O meglio, come spiegano in un articolo anticipato online su «Nature Neuroscience», hanno impedito che un elemento mnemonico legato a un'emozione di paura passasse dalla memoria a breve termine a quella di lungo termine. Gli sperimentatori hanno sottoposto alcuni topi a un condizionamento classico (pavloviano): si addestrano gli animali a temere due toni musicali somministrando loro nello stesso tempo una scarica elettrica. L'associazione ripetuta di suono e scossa fa sì che il topo si aspetti la scarica ogniqualvolta senta il tono musicale. La paura è misurata come risposta fisiologica di blocco motorio, che anticipa il dolore temuto. Metà degli animali sono poi stati trattati con una sostanza (chiamata UO126) che agisce sulla cascata di processi molecolari alla base del consolidamento dei ricordi. Una volta somministrato tale «farmaco», a tutti i topi veniva fatto risentire uno dei toni musicali capaci di suscitare timore preventivo. Il giorno dopo si è testata nuovamente la memoria dei due suoni: nel gruppo di controllo la situazione era immutata, mentre le cavie «narcotizzate» non manifestavano più paura rispetto al tono ripetuto durante il riconsolidamento; nessuna conseguenza invece sull'altro suono, che continuava a suscitare terrore e a fare immobilizzare gli animali. Il meccanismo soggiacente è dato dal fatto che un certo ricordo, quando viene riattivato nel cosiddetto consolidamento, entra in uno stato di labilità legato alla sintesi di alcune proteine e ciò avviene in una porzione di cervello chiamata amigdala (dalla forma simile a una mandorla). Se si interferisce in tale processo - grazie al citato inibitore delle chinasi Mek, cioè gli enzimi che regolano l'espressione dei geni coinvolti nel complesso meccanismo -, non si ha il potenziamento dei collegamenti sinaptici - ovvero delle connessioni fra neuroni, i quali creano appunto la rete che costituisce materialmente la sede dei ricordi. Va precisato che una simile «ablazione» della memoria riguarda per ora una precisa finestra temporale e ricordi molto specifici. Un'altra recente ricerca segnala infatti che alcuni tipi di ricordi - quelli che soggettivamente definiremmo importanti - vengono scritti in modo «imperituro» nel cervello. LeDoux e colleghi pensano che l'UO126 (non ancora approvato per l'uso sull'uomo) potrà essere utile per combattere il disturbo da stress post-traumatico. Altri ritengono che queste frontiere delle neuroscienze siano potenzialmente minacciose della nostra identità personale e si prestino ad abusi. Comunque sia, con esse dovremo fare i conti.
«Avvenire» del 20 marzo 2007
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