Alda Merini, autrice esclusa da Sanremo «Sono stata chiusa 15 anni in manicomio e per noi non ci sono rose, solo terrore»
di Michela Tamburrino
Alda Merini è un poeta, come tale tentò di partecipare al Festival di Sanremo e per accidente, per una lite tv, ne è diventata icona mediatica. Ma non ne è contenta: «Non mi piace parlare del Festival che mi ha pugnalata in diretta. Non capita spesso di essere assassinati a favore di telecamera».
Signora Merini, nonostante i suoi rapporti difficili con questa baudilandia, magari le sarà capitato di vederlo il Festival. Le è piaciuta la canzone di Cristicchi «Ti regalerò una rosa» che parla della follia?
«No, non molto. Forse dovrei ringraziare, si parla di matti, di manicomi e io sono stata rinchiusa per quindici anni. Ma è un territorio di cui si dovrebbe parlare a ritmo di rap. Capisco il messaggio, mi compiaccio ma il manicomio è illegalità, disperazione, terrore. Una rosa io la vorrei mettere sulla tomba di quelli che non ce l’hanno fatta. A noi sopravvissuti, grazie al fato e a qualcuno che ci ha salvato, serve altro».
Ma la canzone di Cristicchi almeno si prende la briga di parlare del problema riprendendo delle lettere vere, mai spedite, di persone con problemi di mente.
«Troppo raccontata, non c’è poesia e non c’è musica. Sarebbe stata meglio più stringata. Mi sono piaciuti di più i vecchi come me. Dorelli, Al Bano. Siamo noi che teniamo in piedi l’Italia, con un ottimismo che è una follia. I giovani imparino ad essere felici di quello che hanno e a non chiedere molto di più».
Dica la verità, con che animo ha visto il Festival?
«Certo, ho il dente avvelenato per l’esclusione ma non ce l’ho con Pippo Baudo. Anzi gli sono ancora grata perché una volta, tanti anni fa, mi pagò la bolletta del telefono e lo fece in modo magnanimo, mi stese una mano che non trema. Ho guardato il Festival cercando di trovare qualcosa. Mi spiace per Milva, una grande ma la canzone era oscena. Mi spiace per Nada Malanima, troppo goffa rispetto a quello che era. Non sempre si è vincitori. Però non sono queste le sconfitte, cerchiamo piuttosto di non perdere le guerre».
E la canzone contro la mafia di Fabrizio Moro le è piaciuta?
La mafia è entrata nella storia della letteratura italiana. E dunque, che si canti. Vede, io sono di bocca buona, mica come la luna che si è fatta rossa dalla vergogna durante il Festival. Io sono felice, perché qualcuno ancora mi fa applausi. Non ha idea di cosa vuol dire uscire vivi da un manicomio. Tutto diventa stupendo, perfino Pippo Baudo. Anche in manicomio c’erano le rose, stupende, in giardino. Scavalcavamo il recinto di notte per sentire quel profumo intensissimo e nessuno che ci abbia mai regalato una rosa».
Signora Merini, nonostante i suoi rapporti difficili con questa baudilandia, magari le sarà capitato di vederlo il Festival. Le è piaciuta la canzone di Cristicchi «Ti regalerò una rosa» che parla della follia?
«No, non molto. Forse dovrei ringraziare, si parla di matti, di manicomi e io sono stata rinchiusa per quindici anni. Ma è un territorio di cui si dovrebbe parlare a ritmo di rap. Capisco il messaggio, mi compiaccio ma il manicomio è illegalità, disperazione, terrore. Una rosa io la vorrei mettere sulla tomba di quelli che non ce l’hanno fatta. A noi sopravvissuti, grazie al fato e a qualcuno che ci ha salvato, serve altro».
Ma la canzone di Cristicchi almeno si prende la briga di parlare del problema riprendendo delle lettere vere, mai spedite, di persone con problemi di mente.
«Troppo raccontata, non c’è poesia e non c’è musica. Sarebbe stata meglio più stringata. Mi sono piaciuti di più i vecchi come me. Dorelli, Al Bano. Siamo noi che teniamo in piedi l’Italia, con un ottimismo che è una follia. I giovani imparino ad essere felici di quello che hanno e a non chiedere molto di più».
Dica la verità, con che animo ha visto il Festival?
«Certo, ho il dente avvelenato per l’esclusione ma non ce l’ho con Pippo Baudo. Anzi gli sono ancora grata perché una volta, tanti anni fa, mi pagò la bolletta del telefono e lo fece in modo magnanimo, mi stese una mano che non trema. Ho guardato il Festival cercando di trovare qualcosa. Mi spiace per Milva, una grande ma la canzone era oscena. Mi spiace per Nada Malanima, troppo goffa rispetto a quello che era. Non sempre si è vincitori. Però non sono queste le sconfitte, cerchiamo piuttosto di non perdere le guerre».
E la canzone contro la mafia di Fabrizio Moro le è piaciuta?
La mafia è entrata nella storia della letteratura italiana. E dunque, che si canti. Vede, io sono di bocca buona, mica come la luna che si è fatta rossa dalla vergogna durante il Festival. Io sono felice, perché qualcuno ancora mi fa applausi. Non ha idea di cosa vuol dire uscire vivi da un manicomio. Tutto diventa stupendo, perfino Pippo Baudo. Anche in manicomio c’erano le rose, stupende, in giardino. Scavalcavamo il recinto di notte per sentire quel profumo intensissimo e nessuno che ci abbia mai regalato una rosa».
«La Stampa» del 5 marzo 2007
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