Tutto diventa mini, anche videogiochi e serie tv
di Stefano Montefiori
Non c’è tempo per mangiare, figurarsi per cinema, musica, libri. Nella cultura pop, nessuno ha descritto meglio la contemporanea ossessione per il tempo (che manca) di Douglas Coupland in Microservi (1995): «Per vedere un film in videocassetta ci vuole un’eternità, anche se usi l’avanti veloce. Poi Karla ha scoperto questo incredibile segreto risparmia-tempo: i film con i sottotitoli! Leggi in fretta i sottotitoli e salti il resto. Efficace da far paura». Oltre dieci anni dopo il tempo è ancora meno, ma ai mezzi rudimentali dell’era pre-Dvd di Coupland si sostituiscono tecnologie capaci di assecondare il desiderio di brevità, velocità, densità. È l’avvento della «Snack culture», la miniaturizzazione dei consumi culturali alla quale la rivista americana Wired dedica la copertina: in un metaforico sacchetto delle patatine mini-film, pezzi di canzoni e micro-videogame. Sottotitolo: «Esplorate il Nuovo Mondo dei media da un minuto». Bello sedersi in poltrona e ascoltare un album dall’inizio alla fine. Più spesso è difficile arrivare in fondo a una canzone sull’iPod: al primo accenno di narcisismo nell’assolo di chitarra, o al secondo ritornello uguale al precedente, si passa avanti. George Gimarc e Bill Bungeroth ne hanno tratto le conseguenze inventando il Radio Sass (Short Attention Span System): «Oggi le radio trasmettono a malapena 12 canzoni ogni ora, ma potrebbero arrivare a 30. Il nostro protocollo condensa i pezzi in 2 minuti al massimo». Quel che il punk fece con gli assoli di batteria del prog-rock, Radio Sass promette di farlo automaticamente: «Perché salire tutta la Stairway to Heaven, la scala per il paradiso, quando puoi prendere l’ascensore?», si chiede provocatoriamente Wired, citando il classico, lungo (e intoccabile) pezzo dei Led Zeppelin. La mania della brevità assume - per fortuna - forme anche originali e meno volgari: un videogioco da 30 secondi sul portatile Nintendo Ds, un podcast da tre minuti sul lettore Mp3, un articolo letto sul cellulare scegliendo da veloci elenchi creati dagli utenti come Digg o Reddit. La Snack Culture è all’opera anche nelle serie tv. Un capolavoro zeppo di colpi di scena come «24» è complicato da seguire se si perde anche solo una puntata. Diventano fondamentali i recaps, i riassunti delle puntate precedenti, passati dai 30 secondi in media per un telefilm degli anni Ottanta ai due minuti attuali di Lost. Tanto vale vedersi solo quelli: su You Tube i recaps si trovano già montati, l’intera stagione di un serial condensata in mezz’ora. Una nuova forma d’arte, o quasi. Gli Stati Uniti sono la patria di Selezione dal Reader’s Digest (dal 1922), del resto, e Wired riconosce l’imbarazzante ruolo di «Guerra e pace in 100 pagine» in un semiserio excursus storico della Snack Culture che parte dai graffiti preistorici di Lascaux, 15 mila anni fa («il racconto di una battuta di caccia in forma breve») passando per il discorso di Gettysburg di Lincoln («272 parole, due minuti: formato You Tube») per arrivare al One second film di oggi: un film di animazione lungo solo un secondo, sponsorizzato da migliaia di persone (tra cui Kiefer Sutherland, Atom Egoyan, Christina Ricci, Kevin Bacon) per finanziare il Global Fund for Women. «Non sta scritto nella Bibbia "Un film deve durare due ore"», prevede il produttore Peter Guber (Batman, Il Colore Viola). Ma la Snack Culture, paradossalmente, sembra la reazione a una tendenza opposta: film sempre più lunghi (l’ultimo David Lynch, ma anche King Kong), canzoni che tornano a superare i 7 minuti (dai Radiohead a Sufjan Stevens), romanzi (come il caso Les Bienveillantes di Jonathan Littell) ben oltre le 900 pagine, una debordante offerta (grazie a Dvd e Internet) di ogni genere di film in più lingue. Snack Culture, inevitabile Bignami del XXI secolo.
«Corriere della sera» dell’8 marzo 2007
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