Petrarca e Laura, Balthasar e la Von Speyr Il rapporto spirituale tra l'elemento maschile e quello ispiratore femminile, se non cade nei vecchi ruoli subalterni, genera una fecondità intellettuale che esalta la reciproca differenza dei sessi
di Paola Ricci Sindoni
Si può provare a rileggere la data dell'8 marzo lasciando alle spalle le ormai logore celebrazioni rituali con il loro vociare chiassoso di tanto femminismo ideologico, chiedendo al mondo dell'arte e della letteratura qualche chiave di lettura meno scontata e forse più proficua. Quando l'orizzonte della creatività umana riesce a regalare nuove provocazioni non è certo per evadere nel regno etereo della fantasia, quanto per ricercare luoghi dove il conflitto tra femminile e maschile si stempera e l'opacità del vivere si dirada grazie al potere simbolico dell'immaginare.
Ci si può perciò affidare a quanti, musicisti, poeti e filosofi hanno fatto grande la donna non tanto per esaltarne la fisionomia eterea ed astratta, ma per riconoscerla nel suo farsi compagna e ispiratrice, capace di intervenire dentro il magico gioco di silenzio e parola nel processo creativo di un «grande», con cui ha condiviso una intimità complice e profonda. È questo il ruolo della musa, di colei che ispira in modo discreto e potente e la cui influenza si intravede alla sorgente di ogni grande opera d'arte, frutto di un incontro fatale, di un legame spirituale fecondo che la presenza femminile riesce a promuovere e sviluppare.
Non è questo un contatto di sola passione, ma di un'intesa di amore, colta come capacità creativa di superarsi nell'ulteriorità del dono e di realizzare qualcosa di totalmente inedito e ricco.
C'è chi ha provato a delineare alcune storie di questi incontri magici, entrando nel vivo di un classico modello di interazione creativa, quella di Beatrice con Dante, ma l'orizzonte può allargarsi, come ha fatto negli anni Cinquanta Etienne Gilson in uno studio da poco tradotto in Italia (La scuola delle muse, Medusa) e comprendere anche la storia di Petrarca con la sua Laura, Baudelaire con Madame Sabatier, Maurice Maeterlinck con Georgette Leblanc. Si possono affiancare musicisti, come Wagner con Mathilde Wesendonk e filosofi come Comte con la sua musa Clotilde de Vaux.
L'idea di fondo è che all'interno di questi legami speciali l'elemento maschile creativo non può sussistere senza quello ispiratore femminile, e che dunque è solo l'arte, nelle sue molteplici espressioni, ad offrirci la chiave simbolica per evidenziare un rapporto spirituale tra i due sessi che non punta ad una generica fusione emotiva, ma esalta la loro reciproca differenza.
Sta qui il nodo determinante della questione del femminile, che comunque non può risolversi idealisticamente nel suo ruolo di vestale, che vive silenziosa accanto al genio, con il rischio che si rigenerino forme sofisticate di secolari ruoli subalterni.
Se - come vuole Gilson - dentro la scena della vita artistica sta sempre il creativo (al maschile) e l'ispirazione (l'elemento femminile), è pur vero che, specie nel '900, questi ruoli non sono fissi ma qualche volta capovolti, rafforzando la convinzione che la qualità relazionale dell'identità umana - femminile e maschile - se correttamente vissuta può continuare, e non solo nell'esperienza creativa, a generare sempre nuove forme di vita.
Basti pensare alle avventure intellettuali e spirituali di donne come Hannah Arendt e Adrienne von Speyr. La prima, come si sa, dopo il suo trasferimento in America con il marito Heinrich Blücher, cominciò a maturare la sua complessa visione teorica della politica, avendo nel marito un interlocutore attento e critico, sempre in ombra quando era in gioco Hannah nelle sue difficili battaglie intellettuali.
Né altrimenti è possibile leggere la potente vena mistica della von Speyr, tradotta in numerosi trattati religiosi di grandissimo spessore, senza la presenza discreta e incoraggiante del teologo, pur grande, come Hans Urs von Balthasar, che qualche volta ha espressamente parlato di questo suo ruolo delicato e decisivo.
La creatività dell'intelligenza e il dono dell'interiorità spirituale non sono certo esclusivo appannaggio di un genere, quanto appartengono all'identità umana che riesce a produrre, all'interno di una solitudine abitata dalla compresenza di femminile e maschile, il miracolo dell'arte e le sorprese delle vicende quotidiane che la vita regala.
Ci si può perciò affidare a quanti, musicisti, poeti e filosofi hanno fatto grande la donna non tanto per esaltarne la fisionomia eterea ed astratta, ma per riconoscerla nel suo farsi compagna e ispiratrice, capace di intervenire dentro il magico gioco di silenzio e parola nel processo creativo di un «grande», con cui ha condiviso una intimità complice e profonda. È questo il ruolo della musa, di colei che ispira in modo discreto e potente e la cui influenza si intravede alla sorgente di ogni grande opera d'arte, frutto di un incontro fatale, di un legame spirituale fecondo che la presenza femminile riesce a promuovere e sviluppare.
Non è questo un contatto di sola passione, ma di un'intesa di amore, colta come capacità creativa di superarsi nell'ulteriorità del dono e di realizzare qualcosa di totalmente inedito e ricco.
C'è chi ha provato a delineare alcune storie di questi incontri magici, entrando nel vivo di un classico modello di interazione creativa, quella di Beatrice con Dante, ma l'orizzonte può allargarsi, come ha fatto negli anni Cinquanta Etienne Gilson in uno studio da poco tradotto in Italia (La scuola delle muse, Medusa) e comprendere anche la storia di Petrarca con la sua Laura, Baudelaire con Madame Sabatier, Maurice Maeterlinck con Georgette Leblanc. Si possono affiancare musicisti, come Wagner con Mathilde Wesendonk e filosofi come Comte con la sua musa Clotilde de Vaux.
L'idea di fondo è che all'interno di questi legami speciali l'elemento maschile creativo non può sussistere senza quello ispiratore femminile, e che dunque è solo l'arte, nelle sue molteplici espressioni, ad offrirci la chiave simbolica per evidenziare un rapporto spirituale tra i due sessi che non punta ad una generica fusione emotiva, ma esalta la loro reciproca differenza.
Sta qui il nodo determinante della questione del femminile, che comunque non può risolversi idealisticamente nel suo ruolo di vestale, che vive silenziosa accanto al genio, con il rischio che si rigenerino forme sofisticate di secolari ruoli subalterni.
Se - come vuole Gilson - dentro la scena della vita artistica sta sempre il creativo (al maschile) e l'ispirazione (l'elemento femminile), è pur vero che, specie nel '900, questi ruoli non sono fissi ma qualche volta capovolti, rafforzando la convinzione che la qualità relazionale dell'identità umana - femminile e maschile - se correttamente vissuta può continuare, e non solo nell'esperienza creativa, a generare sempre nuove forme di vita.
Basti pensare alle avventure intellettuali e spirituali di donne come Hannah Arendt e Adrienne von Speyr. La prima, come si sa, dopo il suo trasferimento in America con il marito Heinrich Blücher, cominciò a maturare la sua complessa visione teorica della politica, avendo nel marito un interlocutore attento e critico, sempre in ombra quando era in gioco Hannah nelle sue difficili battaglie intellettuali.
Né altrimenti è possibile leggere la potente vena mistica della von Speyr, tradotta in numerosi trattati religiosi di grandissimo spessore, senza la presenza discreta e incoraggiante del teologo, pur grande, come Hans Urs von Balthasar, che qualche volta ha espressamente parlato di questo suo ruolo delicato e decisivo.
La creatività dell'intelligenza e il dono dell'interiorità spirituale non sono certo esclusivo appannaggio di un genere, quanto appartengono all'identità umana che riesce a produrre, all'interno di una solitudine abitata dalla compresenza di femminile e maschile, il miracolo dell'arte e le sorprese delle vicende quotidiane che la vita regala.
«Avvenire» del 7 marzo 2007
Nessun commento:
Posta un commento