«Exit» e «Voice»:la doppia proposta del giuslavorista Pietro Ichino per salvare i servizi pubblici italiani. Quando si può (scuola, sanità) dobbiamo puntare alla possibilità di scegliere, creando vera concorrenza.Altrimenti, è ora di alzare la voce
Di Pietro Ichino
Pretendiamo, negli enti finanziati con i soldi di tutti, il modello del Nord Europa: totale trasparenza su costi, attività, persone. Invocare il segreto è autoritarismo, non tutela della privacy
Che cosa non ha funzionato nelle riforme degli anni Novanta della nostra amministrazione pubblica? Quando, nel 1993, si è esteso quasi interamente il diritto del lavoro privato al rapporto di impiego pubblico, si è definita meglio la distinzione tra indirizzo politico e responsabilità di gestione e si è sancita la natura contrattuale del rapporto, attivando l'autonomia negoziale delle parti. Si è sancita la responsabilità dei dirigenti per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal potere politico, e si è affidato a quest'ultimo il compito di controllare che tali obiettivi venissero effettivamente conseguiti.
La disciplina del rapporto di lavoro pubblico è stata così quasi del tutto parificata rispetto a quella vigente nelle aziende private. Non si è, però, tenuto adeguatamente conto del fatto che nel settore pubblico manca per lo più la "molla" potentissima che muove il dirigente privato, vale a dire la concorrenza tra operatori diversi, che consente la dura sanzione del mercato contro l'inefficienza: una "molla" che il potere politico, per sua natura, non è capace di sostituire con l'esercizio di un controllo rigoroso e imparziale. Nel mercato l'utente/cli-ente/consumatore sanziona l'inefficienza rivolgendosi altrove: egli esercita così quella che Albert O. Hirschman chiama l'opzione exit. Alternativa a questa è la possibilità di farsi sentire, denunciare le inefficienze, interloquire nelle scelte: l'opzione voice. Il problema fondamentale della nostra amministrazione pubblica sta nel fatto che non si concede al cittadino nessuna delle due opzioni: né exit, né voice. La voice contro l'inefficienza dovrebbe essere esercitata dalla cittadinanza attraverso i propri rappresentanti politici, che purtroppo però tendono a interferire con l'amministrazione per fini del tutto diversi da quelli del miglioramento della sua efficienza.
Quando la libertà di scelta dell'utente sia effettiva, siano ci oè garantite concorrenza aperta tra operatori e simmetria di informazione, l'opzione exit costituisce una grande garanzia di equità e di benessere per l'utente medesimo. Dovunque sia possibile offrire al cittadino questa opzione, in un settore dei servizi pubblici, si può attivare uno stimolo assai efficace nei confronti della dirigenza.
Una libertà di scelta effettiva oggi è offerta all'utente, in qualche misura, nel settore dell'istruzione e in quello della sanità; ma potrebbe essere offerta anche altrove, e in modo assai più esteso e incisivo. Se, per esempio, il finanziamento pubblico delle scuole e delle università avvenisse interamente attraverso il sistema dei voucher (previa abolizione del valore legale dei titoli di studio), gli istituti e gli atenei dove si scelgono male i professori, o comunque dove si insegna poco e male, sarebbero costretti a chiudere; e se, nell'istituire tale sistema, si attribuisse ai rettori e ai presidi una piena discrezionalità nella selezione e nella gestione delle risorse, allora li vedremmo assai più e meglio mobilitati di quanto non siano oggi per scegliere i professori migliori, e per stanare quelli inerti dalle loro nicchie; li vedremmo attivarsi per sanzionare gli assenteisti e allontanare gli incompetenti, per spostare le persone di cui dispongono dove sono più utili e non dove fa loro più comodo.
Nel rapporto tra amministrazione pubblica e cittadini si possono introdurre anche altri meccanismi di mercato che diano agli utenti, almeno in parte, un'opzione exit: per esempio, si possono mettere gli sportelli che offrono uno stesso servizio (anagrafe comunale, rinnovo della patente di guida, rinnovo del passaporto) in concorrenza tra loro, attribuendo un premio agli addetti allo sportello che riesce a dimostrarsi più efficiente.
In molti settori dell'amministrazione pubblica, però, i meccanismi "di mercato" non si possono introdurre. Per esempio, se un corpo municipale di vigili urbani funziona male, non è possibile consentire ai cittadini di avvalersi di un altro corpo di vigilanza concorrente, né premiare con un maggiore flusso di risorse un servizio alternativo.
Dare voce al cittadino-utente presuppone, innanzitutto, che egli sia compiutamente informato. Il panorama internazionale ci offre su questo terreno molte esperienze di grande interesse: per esempio nel settore scolastico, in quello della formazione professionale, in quello dei servizi nel mercato del lavoro, dove da decenni ormai vengono sperimentati e affinati metodi e tecniche di rilevazione degli indici di efficienza ed efficacia dei servizi. Le associazioni degli utenti, i giornalisti specializzati e i centri di ricerca, quando dispongono dei dati necessari, si sono dimostrati capaci di controllare l'efficienza e produttività delle strutture pubbliche. Questa capacità costituisce una risorsa preziosa, un grande "tesoro nascosto" che può essere attivato e utilizzato dalle amministrazioni pubbliche a costo zero: basta imporre il principio della totale accessibilità dei dati. Introdurre questo principio anche nel nostro sistema potrebbe avere un effetto tonificante straordinario.
Immaginiamo, per esempio, che in una grande città venga garantita la totale disponibilità, per chiunque vi sia interessato, dei dati analitici sul funzionamento del servizio di vigilanza urbana: le retribuzioni degli agenti, gli orari di lavoro, le mansioni effettive, le assenze e i motivi che le giustificano, quanti vigili si occupano del commercio, quanti del traffico, quante contravvenzioni ciascuno di questi ultimi ha verbalizzato, quante e quali sanzioni disciplinari sono state irrogate, per quali mancanze, e così via.
Immaginiamo poi che una volta all'anno l'organo di controllo comunale sia tenuto a confrontare in un dibattito pubblico le proprie valutazioni con quelle espresse dalla società civile: solo allora si incomincerebbe a scoprire e a misurare con precisione, per esempio, di quanto l'impegno di alcuni vigili sia maggiore di quello di altri, di quanto il tasso di assenteismo e quello di vigili imboscati negli uffici sia superiore a quelli che si registrano nelle altre città europee, se e quanto le promozioni siano in rapporto con il merito effettivo, quanto più raro sia vedere un vigile in un quartiere periferico della città rispetto al centro, quanto sia difficile ottenere l'intervento di un vigile in piena notte, quanto e quando sia esercitato effettivamente il potere disciplinare, quale sia il tasso di soddisfazione della cittadinanza per il servizio e tanti altri dati importanti. A quel punto anche gli obiettivi di miglioramento del servizio, invece che essere negoziati tra potere politico e management nel chiuso di un ufficio, potrebbero essere discussi pubblicamente e decisi dall'autorità politica sotto il controllo effettivo della cittadinanza.
Oggi i nostri ricercatori possono accedere a tutti i dati relativi alle amministrazioni della California o della Svezia, ma non a quelli relativi alle amministrazioni italiane, che si tratti della vigilanza urbana o della giustizia, di personale sanitario o docente. Da noi vige di fatto il principio esattamente contrario a quello della trasparenza; la prassi (giuridicamente infondata) è quella del segreto. Questo viene sovente giustificato con la protezione della privacy degli addetti al servizio, ma il principio della privacy qui non c'entra per nulla: il riserbo con cui si occultano i dati analitici sul funzionamento delle nostre amministrazioni risponde semmai all'antico principio di inaccessibilità degli arcana imperii, che da sempre protegge i poteri autoritari, i sovrani assoluti. Oggi da noi esso protegge le posizioni di rendita diffusamente annidate nelle pieghe del pubblico impiego, a cominciare da quelle dei dirigenti negligenti o inetti. In un regime veramente democratico, invece, deve potersi conoscere tutto.
La disciplina del rapporto di lavoro pubblico è stata così quasi del tutto parificata rispetto a quella vigente nelle aziende private. Non si è, però, tenuto adeguatamente conto del fatto che nel settore pubblico manca per lo più la "molla" potentissima che muove il dirigente privato, vale a dire la concorrenza tra operatori diversi, che consente la dura sanzione del mercato contro l'inefficienza: una "molla" che il potere politico, per sua natura, non è capace di sostituire con l'esercizio di un controllo rigoroso e imparziale. Nel mercato l'utente/cli-ente/consumatore sanziona l'inefficienza rivolgendosi altrove: egli esercita così quella che Albert O. Hirschman chiama l'opzione exit. Alternativa a questa è la possibilità di farsi sentire, denunciare le inefficienze, interloquire nelle scelte: l'opzione voice. Il problema fondamentale della nostra amministrazione pubblica sta nel fatto che non si concede al cittadino nessuna delle due opzioni: né exit, né voice. La voice contro l'inefficienza dovrebbe essere esercitata dalla cittadinanza attraverso i propri rappresentanti politici, che purtroppo però tendono a interferire con l'amministrazione per fini del tutto diversi da quelli del miglioramento della sua efficienza.
Quando la libertà di scelta dell'utente sia effettiva, siano ci oè garantite concorrenza aperta tra operatori e simmetria di informazione, l'opzione exit costituisce una grande garanzia di equità e di benessere per l'utente medesimo. Dovunque sia possibile offrire al cittadino questa opzione, in un settore dei servizi pubblici, si può attivare uno stimolo assai efficace nei confronti della dirigenza.
Una libertà di scelta effettiva oggi è offerta all'utente, in qualche misura, nel settore dell'istruzione e in quello della sanità; ma potrebbe essere offerta anche altrove, e in modo assai più esteso e incisivo. Se, per esempio, il finanziamento pubblico delle scuole e delle università avvenisse interamente attraverso il sistema dei voucher (previa abolizione del valore legale dei titoli di studio), gli istituti e gli atenei dove si scelgono male i professori, o comunque dove si insegna poco e male, sarebbero costretti a chiudere; e se, nell'istituire tale sistema, si attribuisse ai rettori e ai presidi una piena discrezionalità nella selezione e nella gestione delle risorse, allora li vedremmo assai più e meglio mobilitati di quanto non siano oggi per scegliere i professori migliori, e per stanare quelli inerti dalle loro nicchie; li vedremmo attivarsi per sanzionare gli assenteisti e allontanare gli incompetenti, per spostare le persone di cui dispongono dove sono più utili e non dove fa loro più comodo.
Nel rapporto tra amministrazione pubblica e cittadini si possono introdurre anche altri meccanismi di mercato che diano agli utenti, almeno in parte, un'opzione exit: per esempio, si possono mettere gli sportelli che offrono uno stesso servizio (anagrafe comunale, rinnovo della patente di guida, rinnovo del passaporto) in concorrenza tra loro, attribuendo un premio agli addetti allo sportello che riesce a dimostrarsi più efficiente.
In molti settori dell'amministrazione pubblica, però, i meccanismi "di mercato" non si possono introdurre. Per esempio, se un corpo municipale di vigili urbani funziona male, non è possibile consentire ai cittadini di avvalersi di un altro corpo di vigilanza concorrente, né premiare con un maggiore flusso di risorse un servizio alternativo.
Dare voce al cittadino-utente presuppone, innanzitutto, che egli sia compiutamente informato. Il panorama internazionale ci offre su questo terreno molte esperienze di grande interesse: per esempio nel settore scolastico, in quello della formazione professionale, in quello dei servizi nel mercato del lavoro, dove da decenni ormai vengono sperimentati e affinati metodi e tecniche di rilevazione degli indici di efficienza ed efficacia dei servizi. Le associazioni degli utenti, i giornalisti specializzati e i centri di ricerca, quando dispongono dei dati necessari, si sono dimostrati capaci di controllare l'efficienza e produttività delle strutture pubbliche. Questa capacità costituisce una risorsa preziosa, un grande "tesoro nascosto" che può essere attivato e utilizzato dalle amministrazioni pubbliche a costo zero: basta imporre il principio della totale accessibilità dei dati. Introdurre questo principio anche nel nostro sistema potrebbe avere un effetto tonificante straordinario.
Immaginiamo, per esempio, che in una grande città venga garantita la totale disponibilità, per chiunque vi sia interessato, dei dati analitici sul funzionamento del servizio di vigilanza urbana: le retribuzioni degli agenti, gli orari di lavoro, le mansioni effettive, le assenze e i motivi che le giustificano, quanti vigili si occupano del commercio, quanti del traffico, quante contravvenzioni ciascuno di questi ultimi ha verbalizzato, quante e quali sanzioni disciplinari sono state irrogate, per quali mancanze, e così via.
Immaginiamo poi che una volta all'anno l'organo di controllo comunale sia tenuto a confrontare in un dibattito pubblico le proprie valutazioni con quelle espresse dalla società civile: solo allora si incomincerebbe a scoprire e a misurare con precisione, per esempio, di quanto l'impegno di alcuni vigili sia maggiore di quello di altri, di quanto il tasso di assenteismo e quello di vigili imboscati negli uffici sia superiore a quelli che si registrano nelle altre città europee, se e quanto le promozioni siano in rapporto con il merito effettivo, quanto più raro sia vedere un vigile in un quartiere periferico della città rispetto al centro, quanto sia difficile ottenere l'intervento di un vigile in piena notte, quanto e quando sia esercitato effettivamente il potere disciplinare, quale sia il tasso di soddisfazione della cittadinanza per il servizio e tanti altri dati importanti. A quel punto anche gli obiettivi di miglioramento del servizio, invece che essere negoziati tra potere politico e management nel chiuso di un ufficio, potrebbero essere discussi pubblicamente e decisi dall'autorità politica sotto il controllo effettivo della cittadinanza.
Oggi i nostri ricercatori possono accedere a tutti i dati relativi alle amministrazioni della California o della Svezia, ma non a quelli relativi alle amministrazioni italiane, che si tratti della vigilanza urbana o della giustizia, di personale sanitario o docente. Da noi vige di fatto il principio esattamente contrario a quello della trasparenza; la prassi (giuridicamente infondata) è quella del segreto. Questo viene sovente giustificato con la protezione della privacy degli addetti al servizio, ma il principio della privacy qui non c'entra per nulla: il riserbo con cui si occultano i dati analitici sul funzionamento delle nostre amministrazioni risponde semmai all'antico principio di inaccessibilità degli arcana imperii, che da sempre protegge i poteri autoritari, i sovrani assoluti. Oggi da noi esso protegge le posizioni di rendita diffusamente annidate nelle pieghe del pubblico impiego, a cominciare da quelle dei dirigenti negligenti o inetti. In un regime veramente democratico, invece, deve potersi conoscere tutto.
«Avvenire» del 20 marzo 2007
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