Le teorie della fisica e della biologia possono lasciare perplessi perché non sono a misura della nostra mente
di Edoardo Boncinelli
Si è parlato di recente di evoluzione biologica, considerata nei suoi aspetti più diversi. Ne hanno parlato scrittori, filosofi e uomini di fede, perché l’impatto sociale e culturale di tale teoria ha valicato da sempre i confini del suo significato scientifico. Vorrei ricordare però che si tratta di una teoria scientifica, la migliore che abbiamo per spiegare i fatti della vita sulla terra, e come tale deve essere considerata prima di ogni altra cosa. Occorre quindi innanzitutto distinguere l’aspetto scientifico della questione dagli aspetti di contorno. Dal punto di vista scientifico non c’è molto da discutere. La teoria dell’evoluzione biologica, rappresentata oggi dal neodarwinismo, costituisce una realtà scientifica solidissima e coerente, l’unica vera idea unificante della biologia, nonostante i grandiosi e tumultuosi progressi cui questa è andata incontro in tempi molto recenti. Non è che negli ultimi decenni non ci siano stati attacchi scientifici alla teoria neodarwiniana. Ce ne sono stati infatti, e almeno un paio di grande valore. Tutti sono stati però rintuzzati e il lavoro, sperimentale e teorico, fatto per rispondere a tali obiezioni ha fatto crescere di molto la teoria stessa, che si presenta sempre più solida e compatta, anche se ci sfuggono ancora moltissimi dettagli dell’intero processo. Il bello delle teorie scientifiche è che non sono mai perfette e immutabili, ma si raffinano e si perfezionano continuamente, anche sulla base delle obiezioni che vengono loro mosse. In più di trenta anni di lavoro sperimentale non mi è passato per la testa neppure per un momento che il neodarwinismo non spiegasse i fenomeni biologici che stavo studiando, dai più piccoli ai più grandi, e ogni nuovo esperimento si rivelava una nuova conferma, diretta o indiretta, della teoria. Gli ultimi anni poi, segnati dall’esplorazione dei genomi delle specie più diverse, non hanno fatto che portare nuove lampanti prove a favore della teoria dell’evoluzione della vita sulla terra. Perché allora tanto chiasso e tanto fervore di argomentazioni, pro e contro questa che non è, ripetiamo, che una teoria scientifica? Perché ciò che dice non è intuitivo e non ci piace, come è successo per tutto ciò che hanno detto le teorie scientifiche che hanno rivoluzionato le nostre conoscenze - sul mondo della vita, sull’infinitamente piccolo e sull’infinitamente grande - negli ultimi centocinquanta anni. Ciò che ci dice non è intuitivo perché il nostro cervello non si è evoluto per comprendere e apprezzare cose del genere. La natura ci ha forgiato un cervello capace di orientarci e farci sopravvivere in un mondo di cose che misurano centimetri, metri o chilometri e che durano minuti, ore, giorni o anni. Per questo mondo il nostro cervello va più che bene e nessuno se ne è mai lamentato. È stato quando abbiamo voluto studiare e comprendere qualcosa che si trova al di là di queste dimensioni che si sono rivelati tutti i limiti delle nostre capacità cerebrali individuali. E le cose importanti della vita biologica hanno luogo su scale spaziali troppo piccole e su scale temporali troppo grandi per la nostra intuizione. Nessuno di noi, per quanto si sforzi, riesce a immaginare fenomeni che hanno richiesto quasi quattro miliardi di anni per realizzarsi e che poggiano su processi che implicano entità che misurano nanometri, vale a dire miliardesimi di metro. Fortunatamente non viviamo da soli. La nostra mente si trova immersa in un clima culturale che ci permette molto spesso di superare le nostre limitazioni individuali grazie alla forza del collettivo umano. Molto di quello che non potrei mai capire da solo mi viene insegnato sulla base delle esperienze e delle argomentazioni del consorzio umano di ieri e di oggi, anche se sono ovviamente libero di accettarlo o meno. Non ho bisogno di scoprire ogni volta il teorema di Pitagora, né di scavare personalmente per scoprire di nuovo la storia geologica del nostro pianeta o della mia regione. Non sfuggirà che ho usato un argomento di natura evoluzionistica per giustificare la nostra difficoltà a comprendere le teorie scientifiche più ardite. Posso anche usare argomenti di natura evoluzionistica per giustificare il fatto che molte delle affermazioni del neodarwinismo non ci piacciono. Il punto cruciale è rappresentato dal grande ruolo che viene a giocare il caso in questo tipo di spiegazioni. A noi non piace l’idea che le cose possano avvenire a caso e preferiamo pensare che dietro ogni cosa ci sia un progetto e un’intenzione. E ciò è vero nonostante che il ruolo del caso non sia affatto diminuito, ma sia addirittura aumentato, nelle versioni più recenti della teoria darwiniana stessa. Le argomentazioni della cosiddetta teoria del Progetto Intelligente, che non è una proposta costruttiva ma una critica carica di un grande appeal viscerale, poggiano tutte su questo punto, vale a dire sulla nostra indubbia difficoltà psicologica di accettare un tale, pervasivo ruolo del caso nella storia della vita. Il concetto di caso e di evento casuale è uno dei più difficili da cogliere e alcune civiltà non lo hanno mai contemplato. Quello che ci viene spontaneo è di ritenere che tutto abbia una causa, e magari una finalità, sulla base di un progetto messo in atto da qualche agente animato. Il fatto è che assumiamo che questo sia sempre vero, in ogni caso, e anche a proposito delle vicende che hanno preceduto la comparsa della vita stessa. Ci viene naturale e ci piace crederlo, ma dovrebbe essere ormai più che evidente che non tutto quello che ci piace credere è vero. A cominciare dal fatto che il Sole giri intorno alla Terra.
Gli interventi sul «Corriere»: evoluzionismo e creazionismo sono i temi del dibattito che si è sviluppato sulle pagine del «Corriere della Sera» a partire da un articolo di Claudio Magris pubblicato il 25 gennaio Sul rapporto fra teorie darwiniane e credenze religiose sono quindi intervenuti i filosofi della scienza Giulio Giorello (5 febbraio) e Mauro Ceruti (8 febbraio), il rabbino Giuseppe Laras (10 febbraio) e il paleontologo monsignor Fiorenzo Facchini (22 febbraio)
«Corriere della sera» del 2 marzo 2007
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