Un convegno a Milano indaga quel principio (razionale) del vivere associato che il laicismo vorrebbe ridurre a mera convenzione Angelini: «È ora di un ripensamento antropologico»
di Edoardo Castagna
Botta e risposta sui temi caldi Rusconi: «Nell’arena pubblica non si deve parlare di verità» D’Agostino: «No, libertà significa non escludere nessuno»
Bistrattata a lungo come se fosse patrimonio di una sola parte - quella cattolica -, la legge naturale in Italia è spesso attaccata da chi vorrebbe che tutto, nella vita associata dell'uomo, fosse soltanto mera convenzione, cancellando così con un tratto di penna quello che da sempre è considerato il fondamento razionale nella storia delle civiltà. A ragionare allora sulla vitalità nonostante tutto di questa categoria, e anzi a rilanciarne il valore nell'arena pubblica contemporanea, è la due giorni «La legge naturale. I principi dell'umano e la molteplicità delle culture», aperta ieri a Milano presso la Facoltà teologica dell'Italia settentrionale. Un convegno che nella sua prima giornata si è proposto, come ha rilevato Giuseppe Angelini introducendo i lavori, di calare il dibattito sulla legge naturale all'interno dei temi «caldi» dell'oggi - dalla globalizzazione alla bioetica - e, in un secondo momento, di approfondire i fondamenti logici, storici e teorici della categoria.
L'analisi comparata sviluppata dal giurista Silvio Ferrari ha accostato il concetto di legge naturale, quale si è sedimentato nell'Occidente cristiano, alle concezioni proprie delle tradizioni ebraica e, soprattutto, islamica. Su questo versante, ha rilevato come, abbandonate le esperienze dei secoli passati, oggi nel mondo musulmano manchi «l'elaborazione di una nozione di diritto naturale»; a pesare è il discredito generalizzato dell'attività razionale, spesso interpretata come contraddittoria all'idea della libera e onnipotente volontà divina. Così, in assenza di valori fondanti non derivati dal testo sacro, non solo si pone prepotentemente «il problema dello status dei non musulmani, ma emerge anche il grosso limite delle formazioni statali ispirate all'islam: perché l'istanza razionale non si pone a fondamento solo dell'indagine sulla legge naturale, ma anche delle norme dello Stato, frutto di un argomentazionire e di un confrontarsi che muovono dal comune ricorso al logos».
Sul fronte occidentale, al contrario, il problema emerso prepotentemente negli ultimi anni è quello rappresentato dall'ipertrofia della tecnica, «che nella psicologia delle masse - ha argomentato il filosofo Francesco D'Agostino - sembra aver preso il posto di Dio. Tanto che l'inerzia tecnologica, secondo il comune sentire, è una colpa. Oggi per la tecnica vale quello che Marx diceva del denaro: da mezzo, è diventata fine». Anziché fondare la potenza sulla verità, il tecnicismo fonda la verità sulla potenza, fornendo una fuorviante immagine dell'etica «come di una supplice che prega la tecnica di non fare ciò che ineluttabilmente farà». Al contrario, «il ruolo dell'etica nell'età della tecnica è profetico, poiché il suo è un appello per la salvezza stessa della tecnica, affinché non si illuda di poter progredire in un orizzonte di carenza di senso». Un senso la cui ricerca, oggi, è spesso sbrigativamente liquidata come senza senso.
A ragionare sui fondamenti storico-filosofici del ricorso alle legge naturale è intervenuto il teologo Maurizio Chiodi, che ha evidenziato che già nella sintesi tomista «la legge appartiene alla ragione, che è primo principio degli atti umani, in quanto riconosce come bene il fine verso cui la volontà si muove». E, soprattutto, «è ordinata al bene comune», diventando così, ancora una volta, fondamento del vivere associato. Il filosofo del diritto Francesco Viola ha invece ragionato su una «nuova figura del diritto naturale: i diritti umani». Mostrando i limiti delle teorie che cercano di affermarli prescindendo dalle leggi naturali, Viola ha mostrato come al contrario «i valori, che tendono a sopraffarsi a vicenda, devono tradursi in principi» e quindi in una «rete dei diritti globali. Perché i diritti possono essere tutelati soltanto nel loro complesso: non si può scegliere, e dire, per esempio, la libertà sì, va difesa, la vita no».
Un quadro, questo, contestato alla ra dice dal politologo Gian Enrico Rusconi, che fin dall'esordio ha sottolineato la propria «laicità» rigettando ogni contenuto dell'espressione «natura umana», preferendo parlare di «cittadino». Perché «nella distinzione tra naturale e innaturale, innaturale è tutto ciò che ci spaventa, ciò che ci sembra sbagliato alla luce di un'idea di natura che non è solo descrittiva - così è - ma anche normativa - così deve essere». Rusconi ha rivendicato il proprio neodarwinismo - «un mio quadro ineludibile» - anche in campo morale: «Le norme etiche sono frutto di evoluzione. Il concetto di natura umana ci è esploso in maniera radicale». Diventa un problema, a questo punto, evitare la deriva scientista; Rusconi sostiene di volerla evitare, sviluppando sull'etica un discorso con obiettivi di universalità appellandosi alla «libertà di darci norme di comportamento in un contesto (darwinista) di contingenza».
Luogo di questa creazione di norme è lo spazio pubblico democratico, nel quale però non pochi "laici" non vedono di buon occhio la presenza, tra le altre, delle opinioni cattoliche. Rusconi cerca di salvare capra e cavoli avvitandosi in un distinguo: «Un conto è la sfera pubblica, un conto è il discorso pubblico mirante a un risultato: quello di scrivere le leggi». La Chiesa, par di capire, avrebbe diritto di parola nella sfera, aperta a chicchessia, ma poi dovrebbe guardarsi bene dal pretendere di aver voce in capitolo nel discorso: perché qui «il problema è quando si pretende di imporsi». Rusconi ha poi rincarato, sostenendo che «nessun argomento, nel discorso pubblico, può essere veritativo», tanto che «contrapporre una famiglia "vera" alle altre forme di amore» sarebbe addirittura «offensivo e diffamante. Perché democrazia non è uno scambio di verità». «Forse: ma sulla verità si fonda - ha obiettato D'Agostino, rispondendo anche a un'analoga posizione di Viola -. Il fatto che la verità non si imponga discende dal fatto che va coniugata co n la libertà. Ma nessuno può essere tenuto fuori dalla spazio pubblico». Il concetto di legge naturale, conoscibile con i mezzi di sola ragione, è anzi «l'idea che tutti gli uomini possono conoscere il bene - ha aggiunto Ferrari - e non soltanto quelli toccati dalla Rivelazione. E quindi, l'unica idea capace di garantire a tutti l'ingresso nel pubblico dibattito democratico».
L'analisi comparata sviluppata dal giurista Silvio Ferrari ha accostato il concetto di legge naturale, quale si è sedimentato nell'Occidente cristiano, alle concezioni proprie delle tradizioni ebraica e, soprattutto, islamica. Su questo versante, ha rilevato come, abbandonate le esperienze dei secoli passati, oggi nel mondo musulmano manchi «l'elaborazione di una nozione di diritto naturale»; a pesare è il discredito generalizzato dell'attività razionale, spesso interpretata come contraddittoria all'idea della libera e onnipotente volontà divina. Così, in assenza di valori fondanti non derivati dal testo sacro, non solo si pone prepotentemente «il problema dello status dei non musulmani, ma emerge anche il grosso limite delle formazioni statali ispirate all'islam: perché l'istanza razionale non si pone a fondamento solo dell'indagine sulla legge naturale, ma anche delle norme dello Stato, frutto di un argomentazionire e di un confrontarsi che muovono dal comune ricorso al logos».
Sul fronte occidentale, al contrario, il problema emerso prepotentemente negli ultimi anni è quello rappresentato dall'ipertrofia della tecnica, «che nella psicologia delle masse - ha argomentato il filosofo Francesco D'Agostino - sembra aver preso il posto di Dio. Tanto che l'inerzia tecnologica, secondo il comune sentire, è una colpa. Oggi per la tecnica vale quello che Marx diceva del denaro: da mezzo, è diventata fine». Anziché fondare la potenza sulla verità, il tecnicismo fonda la verità sulla potenza, fornendo una fuorviante immagine dell'etica «come di una supplice che prega la tecnica di non fare ciò che ineluttabilmente farà». Al contrario, «il ruolo dell'etica nell'età della tecnica è profetico, poiché il suo è un appello per la salvezza stessa della tecnica, affinché non si illuda di poter progredire in un orizzonte di carenza di senso». Un senso la cui ricerca, oggi, è spesso sbrigativamente liquidata come senza senso.
A ragionare sui fondamenti storico-filosofici del ricorso alle legge naturale è intervenuto il teologo Maurizio Chiodi, che ha evidenziato che già nella sintesi tomista «la legge appartiene alla ragione, che è primo principio degli atti umani, in quanto riconosce come bene il fine verso cui la volontà si muove». E, soprattutto, «è ordinata al bene comune», diventando così, ancora una volta, fondamento del vivere associato. Il filosofo del diritto Francesco Viola ha invece ragionato su una «nuova figura del diritto naturale: i diritti umani». Mostrando i limiti delle teorie che cercano di affermarli prescindendo dalle leggi naturali, Viola ha mostrato come al contrario «i valori, che tendono a sopraffarsi a vicenda, devono tradursi in principi» e quindi in una «rete dei diritti globali. Perché i diritti possono essere tutelati soltanto nel loro complesso: non si può scegliere, e dire, per esempio, la libertà sì, va difesa, la vita no».
Un quadro, questo, contestato alla ra dice dal politologo Gian Enrico Rusconi, che fin dall'esordio ha sottolineato la propria «laicità» rigettando ogni contenuto dell'espressione «natura umana», preferendo parlare di «cittadino». Perché «nella distinzione tra naturale e innaturale, innaturale è tutto ciò che ci spaventa, ciò che ci sembra sbagliato alla luce di un'idea di natura che non è solo descrittiva - così è - ma anche normativa - così deve essere». Rusconi ha rivendicato il proprio neodarwinismo - «un mio quadro ineludibile» - anche in campo morale: «Le norme etiche sono frutto di evoluzione. Il concetto di natura umana ci è esploso in maniera radicale». Diventa un problema, a questo punto, evitare la deriva scientista; Rusconi sostiene di volerla evitare, sviluppando sull'etica un discorso con obiettivi di universalità appellandosi alla «libertà di darci norme di comportamento in un contesto (darwinista) di contingenza».
Luogo di questa creazione di norme è lo spazio pubblico democratico, nel quale però non pochi "laici" non vedono di buon occhio la presenza, tra le altre, delle opinioni cattoliche. Rusconi cerca di salvare capra e cavoli avvitandosi in un distinguo: «Un conto è la sfera pubblica, un conto è il discorso pubblico mirante a un risultato: quello di scrivere le leggi». La Chiesa, par di capire, avrebbe diritto di parola nella sfera, aperta a chicchessia, ma poi dovrebbe guardarsi bene dal pretendere di aver voce in capitolo nel discorso: perché qui «il problema è quando si pretende di imporsi». Rusconi ha poi rincarato, sostenendo che «nessun argomento, nel discorso pubblico, può essere veritativo», tanto che «contrapporre una famiglia "vera" alle altre forme di amore» sarebbe addirittura «offensivo e diffamante. Perché democrazia non è uno scambio di verità». «Forse: ma sulla verità si fonda - ha obiettato D'Agostino, rispondendo anche a un'analoga posizione di Viola -. Il fatto che la verità non si imponga discende dal fatto che va coniugata co n la libertà. Ma nessuno può essere tenuto fuori dalla spazio pubblico». Il concetto di legge naturale, conoscibile con i mezzi di sola ragione, è anzi «l'idea che tutti gli uomini possono conoscere il bene - ha aggiunto Ferrari - e non soltanto quelli toccati dalla Rivelazione. E quindi, l'unica idea capace di garantire a tutti l'ingresso nel pubblico dibattito democratico».
«Avvenire» del 28 febbraio 2007
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