di Piero Ostellino
Ora che il testimone della Conferenza episcopale è passato da un cardinale ad un altro, da Camillo Ruini - che lo ha usato senza ipocriti infingimenti - ad Angelo Bagnasco, che sembra intenzionato a utilizzarlo con altrettanta fermezza, voglio dire anch’io la mia sulla dibattuta questione dei rapporti fra Stato e Chiesa. Premetto che non sono credente - al massimo sono un «aspirante credente» - e che non penso sia più possibile, grazie anche agli enormi progressi della scienza, tenere nettamente separate, come era in passato, etica, anche di natura religiosa, e politica. I riflessi etici delle scoperte scientifiche hanno invaso il terreno della politica che, le piaccia o no, con essi deve fare i conti. Senza cedimenti clericali, ma anche senza irrigidimenti laicisti. Dissoltesi, nel mondo, la contrapposizione fra comunismi e democrazie - che aveva impegnato la Chiesa sul fronte della libertà contro la tirannia - e, in Italia, la Democrazia cristiana, che aveva fatto da cuscinetto fra società civile e società religiosa, le gerarchie ecclesiastiche sono scese in campo sul terreno della politica non esitando a mettersi in discussione. Come si suole dire per chi fa politica, si sono «sporcate le mani». Di fronte a decisioni di governo e Parlamento su questioni «eticamente sensibili», hanno opposto i propri non possumus, chiamando a raccolta i cattolici che fanno politica. L’atteggiamento della Chiesa non cambierà col passaggio da Camillo Ruini a Angelo Bagnasco. La storia della Chiesa non fa salti. O se li fa, li fa millenari. Hanno sbagliato le gerarchie ecclesiastiche a prendere partito su certi temi - come la fecondazione assistita o i Dico - in discussione nel Paese, investendone i cattolici impegnati in Parlamento e al governo? Hanno violato il principio della separazione fra Chiesa e Stato, baluardo della cultura liberale e risorgimentale? A giudicare dalle nervose reazioni del mondo della politica si direbbe di sì. Gli anticlericali hanno accusato la Chiesa di interferenza. I cattolici integralisti l’hanno invitata a insistere. Io dico che le autorità ecclesiastiche non hanno sbagliato. Hanno fatto semplicemente il loro mestiere. Perciò, non sono d’accordo né con gli anticlericali né con i cattolici integralisti. Più che un’intrusione della Chiesa nella politica, a me è parsa un’intrusione della politica nella Chiesa. L’Italia è un Paese libero, dove c’è libertà di opinione. Perché non dovrebbero averla anche i vescovi? Perché la Chiesa del Dio che si è fatto uomo non dovrebbe parlare degli e agli uomini? Lasciamo, dunque, che la Chiesa dica liberamente ciò che pensa senza pretendere che essa sia o diventi noi. Essa non è né conservatrice - come vorrebbero gli integralisti - né progressista, come vorrebbero i cosiddetti cattolici democratici. Che, personalmente, non sono mai riuscito a capire che cosa siano: forse che gli altri, quelli che non si definiscono tali, non sono democratici? La Chiesa è quello che è. Un’istituzione morale, ma anche politica. Non respingiamo, allora, il suo pensiero come un’indebita intrusione nella sfera secolare. Il mondo si è secolarizzato, ma ciò non significa che nuovi problemi etici non bussino alla nostra porta. Teniamone conto almeno quanto ascolteremmo e rispetteremmo l’opinione di ogni altra autorità morale, religiosa o politica. Soprattutto, per chi fa politica, valga la massima evangelica «dare a Dio ciò che è di Dio, a Cesare ciò che è di Cesare». E anche i politici - di fronte alle esternazioni della Chiesa - imparino, in piena libertà di coscienza, a dire non possumus.
«Corriere della sera» del 9 mrazo 2007
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