di Massimo Gramellini
Ogni volta che il numero degli incidenti mortali oltrepassa la quota di tolleranza che ancora distingue una notizia dalla pur orrida routine, il governo annuncia di voler abbassare i limiti di velocità. E ogni volta uno si domanda per quale motivo chi non li ha mai presi in considerazione fino a quel momento dovrebbe cominciare a farlo proprio nell'istante in cui diventano più difficili da rispettare.
La Spoon River delle tragedie racconta la storia sempre uguale di un ubriaco o di uno spaccone che sfreccia sull'asfalto come un pistolero braccato nella prateria, totalmente insensibile alla segnaletica, figuriamoci al contachilometri. In strada, ma anche altrove, l'inasprimento delle regole dispiega i suoi effetti su un'unica categoria di persone: quelli che le osservavano già. E' dai tempi del Manzoni che le autorità pensano di risolvere i problemi stringendo i bulloni della convivenza, invece di vigilare affinché nessuno li sviti. In fondo scrivere una legge è abbastanza semplice. Il difficile sta nel sottrarla al destino inesorabile di carta straccia, costruendole intorno un sistema serio di controlli. Uno Stato che reagisce alle intemperanze dei suoi associati a colpi di divieti assomiglia a quei padri di una volta, che per punire il figlio nottambulo costringevano l'intera famiglia ad andare a letto dopo cena. Poi si chiudevano in salotto a dormire davanti alla tv e il reprobo sgattaiolava fuori, non prima di aver loro sfilato le chiavi dalla tasca del cappotto.
«La Stampa» del 6 marzo 2007
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