Vale davvero la pena costruire un mondo in cui la vita viene sacrificata alla ricerca senza limiti?
di Giuliano Ferrara
Sgombriamo il campo dalla devozione, sebbene non sempre si sia migliori quando in nome della libertà si accantona il sacro. Prendiamo il Papa, Benedetto XVI, come fosse un vecchio saggio che ha alle spalle una biblioteca di due millenni e l'unica vera comunità universale vivente, punto e basta. Lasciamo stare la fede, che troppo spesso viene trasformata in uno scudo per non pensare, per mettere la testa sotto la sabbia, per rassegnarsi, per compromettersi con il mondo, accettandolo com'è e facendosi accettare come non si dovrebbe essere (non è questa la lezione del monaco Enzo Bianchi e della sua differenza cristiana?).
Domanda laica: perché questo vecchio saggio insiste sulla questione eugenetica? Perché sostiene impavido, contro ogni consiglio di pacificazione pastorale o di compromesso con i tempi moderni, che «il futuro dell'umanità», e scusate se è poco, se ne sta appeso a quel che avviene nei laboratori della tecnoscienza, nella catena eugenetica della diagnosi prenatale e della fertilizzazione in vitro, dove ormai si pratica la medicina della soppressione, l'eliminazione selettiva del malato genetico come soluzione preveniva e finale?
Non gli converrebbe liberare la ragione e la coscienza dei fedeli, e del più vasto mondo secolarizzato che lo ascolta, offrendo un'intesa sorniona tra la cattolicità cristiana e gli stili di vita prevalenti? Certo che gli converrebbe. Una Chiesa del silenzio, che si chiuda alla realtà del mondo tecnoscientifico e all'abbassamento pauroso della norma morale, sarebbe festeggiata ovunque come compagna di strada di un'umanità liberata da troppi pensieri e da troppe prescrizioni oggi quasi incomprensibili.
Se il Novecento è stato il secolo dell'aborto e del divorzio, pensano in tanti dentro e fuori la Chiesa, passiamoci una pietra sopra: famiglia e riproduzione sono ormai una variante a capriccio del caso e del caos che governa il mondo. Se il XXI secolo si annuncia come il secolo in cui il dubbio diagnostico su una perfetta salute genetica decide al posto della natura della nascita e della morte di embrioni dotati di una struttura cromosomica umana unica e irripetibile, tu sì e tu invece no perché un medico decide della tua idoneità a vivere, perché c'è un catalogo di possibilità e di scelte sottoposto al libero desiderio di una coppia, facciamo finta di niente.
Pazienza se mancano centinaia di milioni di donne in Asia, eliminate con un'applicazione meticolosa dell'amniocentesi nelle politiche di pianificazione familiare; pazienza se l'immagine di noi stessi si rifletterà in uno specchio opaco, in cui vedremo piano piano il costo di una libertà separata dall'uso della ragione umana, per non dire della legge di natura, e per non tirare in ballo la legge divina.
E come complemento essenziale, facciamo della morte una decisione, magari di un comitato etico, formalizzata e prescrittiva e indolore, insomma eutanasica, invece che un fatto carico di significato. Non sarà tanto allegro, né privo di rischi, questo impadronimento totalitario del circuito del nascere e del morire da parte dell'uomo, ma tutto si può aggiustare con le consolazioni della fede privata e della cosiddetta libertà di coscienza, pensano molti cattolici.
Invece il Papa non cede. Non aveva ceduto il suo predecessore, quel pastore universalissimo che non la finiva di viaggiare, testimoniare, evangelizzare, ballare su tutti i teatri del mondo, e non cede il più appartato e mite professore di teologia che ora occupa il soglio di Pietro con il suo diverso stile, con la sua diversa misura delle cose, ma con identica, granitica perseveranza. Non è bastato, dice il Papa, liberarsi di Dio predicandone la morte. Non basta la scristianizzazione.
Il pensiero postmoderno vuole che ci si liberi anche della ragione, dei suoi vincoli logici, del suo rapporto essenziale con la realtà naturale. Per essere libera, la coscienza deve obbedire soltanto al desiderio individuale, dicono i neosecolaristi, e deve separarsi non solo e non tanto dalle tradizioni millenarie, deve scindere il suo legame con la ragione, cioè con il pensiero forte che fa della coscienza un luogo di distinzione fra il bene e il male, affidandosi alla volontà di potenza mascherata da pensiero debole.
Ma Joseph Ratzinger non ci sta. E la sua predicazione si mette in sintonia con dubbi veri, che nella società moderna si fanno largo in mezzo alla sciatteria penosa e all'indifferenza di tanta parte del sistema dell'informazione, in mezzo al faustismo minore di chi impugna la libertà di ricerca scientifica come un nuovo idolo. Così succede che nella laicissima Francia, dove anche le chiese sono proprietà dello stato dai tempi della rivoluzione contro l'antico regime, un medico ugonotto come Didier Sicard, presidente del comitato di bioetica, si mette a parlare contro la deriva eugenetica con le stesse parole usate dal capo della Chiesa cattolica.
E nascono fermenti non moralistici, non antifemminili, non ispirati a una idea oppressiva e di soggezione della vita civile, anche tra i laici. E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull'altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione degli ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i confini di un disegno moralmente impossibile.
Domanda laica: perché questo vecchio saggio insiste sulla questione eugenetica? Perché sostiene impavido, contro ogni consiglio di pacificazione pastorale o di compromesso con i tempi moderni, che «il futuro dell'umanità», e scusate se è poco, se ne sta appeso a quel che avviene nei laboratori della tecnoscienza, nella catena eugenetica della diagnosi prenatale e della fertilizzazione in vitro, dove ormai si pratica la medicina della soppressione, l'eliminazione selettiva del malato genetico come soluzione preveniva e finale?
Non gli converrebbe liberare la ragione e la coscienza dei fedeli, e del più vasto mondo secolarizzato che lo ascolta, offrendo un'intesa sorniona tra la cattolicità cristiana e gli stili di vita prevalenti? Certo che gli converrebbe. Una Chiesa del silenzio, che si chiuda alla realtà del mondo tecnoscientifico e all'abbassamento pauroso della norma morale, sarebbe festeggiata ovunque come compagna di strada di un'umanità liberata da troppi pensieri e da troppe prescrizioni oggi quasi incomprensibili.
Se il Novecento è stato il secolo dell'aborto e del divorzio, pensano in tanti dentro e fuori la Chiesa, passiamoci una pietra sopra: famiglia e riproduzione sono ormai una variante a capriccio del caso e del caos che governa il mondo. Se il XXI secolo si annuncia come il secolo in cui il dubbio diagnostico su una perfetta salute genetica decide al posto della natura della nascita e della morte di embrioni dotati di una struttura cromosomica umana unica e irripetibile, tu sì e tu invece no perché un medico decide della tua idoneità a vivere, perché c'è un catalogo di possibilità e di scelte sottoposto al libero desiderio di una coppia, facciamo finta di niente.
Pazienza se mancano centinaia di milioni di donne in Asia, eliminate con un'applicazione meticolosa dell'amniocentesi nelle politiche di pianificazione familiare; pazienza se l'immagine di noi stessi si rifletterà in uno specchio opaco, in cui vedremo piano piano il costo di una libertà separata dall'uso della ragione umana, per non dire della legge di natura, e per non tirare in ballo la legge divina.
E come complemento essenziale, facciamo della morte una decisione, magari di un comitato etico, formalizzata e prescrittiva e indolore, insomma eutanasica, invece che un fatto carico di significato. Non sarà tanto allegro, né privo di rischi, questo impadronimento totalitario del circuito del nascere e del morire da parte dell'uomo, ma tutto si può aggiustare con le consolazioni della fede privata e della cosiddetta libertà di coscienza, pensano molti cattolici.
Invece il Papa non cede. Non aveva ceduto il suo predecessore, quel pastore universalissimo che non la finiva di viaggiare, testimoniare, evangelizzare, ballare su tutti i teatri del mondo, e non cede il più appartato e mite professore di teologia che ora occupa il soglio di Pietro con il suo diverso stile, con la sua diversa misura delle cose, ma con identica, granitica perseveranza. Non è bastato, dice il Papa, liberarsi di Dio predicandone la morte. Non basta la scristianizzazione.
Il pensiero postmoderno vuole che ci si liberi anche della ragione, dei suoi vincoli logici, del suo rapporto essenziale con la realtà naturale. Per essere libera, la coscienza deve obbedire soltanto al desiderio individuale, dicono i neosecolaristi, e deve separarsi non solo e non tanto dalle tradizioni millenarie, deve scindere il suo legame con la ragione, cioè con il pensiero forte che fa della coscienza un luogo di distinzione fra il bene e il male, affidandosi alla volontà di potenza mascherata da pensiero debole.
Ma Joseph Ratzinger non ci sta. E la sua predicazione si mette in sintonia con dubbi veri, che nella società moderna si fanno largo in mezzo alla sciatteria penosa e all'indifferenza di tanta parte del sistema dell'informazione, in mezzo al faustismo minore di chi impugna la libertà di ricerca scientifica come un nuovo idolo. Così succede che nella laicissima Francia, dove anche le chiese sono proprietà dello stato dai tempi della rivoluzione contro l'antico regime, un medico ugonotto come Didier Sicard, presidente del comitato di bioetica, si mette a parlare contro la deriva eugenetica con le stesse parole usate dal capo della Chiesa cattolica.
E nascono fermenti non moralistici, non antifemminili, non ispirati a una idea oppressiva e di soggezione della vita civile, anche tra i laici. E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull'altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione degli ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i confini di un disegno moralmente impossibile.
«Panorama» del 2 marzo 2007
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