04 marzo 2010

I talebani bruciano la bellezza con l’acido, alcuni italiani la ricostruiscono

L’associazione “smileagain” e le musulmane deturpate
di Giulio Meotti
E’ la bellezza a terrorizzare i talebani. E in questo caso i talebani non sono soltanto i guerriglieri islamici che gettano l’acido in faccia alle studentesse afghane. Sono anche i padri e i mariti che ogni anno sfregiano i volti di centinaia di donne e bambine musulmane. Donne punite per aver rifiutato un’offerta di matrimonio, per il sospetto di un tradimento, perché vogliono studiare, per la delusione provocata da una dote non corrisposta secondo le attese. Accade anche in Italia, lo dice la nostra cronaca. La bellezza di questi volti femminili orientali, dall’Afghanistan al Pakistan, viene ogni giorno rubata per sempre attraverso un miserabile acido delle batterie d’auto. E’ un’organizzazione italiana a occuparsi, soprattutto in Pakistan, della ricostruzione chirurgica di questi poveri volti tumefatti, anneriti e piagati dall’odio. “Smileagain” è un’organizzazione non governativa nata in Friuli che ha curato un centinaio di donne musulmane. Il loro lavoro è tanto più eroico a giudicare dagli allarmanti dati della fondazione Sopravvissute all’Acido, secondo cui l’acidificazione è molto aumentata negli ultimi due anni.
“Acidificate” perché basta un bicchiere in pieno viso e il tessuto della pelle è divorato in un istante. Si perde la vista, il capello non ricresce, si blocca il movimento facciale, costringendo spesso ad alimentarsi di liquidi per mezzo di una cannuccia. L’acido penetra fino alle ossa, intaccando i muscoli. In alcuni casi le vittime muoiono. Altre tentano il suicidio. Non sopportano la vista di quei tronchi umani. E poi i danni causati dall’acido sono molto più gravi delle ustioni da fuoco, che durano soltanto finché la fiamma è accesa; l’acido invece continua a corrodere anche molto tempo dopo.
Donne punite spesso nel momento in cui sono più indifese, nel sonno o mentre aspettano di raccogliere l’acqua. Gli sharioti, gli oscurantisti delle legge islamica, le famiglie “offese” dalla libertà di queste ragazze, non gettano l’acido per uccidere, ma per marchiare la sopravvivenza. Secondo “Smileagain” non è nemmeno possibile ipotizzare il numero delle donne colpite.
“E’ difficile sapere quante siano perché è una questione di ‘disonore’, le ragazze si sentono in colpa, ‘mi hanno acidificato perché ho sbagliato’, così non parlano”, dice al Foglio la signora Daniela, segretaria audace di Smileagain. “Ad aiutare queste donne ci ha spinto il loro grido di aiuto apparso su libri e giornali. I nostri medici vanno diverse volte all’anno in Pakistan, si scelgono i casi più gravi: una persona per riavere un volto ‘umano’, non diciamo bello, va operata più volte, fino a quindici interventi. Una ragazza di Lahore aveva il volto come un manichino, era cieca, le erano rimasti soltanto dei bellissimi denti. L’acido scioglie la pelle come una candela. L’anno scorso una ragazza pakistana era in cucina, con il ragazzo. Lei gli ha detto che non lo voleva, lui le ha bruciato la faccia. Oggi ha soltanto metà volto intatto”.
Perché l’acido? “Perché agisce rovinando il viso senza uccidere. E il viso perché è la loro unica ricchezza, sono ragazze povere ma belle, dopo l’acidificazione saranno inutili. La loro unica ricchezza è la bellezza, il colore della pelle, così alla donna si ruba tutto. Una ragazza è stata qui tre anni, mi accarezzava i capelli, diceva che anche lei li aveva. Così le abbiamo ridato anche i capelli, con vari trapianti”.
Il dottor Losasso, fondatore di “Smileagain”, sta per tornare in Pakistan. “L’ultima che ho operato aveva sedici anni, aggredita da un uomo di quarantadue, acidificata al volto, al torace e agli arti. Tutte le sue fattezze erano devastate. Parliamo di bambine abbandonate spesso anche dalla famiglia che si vergogna di avere una figlia ‘colpevole’”. Daniela ci parla di Nasreen. “Aveva quindici anni, un uomo di trentacinque anni la corteggiava, lei ha rifiutato le proposte. Nasreen stava dormendo quando l’acido le ha bruciato tutto, il nervo ottico, il bulbo. C’era tutta la famiglia di lui a bruciarla. In Italia si sentiva in colpa, l’unica cosa che la gratificava era il risarcimento avuto dai genitori, poverissimi. Nasreen è tornata in Pakistan, ha di nuovo un volto, non vede e legge in braille, ma è tornata a vivere”.
«Il Foglio» del 3 marzo 2010

Nessun commento: