di Giuliano Ferrara
Un centro studi spagnolo, l’Istituto di politica familiare, ha accertato che sul piano statistico l’aborto sta diventando la prima causa di morte in Europa. Due milioni e ottocentosessantatremila e seicentoquarantanove (2.863.649) aborti è la cifra totale dell’eccidio in Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione: così reca la denuncia statistica portata a Bruxelles.
Roberto Cascioli su Avvenire calcola che si spegne la vita di un bambino in gestazione ogni undici secondi, ogni giorno si infierisce su 7.500 donne, su 7.500 bambini non nati il cui diritto alla vita è umiliato e offeso. Questi dati, che saranno al centro di una mobilitazione ormai ricorrente, febbrile, fiera, della società spagnola, dove domenica 7 marzo in settanta città si svolge la marcia internazionale per la vita, si combinano con il tasso zero europeo di aumento demografico, un fenomeno che l’estirpazione dell’abitudine all’aborto correggerebbe in modo decisivo.
La Spagna di Zapatero, insieme alla Gran Bretagna dove il ricorso all’aborto delle adolescenti è devastante, ha la funzione guida nell’incremento della morte in pancia (più 115 per cento in dieci anni). Paola Ricci Sindoni, in un editoriale impegnativo e sensibile del giornale dei vescovi italiani, sostiene, e questo nel titolo è esplicitamente richiamato, che “gli appelli generici non bastano più”. Giusto. Sacrosanto. Anche le soluzioni proposte dal rapporto presentato a Bruxelles dal centro studi per la famiglia, e raccolte da Avvenire, non sono centrate sulla correzione in senso repressivo delle legislazioni europee in fatto di maternità e aborto. La vocazione messa alla base di questa mobilitazione è quella a una battaglia culturale, a un impegno per recuperare il terreno perduto negli ultimi trent’anni. In quest’epoca si è prodotto un ciclo della sordità morale e dell’ottundimento psicologico al culmine del quale l’aborto, come cercammo di spiegare con l’iniziativa della moratoria internazionale, è divenuto eticamente indifferente. Non solo, l’aborto si è propagato nella forma particolarmente odiosa dell’aborto selettivo, eugenetico, e della liquidazione dei bambini concepiti intesa come strumento di pianificazione delle nascite e di soluzione gratuita di problemi privati, particolari, oltre che risposta a piaghe sociali come la misera tutela della maternità assicurata dalle società ricche. Le soluzioni sono sempre le stesse, e sono quelle proposte nel programma di battaglia della lista pazza nella primavera di due anni fa. Con una modifica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a Parigi nel dicembre del 1948, stabilire che la vita, tutelata giuridicamente come primario valore legato alla libertà e alla sicurezza della persona, inizia dal concepimento e finisce con la morte naturale. Definire uno spazio di sostegno sociale forte alla donna incinta, fondato su ingenti risorse pubbliche e su un piano nazionale per la vita, ciò che era diventata una promessa riformatrice contenuta nel discorso del presidente del Consiglio italiano alle Camere dopo la formazione del governo due anni fa. Promuovere le adozioni, nella forma anonima della vecchia ruota dei conventi, e offrire questa possibilità di vita, questa libertà di nascere, a chiunque sia stato concepito senza una volontà di accoglienza. Incentivare sensibilmente i programmi di ascolto, mediazione psicologica, informazione, assistenza alle donne che si stanno arrendendo all’inevitabilità dell’aborto, dando voce e strumenti operativi alle molte organizzazioni che lavorano in questo senso e fanno nascere bambini e madri con un lavoro di incontro e di aiuto personale. Promuovere campagne di comunicazione pro life, invece della resa culturale alla logica della contraccezione, della promiscuità sessuale, della libertà irresponsabile. Sognavamo cinque milioni di pellegrini a Roma, trenta deputati pro life alla Camera, un’esplosione di razionalità e di buonumore, il rovesciamento di un andazzo disumano, mortificante, incivile; ed eravamo mossi da un punto di vista laico che non parte necessariamente dalla sacralità della vita, bensì dal rispetto della persona e dei suoi diritti. La proposta di moratoria perse nell’isolamento la battaglia politica immediata, ma funzionò come rilancio internazionale della guerra culturale contro la manipolazione e il maltrattamento della vita umana. E’ il momento di ricominciare, e la minoranza laica antiabortista non può che fare appello ai vescovi perché la grande energia dei cristiani scuota il torpore banalizzante della cultura antinatalista e riaccenda, anche contro i veleni della Ru486 e contro la condanna delle donne alla solitudine del prezzemolo moderno, una grande, seria, responsabile guerra di cultura e di idee.
Roberto Cascioli su Avvenire calcola che si spegne la vita di un bambino in gestazione ogni undici secondi, ogni giorno si infierisce su 7.500 donne, su 7.500 bambini non nati il cui diritto alla vita è umiliato e offeso. Questi dati, che saranno al centro di una mobilitazione ormai ricorrente, febbrile, fiera, della società spagnola, dove domenica 7 marzo in settanta città si svolge la marcia internazionale per la vita, si combinano con il tasso zero europeo di aumento demografico, un fenomeno che l’estirpazione dell’abitudine all’aborto correggerebbe in modo decisivo.
La Spagna di Zapatero, insieme alla Gran Bretagna dove il ricorso all’aborto delle adolescenti è devastante, ha la funzione guida nell’incremento della morte in pancia (più 115 per cento in dieci anni). Paola Ricci Sindoni, in un editoriale impegnativo e sensibile del giornale dei vescovi italiani, sostiene, e questo nel titolo è esplicitamente richiamato, che “gli appelli generici non bastano più”. Giusto. Sacrosanto. Anche le soluzioni proposte dal rapporto presentato a Bruxelles dal centro studi per la famiglia, e raccolte da Avvenire, non sono centrate sulla correzione in senso repressivo delle legislazioni europee in fatto di maternità e aborto. La vocazione messa alla base di questa mobilitazione è quella a una battaglia culturale, a un impegno per recuperare il terreno perduto negli ultimi trent’anni. In quest’epoca si è prodotto un ciclo della sordità morale e dell’ottundimento psicologico al culmine del quale l’aborto, come cercammo di spiegare con l’iniziativa della moratoria internazionale, è divenuto eticamente indifferente. Non solo, l’aborto si è propagato nella forma particolarmente odiosa dell’aborto selettivo, eugenetico, e della liquidazione dei bambini concepiti intesa come strumento di pianificazione delle nascite e di soluzione gratuita di problemi privati, particolari, oltre che risposta a piaghe sociali come la misera tutela della maternità assicurata dalle società ricche. Le soluzioni sono sempre le stesse, e sono quelle proposte nel programma di battaglia della lista pazza nella primavera di due anni fa. Con una modifica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a Parigi nel dicembre del 1948, stabilire che la vita, tutelata giuridicamente come primario valore legato alla libertà e alla sicurezza della persona, inizia dal concepimento e finisce con la morte naturale. Definire uno spazio di sostegno sociale forte alla donna incinta, fondato su ingenti risorse pubbliche e su un piano nazionale per la vita, ciò che era diventata una promessa riformatrice contenuta nel discorso del presidente del Consiglio italiano alle Camere dopo la formazione del governo due anni fa. Promuovere le adozioni, nella forma anonima della vecchia ruota dei conventi, e offrire questa possibilità di vita, questa libertà di nascere, a chiunque sia stato concepito senza una volontà di accoglienza. Incentivare sensibilmente i programmi di ascolto, mediazione psicologica, informazione, assistenza alle donne che si stanno arrendendo all’inevitabilità dell’aborto, dando voce e strumenti operativi alle molte organizzazioni che lavorano in questo senso e fanno nascere bambini e madri con un lavoro di incontro e di aiuto personale. Promuovere campagne di comunicazione pro life, invece della resa culturale alla logica della contraccezione, della promiscuità sessuale, della libertà irresponsabile. Sognavamo cinque milioni di pellegrini a Roma, trenta deputati pro life alla Camera, un’esplosione di razionalità e di buonumore, il rovesciamento di un andazzo disumano, mortificante, incivile; ed eravamo mossi da un punto di vista laico che non parte necessariamente dalla sacralità della vita, bensì dal rispetto della persona e dei suoi diritti. La proposta di moratoria perse nell’isolamento la battaglia politica immediata, ma funzionò come rilancio internazionale della guerra culturale contro la manipolazione e il maltrattamento della vita umana. E’ il momento di ricominciare, e la minoranza laica antiabortista non può che fare appello ai vescovi perché la grande energia dei cristiani scuota il torpore banalizzante della cultura antinatalista e riaccenda, anche contro i veleni della Ru486 e contro la condanna delle donne alla solitudine del prezzemolo moderno, una grande, seria, responsabile guerra di cultura e di idee.
«Il Foglio» del 4 marzo 2010
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