09 marzo 2010

Quei cento milioni di bambine scomparse

Cina e India responsabili di un genocidio di genere, denuncia l'«Economist»
di Pierluigi Battista
Sarà indelicato, tra le mimose dell' 8 marzo, cercare almeno per un giorno di riflettere sulle cifre sconvolgenti del Gendercide, il genocidio di genere denunciato dall' ultima copertina dell'Economist? E sarebbe anche il caso di ripetere la stessa domanda che, ricorda il Foglio, venne formulata già sette anni fa sull'organo di stampa più autorevole dell'establishment anglosassone, il Financial Times: «Dove sono andate a finire tutte le ragazze?». Scomparse, inghiottite nel nulla, costrette a non nascere con le procedure di sterminio dell'aborto selettivo e dell'eugenetica di Stato. Cento milioni di bambine sacrificate. «163 milioni di bambine mancanti in Asia», secondo i dati della Conferenza asiatica sui diritti riproduttivi. Se non è genocidio di genere, come altrimenti definire questa ecatombe di dimensioni apocalittiche? Si dice che in Cina e nell'India del Nord per ogni 120 maschi nascono solo 100 femmine, mentre la media mondiale è di 103-106 maschi ogni 100 femmine. Se non è il destino, il caso, la sorte, la coincidenza, come mai mancano all' appello almeno 15 femmine per ogni centinaio di nati maschi in quella parte del mondo? E se è aborto eugenetico di massa, quale altra violazione di diritti umani fondamentali è paragonabile a questo massacro silenzioso, a questa emergenza umanitaria trascurata o misconosciuta se non da tutti, da molti di noi (chi scrive compreso)? Non è nemmeno una tragedia della povertà, un orrore dell' arretratezza. A Taiwan e Singapore non si muore di fame e l'Economist nota che «in Cina e in India le aree con le peggiori statistiche demografiche sono quelle più ricche e istruite». Non è l'infanticidio delle società contadine bisognose di braccia forti. È selezione sessuale fredda, moderna, implacabile, governata, deliberata, di Stato. Una strage preordinata, finalizzata alla soppressione di una metà dell'umanità. La tecnoscienza applicata a un progetto di annientamento. Ricorda niente questa simbiosi micidiale, la scienza al servizio dello sterminio? Prendersela con l'Onu che, da campione dell'indignazione selettiva non sembra così impegnata nel contrasto dell'aborto selettivo, non serve a niente. Pensare che la soppressione delle ragazze possa entrare nell' agenda dei governi del mondo nelle loro relazioni con Cina e India, è irrealistico e velleitario. Del resto, se nell'Occidente si rimprovera a India e in Cina una chiusura sulle misure per il clima, nessuna conferenza con i potenti del mondo è convocata per chiedere agli Stati asiatici di fermare il massacro selettivo. L'opinione pubblica mondiale è stanca, afasica, inebetita dalla sua impotenza. Ogni tanto qualche testata giornalistica solleva il problema. Poi prevalgono il silenzio e la rassegnazione. E passerà ancora del tempo prima di chiederci, per l'ennesima volta: «Dove sono andate a finire tutte le ragazze?».
«Corriere della Sera» dell'8 marzo 2010

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