06 marzo 2010

Ankara chiamata al vero paso: fare i conti con la storia

La Turchia e la macchia armena
di Luigi Geninazzi
Fu il primo genocidio del secolo scor­so, un prologo agli orrori che segui­rono fino al culmine della barbarie toc­cata con l’Olocausto. Ma se ne parla po­co e malvolentieri. Ricordare il genocidio del popolo armeno compiuto dalla Tur­chia nel 1915, oltre un milione e mezzo di persone deportate, massacrate o la­sciate morire di stenti nei deserti della Siria, significa evocare una questione dai risvolti politici dirompenti. Se n’è avuta l’ennesima conferma dopo che la com­missione esteri del Congresso america­no ha approvato una risoluzione in cui si riconosce il genocidio degli armeni, suscitando la furibonda reazione della Turchia. Il negazionismo di Ankara è un vero e proprio dogma sul Bosforo e sem­bra essere l’unico cemento in grado di tenere insieme un Paese drammatica­mente spaccato tra laici e islamisti. Chi s’azzarda a rom­pere questo tabù commette un cri­mine punito seve­ramente dal fami­gerato articolo 301 del codice penale che prevede il car­cere «per chiun­que reca offesa al­l’identità turca». Decine di giorna­listi e scrittori, fra i quali il premio No­bel per la lettera­tura Ohran Pa­muk, hanno subì­to un processo per questo, insultati co­me traditori della patria. C’è chi, come lo storico Taner Akcam, è finito in galera. E qualcuno, come il giornalista armeno H­rant Dink, ha pagato con la vita, ucciso da un killer in pieno centro d’Istanbul.
Il governo di Ankara nega il genocidio, preferendo parlare genericamente di «u­na tragedia che ha accomunato turchi ed armeni in circostanze di guerra». Si trat­ta di una menzogna che si fa scudo di u­na piccola verità: i fatti avvennero sì nel contesto della Grande Guerra ma ciò non toglie che fu un vero e proprio genocidio, vale a dire «lo sterminio di un gruppo na­zionale, etnico o religioso», secondo la definizione dell’Onu. Del resto la pulizia etnica nei riguardi degli armeni venne teorizzata e poi praticata dai Giovani Tur­chi fin dal 1909.
A differenza della Germania che ha fat­to mea culpa per i crimini del nazismo, la Turchia si ostina a non fare i conti con la storia, barricandosi dietro la difesa del­l’identità nazionale. Ma questa non può cancellare gli errori e gli orrori del pas­sato. Riconoscerlo, anche al prezzo di u­na severa autocritica, è il primo passo per costruire un Paese dove l’identità nazio­nale si coniuga con le fondamentali esi­genze della democrazia. Non dobbiamo dimenticare che l’Unione Europea, di cui la Turchia di Erdogan intende far parte, ha il suo atto di nascita nell’abbraccio tra ex nemici che seppero trarre insegna­mento dalla storia. L’accordo siglato lo scorso autunno a Zurigo tra Turchia ed Armenia ha fatto nascere grandi speran­ze. Ma non ci sarà vera riconciliazione mettendo tra parentesi le ferite ancora aperte di un passato tragico e doloroso. E’ questo il segnale che arriva dal voto della commissione esteri del Congresso americano. Non è la prima volta, era suc­cesso anche tre anni fa. Poi l’allora pre­sidente Bush impedì che la mozione sul genocidio armeno venisse affrontata nel­l’aula del Congresso. A quanto pare O­bama non si differenzierà dal suo pre­decessore per non mettere a repentaglio l’amicizia con la Turchia, bastione a­vanzato della Nato ed alleato decisivo, anche se un po’ troppo autonomo, sul fronte orientale. Forse sarebbe il caso che l’Europa facesse sentire la sua voce. Ma il riconoscimento del genocidio ar­meno non appare tra le numerose e det­tagliate condizioni per l’ingresso della Turchia nella Ue... Vistosa lacuna che contraddice storia e ideali del nostro vec­chio continente.
«Avvenire» del 6 marzo 2010

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