La Turchia e la macchia armena
di Luigi Geninazzi
Fu il primo genocidio del secolo scorso, un prologo agli orrori che seguirono fino al culmine della barbarie toccata con l’Olocausto. Ma se ne parla poco e malvolentieri. Ricordare il genocidio del popolo armeno compiuto dalla Turchia nel 1915, oltre un milione e mezzo di persone deportate, massacrate o lasciate morire di stenti nei deserti della Siria, significa evocare una questione dai risvolti politici dirompenti. Se n’è avuta l’ennesima conferma dopo che la commissione esteri del Congresso americano ha approvato una risoluzione in cui si riconosce il genocidio degli armeni, suscitando la furibonda reazione della Turchia. Il negazionismo di Ankara è un vero e proprio dogma sul Bosforo e sembra essere l’unico cemento in grado di tenere insieme un Paese drammaticamente spaccato tra laici e islamisti. Chi s’azzarda a rompere questo tabù commette un crimine punito severamente dal famigerato articolo 301 del codice penale che prevede il carcere «per chiunque reca offesa all’identità turca». Decine di giornalisti e scrittori, fra i quali il premio Nobel per la letteratura Ohran Pamuk, hanno subìto un processo per questo, insultati come traditori della patria. C’è chi, come lo storico Taner Akcam, è finito in galera. E qualcuno, come il giornalista armeno Hrant Dink, ha pagato con la vita, ucciso da un killer in pieno centro d’Istanbul.
Il governo di Ankara nega il genocidio, preferendo parlare genericamente di «una tragedia che ha accomunato turchi ed armeni in circostanze di guerra». Si tratta di una menzogna che si fa scudo di una piccola verità: i fatti avvennero sì nel contesto della Grande Guerra ma ciò non toglie che fu un vero e proprio genocidio, vale a dire «lo sterminio di un gruppo nazionale, etnico o religioso», secondo la definizione dell’Onu. Del resto la pulizia etnica nei riguardi degli armeni venne teorizzata e poi praticata dai Giovani Turchi fin dal 1909.
A differenza della Germania che ha fatto mea culpa per i crimini del nazismo, la Turchia si ostina a non fare i conti con la storia, barricandosi dietro la difesa dell’identità nazionale. Ma questa non può cancellare gli errori e gli orrori del passato. Riconoscerlo, anche al prezzo di una severa autocritica, è il primo passo per costruire un Paese dove l’identità nazionale si coniuga con le fondamentali esigenze della democrazia. Non dobbiamo dimenticare che l’Unione Europea, di cui la Turchia di Erdogan intende far parte, ha il suo atto di nascita nell’abbraccio tra ex nemici che seppero trarre insegnamento dalla storia. L’accordo siglato lo scorso autunno a Zurigo tra Turchia ed Armenia ha fatto nascere grandi speranze. Ma non ci sarà vera riconciliazione mettendo tra parentesi le ferite ancora aperte di un passato tragico e doloroso. E’ questo il segnale che arriva dal voto della commissione esteri del Congresso americano. Non è la prima volta, era successo anche tre anni fa. Poi l’allora presidente Bush impedì che la mozione sul genocidio armeno venisse affrontata nell’aula del Congresso. A quanto pare Obama non si differenzierà dal suo predecessore per non mettere a repentaglio l’amicizia con la Turchia, bastione avanzato della Nato ed alleato decisivo, anche se un po’ troppo autonomo, sul fronte orientale. Forse sarebbe il caso che l’Europa facesse sentire la sua voce. Ma il riconoscimento del genocidio armeno non appare tra le numerose e dettagliate condizioni per l’ingresso della Turchia nella Ue... Vistosa lacuna che contraddice storia e ideali del nostro vecchio continente.
Il governo di Ankara nega il genocidio, preferendo parlare genericamente di «una tragedia che ha accomunato turchi ed armeni in circostanze di guerra». Si tratta di una menzogna che si fa scudo di una piccola verità: i fatti avvennero sì nel contesto della Grande Guerra ma ciò non toglie che fu un vero e proprio genocidio, vale a dire «lo sterminio di un gruppo nazionale, etnico o religioso», secondo la definizione dell’Onu. Del resto la pulizia etnica nei riguardi degli armeni venne teorizzata e poi praticata dai Giovani Turchi fin dal 1909.
A differenza della Germania che ha fatto mea culpa per i crimini del nazismo, la Turchia si ostina a non fare i conti con la storia, barricandosi dietro la difesa dell’identità nazionale. Ma questa non può cancellare gli errori e gli orrori del passato. Riconoscerlo, anche al prezzo di una severa autocritica, è il primo passo per costruire un Paese dove l’identità nazionale si coniuga con le fondamentali esigenze della democrazia. Non dobbiamo dimenticare che l’Unione Europea, di cui la Turchia di Erdogan intende far parte, ha il suo atto di nascita nell’abbraccio tra ex nemici che seppero trarre insegnamento dalla storia. L’accordo siglato lo scorso autunno a Zurigo tra Turchia ed Armenia ha fatto nascere grandi speranze. Ma non ci sarà vera riconciliazione mettendo tra parentesi le ferite ancora aperte di un passato tragico e doloroso. E’ questo il segnale che arriva dal voto della commissione esteri del Congresso americano. Non è la prima volta, era successo anche tre anni fa. Poi l’allora presidente Bush impedì che la mozione sul genocidio armeno venisse affrontata nell’aula del Congresso. A quanto pare Obama non si differenzierà dal suo predecessore per non mettere a repentaglio l’amicizia con la Turchia, bastione avanzato della Nato ed alleato decisivo, anche se un po’ troppo autonomo, sul fronte orientale. Forse sarebbe il caso che l’Europa facesse sentire la sua voce. Ma il riconoscimento del genocidio armeno non appare tra le numerose e dettagliate condizioni per l’ingresso della Turchia nella Ue... Vistosa lacuna che contraddice storia e ideali del nostro vecchio continente.
«Avvenire» del 6 marzo 2010
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