08 marzo 2010

Come distinguere un capolavoro da un romanzetto usa-e-getta

Oltre il bestseller c'è di più. C’è un "punto di non ritorno" che separa la letteratura dalla narrativa di consumo. La prima esplora sempre nuovi territori. La seconda sforna libri tutti uguali
di Massimiliano Parente
Me lo sento chiedere in continuazione: come distingui la letteratura dalla narrativa, tu che le separi ferocemente? Come li distingui i narratori di storie e gli sfornatori di prodotti per il pubblico da quell’impresa estrema, disperata, incorruttibile, che è l’arte e l’essere scrittori? Dire che il narratore si limita a raccontare e lo scrittore fa letteratura è una tautologia, e va bene solo se ci si capisce in partenza. Eppure un punto visibile di riconoscimento c’è, e è il «punto di non ritorno» di ogni ricerca seria, vale per la scienza quanto per la letteratura. Vale perfino per la biologia evolutiva: un cianobatterio, dato un certo numero di centinaia di milioni di anni, può diventare uno scarafaggio, una giraffa o un uomo, mentre al contrario uno scarafaggio, una giraffa o un uomo non possono tornare a essere un cianobatterio. Vale anche per il progresso, la scienza è piena di punti di non ritorno, dopo l’eliocentrismo e l’evoluzionismo non possiamo più tornare indietro.
Invece il paraculismo letterario del tronismo grafomane, fondandosi sull’ignoranza del lettore che legge per distrarsi e divagarsi e intrattenersi, tende a mettere tutto sullo stesso piano, e quindi il romanzo è una storia scritta più o meno scolasticamente bene, soggetto, predicato, verbo, plot, e relativo successo o insuccesso, e di conseguenza, come dice Sandro Veronesi, un romanzo «è solo un romanzo», e come pensa Roberto Saviano «uno strumento di denuncia». Quindi tanto vale vedersi un film, o meglio il film tratto dal romanzo, o guardarsi una puntata di Report, tanto vale imbracciare una telecamera e andare a riprendere la realtà da denunciare direttamente dove la realtà si inscena, anziché scriverla e rilegarla. E allora Striscia la notizia sarà l’avanguardia della narrativa e sarà impossibile distinguere Carolina Invernizio da Virginia Woolf, e Walter Veltroni è uno scrittore.
Invece il «punto di non ritorno» è il progresso delle poetiche e delle opere degli scrittori. È quel territorio della mente inesplorato in cui ogni scrittore si addentra fino alle sue più estreme conseguenze artistiche e conoscitive. Kasimir Malevic, dopo il suo quadrato bianco su fondo bianco tradisce il suo punto di non ritorno retrocedendo alla rappresentazione e al figurativo, non potremo mai perdonarlo. Come se Van Gogh fosse tornato a dipingere come Puvis de Chavannes, o Picasso al periodo blu, così, senza dover rendere conto a se stesso, semplicemente perché il blu andava in classifica. La coerenza dell’artista vero è sempre al rilancio nel baratro, fosse anche quello di trovarsi di fronte a un muro invalicabile da lui stesso eretto rispetto alla storia della propria arte. Dopo L’innominabile, terzo salto nell'orrore della sua trilogia, Samuel Beckett ha potuto scrivere Lo spopolatore o Non io o Com’è o Compagnia, non avrebbe potuto tornare al Primo amore, non è possibile tornare indietro. Dopo La Recherche Marcel Proust non avrebbe potuto mai scrivere il Jean Santeuil. Vale anche nell’arte, quando non è cialtrona e furba come Salvador Dalì: dopo il readymade, con tutte le sue implicazioni filosofiche e epistemologiche, Marcel Duchamp non avrebbe potuto dipingere un solo quadro, e non l’ha mai fatto.
Anche senza conoscere la cronologia delle opere, ma solo leggendole, saremmo in grado di capire che Madame Bovary precede il crollo delle certezze epistemologiche del Bouvard e Pecuchet. Gente di Dublino precede L’Ulisse che precede il Finnegans Wake tanto quanto i naturalisti teologici fissisti precedono la selezione naturale di Darwin che precede e si integra alla biologia molecolare e alla genetica evolutiva.
Esiste, certo, il riflusso anche negli artisti, ma come constatazione negativa, debolezza creativa, ripiegamento umano, impotenza. Tutto ciò non accade sul piano della narrativa odierna, non c’è reflusso perché nulla va né avanti né indietro, tutto si equivale, un libro è un libro: il primo libro di Tabucchi vale l’ultimo, il prossimo di Mauro Corona o di Erri De Luca o di Baricco si equivalgono nell’irrilevanza artistica e nella rilevanza narrativa, e ogni Strega vale l’altro, e alla fine perché Daria Bignardi sarà migliore o peggiore di Veltroni o di Elena Lowenthal o della Tamaro nessuno saprebbe dire, e ciascuno non avendo mai imparato l’arte e non ha messo da parte niente, deve solo produrre un altro prodotto, un’altra storia, e venderla o meno, è il Sessantotto, e è il Capitalismo, come il Pd. Ecco perché quasi tutti i romanzi di cui sentite parlare, la totalità dei romanzi che trovate ogni settimana in classifica di vendita, sono solo prodotti commerciali, vale a dire non sono arte, non fanno i conti con l’arte e con la dura conoscenza del progresso di ogni cosa e dunque con l’uomo, e chi li giudica, d’altra parte, ossia i cosiddetti recensori, non si pongono il problema, la critica è sostituita da un funzionariato della domenica che timbra cartellini e progetta carriere, e il suo criterio selettivo è puramente gastronomico e soggettivo: mi piace/non mi piace.
Così il racconto di una storia, costruito a tavolino per raccontarvela sperando di diventare un film, ne vale un altro, e un romanzo di successo socialmente impegnato tra dieci anni potrà essere superato solo sostituendo alla camorra una crisi internazionale o una rivolta sociale delle nonne sdentate, ossia cambiando tema. La caratteristica comune di ciascuno di questi romanzi narrativi è che prima non esiste nulla, prima di Tabucchi o Veltroni o Saviano non c’è Shakespeare, non c’è Cervantes, non ci sono Dostoevskij né Flaubert né Proust né Kafka né Joyce né Gombrowiz né Svevo né Gadda né Beckett, non c’è storia della lingua né della psicologia né della scienza né frattura nell’essere umano e nella parola, né due secoli di critica e storia della letteratura e del pensiero. Sono nati ieri, scrivono per l’oggi, e domani saranno sostituiti da altre copie analoghe, da molti, da nessuno. È per questo che ha ragione Veronesi quando dice che un romanzo è solo un romanzo, o ha ragione Piperno quando dice di aver smesso di leggere Thomas Bernhard o Hermann Broch perché troppo elitari e difficili e di aver scoperto il gusto di raccontare qualcosa al pubblico, o ha ragione Scurati nello sbavare per avere lo Strega, meglio l’uovo oggi che essere dei geni se non lo si è: un romanzo, come quelli che scrivono loro, è solo un romanzo, e quel che resterà, come sempre, sarà la letteratura, e tanto a loro che gliene frega, non avranno punti di non ritorno ma finché si arrabbattano sono sempre lì, a tagliare nastri e traguardi ai propri punti di partenza.
«Il Giornale» dell'8 marzo 2010

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