07 aprile 2010

Ecco che cosa si dice sulla Ru486

A Bari la prima somministrazione
s. i. a.
Sono arrivate stamani al Policlinico di Bari le dieci confezioni di Ru486 ordinate dalla clinica di Ostetricia e Ginecologia per l'interruzione di gravidanza. La prima somministrazione è prevista in mattinata per una giovane di venticinque anni che è già stata ricoverata e dovrebbe rimanere in degenza per tre giorni presso la struttura ospedaliera consorziale. E' da ricordare che nella stessa struttura, ma anche all'ospedale Vito Fazzi di Lecce, dal novembre 2006 e sino al dicembre scorso, la Ru486, acquistata in Francia, è stata sperimentata in circa duecento casi in regime di day hospital.
Tutto ha inizio con la dichiarazione del neo governatore del Piemonte, Roberto Cota, che sentendosi chiedere da Maurizio Belpietro se le pillole di Ru486 che la Bresso aveva ordinato e che sono già arrivate in Piemonte rimarranno nei magazzini, ha replicato: "Eh sì, per quanto potrò fare io sì". Cota, cui segue subito dopo Zaia, solleva un problema che è soprattutto di informazione. O meglio, di cattiva informazione: sulla pillola abortiva, infatti, sui giornali si può leggere di tutto.
Il 2 aprile La Repubblica ha pubblicato un’intervista a Stefania Prestigiacomo, che assunta a paladina delle donne con diritto di parola del Pdl, ha detto: “Se esiste un metodo meno invasivo per abortire questo non deve essere proibito dal nostro Paese”. Le sue dichiarazioni vengono subito riprese da Federica Perri sul Secolo d’Italia, che titola “Meno male che la Prestigiacomo c’è”, lamentando una scarsa partecipazione delle donne del centrodestra , magari “gnocche” (come dice Libero), “ma rassegnate a farsi dare la linea dai superiori”. “Coraggio, signore”, dice la Ferri, e con un istinto telepatico del tutto femminile, “sappiamo quel che pensate dell’argomento”.
La giornalista Daniela Minerva, dal suo blog sull’Espresso, il 3 aprile definisce “baggianate e opportunismi” le esternazioni dei neopresidenti di Piemonte e Veneto sull’assunzione ospedalizzata della Ru486, e scrive: “A nessuno – esimi professori grilli sempre parlanti, associazioni di medici o sanitari vari, autorità scientifiche – ieri, nel momento della bufera, è venuto in mente di dire niente. Di sensato e autorevole”. Il giorno dopo le risponde, indirettamente, il presidente dell’associazione mondiale di medicina riproduttiva, Severino Antinori, dalle pagine del Giornale: “E’ una bugia diffondere l’illusione, magari alle più giovani, che l’aborto con la Ru486 sia facile come bere un bicchiere d’acqua. Io ne avevo scritto già due anni fa, descrivendo gli effetti devastanti della Ru486, da indicibili nausee con vomito e pericolosissimi sanguinamenti, dal 30 per cento di possibilità di dover ricorrere poi a interventi di completamento dell’aborto a un rischio di infertilità del 15 per cento, da un’angoscia che dura cinque giorni al rischio di mortalità. E’ per questo che ne è stato ridotto il ricorso in paesi come Francia, o Australia, dove ormai è quasi vietata, o nella liberalissima Svezia”. Antinori risponde pure a Umberto Veronesi, che, non a caso, parla di un “problema culturale” ma non si spinge oltre nei tecnicismi. Dice Antinori: “Veronesi è un grandissimo oncologo, ci mancherebbe. Ma io questa materia la pratico e la studio da quarant’anni”.
E ancora. La rubrica di Dacia Maraini sul Corriere della Sera, “Il sale sulla coda”, apre il 6 aprile con un “l’aborto è sempre esistito. E, diciamolo, è già un progresso rispetto all’infanticidio, praticato da popoli civilissimi come quello greco antico e quello cinese di oggi”. Eppure già l’Economist (e Il Foglio) si era occupato tanto di quella strage delle bambine tramite le ultramoderne sonde da ecografia che consentono al popolo cinese di modernizzarsi e passare dall'infanticidio all'aborto anche a gravidanza quasi finita. E che dire del reportage del 6 aprile su Repubblica di Anais Ginori, che racconta la storia di una signora americana che affitta il suo utero ad una italiana, per diciottomila euro. Ma non lo fa per soldi, e nemmeno per i massaggi per sgonfiare i piedi. Lo fa per “ricambiare la felicità che aveva avuto dalla vita”. Forse non è lo stesso per le donne ucraine, greche, indiane, dove la pratica è legale ma di cui la Ginori non parla.
L'Unità di Concita de Gregorio dedica il 7 aprile, il giorno della prima somministrazione della Ru486 a una ragazza a Bari, due paginate alla "Battaglia della pillola". L'analisi di Carlo Flamigni, medico e candidato di Sinistra e Libertà, per cui "la degenza è inutile, inapplicabile, svantaggiosa per le donne", si conclude con un riferimento al libro di Assuntina Morresi e Eugenia Roccella, La favola dell'aborto facile. Alle "due gentili signore", per cui dice di provare una "fondamentale antipatia", Flamigni contesta soprattutto la tesi dell'aumento di richieste di interruzione della gravidanza. In effetti, l'unico paese dove la somministrazione della Ru486 è diminuita col tempo, è l'Australia, dove il consenso informato e la preparazione delle gestanti ai rischi ha funzionato da deterrente.
La parola, allora, forse è meglio darla a una delle tre lettere comparse il 6 aprile sulla Stampa: “Sento parlare di aborto come questione politica. Ho vissuto lo scorso anno di riflesso un percorso di aborto. E’ stato sconcertante andare negli ospedali e verificare che gli ambulatori sono pieni di donne sanissime che usano l’aborto come contraccettivo”. Oppure la testimonianza, pubblicata dal Giornale il 3 aprile, di una donna che ha provato la Ru486 sulla sua pelle: “Non è come mandare giù un’aspirina e via, anzi... Dopo che hai ingoiato la prima pillola, sai che quel giorno stesso tuo figlio morirà, e resterà attaccato lì, morto, dentro il tuo utero. Semplicemente il suo cuoricino, che il giorno prima hai ascoltato durante l’ecografia, smetterà di battere. Per sempre. E’ l'effetto della prima pasticca, che tu devi mettere in bocca da sola, perché da sola sei lasciata a sopprimere quella vita che tu stessa vuoi eliminare”.
«Il Foglio» del 7 aprile 2010

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