Gli oggetti «muti», i miti e il quotidiano nella pittura metafisica dell’autore italiano di origini greche
di Marco Busagli
De Chirico e Natura, un binomio da « cortocircuito » direbbe Achille Bonito Oliva che, non per nulla, è il curatore e l’ideatore della bella mostra che si è aperta in questi giorni a Roma presso il grande spazio di Palazzo delle Esposizioni, per concludere le celebrazioni dechirichiane e commemorare il secolo dalla nascita della pittura metafisica. Il termine, mutuato dal lessico elettrico ed elettro- meccanico, è assai caro al critico salernitano perché indica in maniera estremamente efficace l’interruzione inaspettata di un processo artistico, espressivo, intellettuale che, partendo da premesse certe, dovrebbe giungere ad una soluzione prevedibile e che, invece, si risolve in termini del tutto diversi e non affatto rassicuranti, ovvero in un « cortocircuito » . Così La Natura secondo De Chirico ( questo il titolo della mostra) è una sorta di contraddizione in termini perché l’artista, pur partendo da presupposti naturalistici e da un reale amore per la natura, non giunge mai ad esiti espressivi riconducibili a questa in maniera diretta. Mi spiego meglio. Un melograno dipinto dal pittore italiano, ma di origine greca (Giorgio de Chirico nacque a Volos in Tessaglia nel 1888 da genitori italiani), non è mai soltanto un melograno, è piuttosto la sintesi del mistero silenzioso che dietro la natura si cela.
Così scrive infatti l’artista a proposito di questo tema che attraversa tutta la sua produzione pittorica: « La natura morta ha nella lingua tedesca e nell’inglese un altro nome, molto più bello, molto più giusto. Questo nome è Still leben e Still life: ' vita silenziosa'. È un quadro, infatti, che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumore e senza movimenti (…) le nature morte rappresentano le cose che non sono vive nel senso del movimento e del rumore, ma che sono legate alla vita degli uomini, degli animali, delle piante; queste cose stanno sulla terra, su questa terra che respira intensamente la vita che è piena di rumori e di movimento » . Ecco allora il « cortocircuito » : De Chirico rappresenta la vita usando il suo contrario, il silenzio, la quiete, la sospensione temporale che è l’incanto di molti suoi quadri. È una vita molto più vera, è la natura profonda della vita, è l’essere, lo stare, il presentarsi, in silenzio… come quando dipinge Melograni nel paesaggio. Nulla fanno i melograni, ma il loro primo piano che li rende prospetticamente enormi rispetto agli alberi del paesaggio, svela il mistero del loro esistere. Così accade, pure per Mandarini su un ramo, che si confrontano con un’altra componente della pittura dechirichana, l’architettura. Gli oggetti solo in apparenza sono inanimanti e quelli architettonici sono gli oggetti per eccellenza. Spiega allora il maestro: « L’architettura completa la natura » . Per questo dietro il ramo di mandarini c’è lo spicchio di una casa con il comignolo sul tetto da cui esce del fumo. Anche quella è ' vita silente', è presenza pregnante, è il racconto senza racconto, è l’attimo sospeso come in La partenza del cavaliere errante.
Il cane, le donne, i bambini, il cavallo, l’albero, la casa e il cavaliere: tutto è fermo e tutto è vitale perché c’è e si lascia interrogare. De Chirico lo dipinse nel 1923 quando aveva già affrontato l’avventura metafisica che infatti ritorna ne Il condottiero, un’opera del 1925 nella quale l’uomo è composto dai suoi oggetti, ovvero dalle squadre, dalle righe, dagli strumenti dell’artista. È lui il condottiero.
Ognuno di noi è anche gli oggetti che usa. È un concetto che, con risvolti estetici del tutto diversi, si palesa anche nel Rinascimento, quando a qualificare la condizioni delle persone effigiate erano anche gli oggetti. Si pensi al Botanico
con le piante di Bartolomeo Passerotti oppure al Sarto con le forbici di Giambattista Moroni. Ecco allora spiegato L’archeologo solitario, senza volto, ma con il tronco composto da templi, colonne, mare ed isole, in una sintesi d’interessi, di aspirazioni e di mentalità che si trasforma poi in una polemica visiva con Nobili e borghesi, i cui corpi si compongono di mobili pregiati nel primo caso e dozzinali nel secondo, in una gara di dubbio gusto. È la gara fra 'essere' e ' avere' e se vince il secondo, ci si consegna alle cose. Ecco di nuovo il « cortocircuito » : il mistero degli oggetti si trasforma nella banalità del quotidiano. Corredata da un elegante catalogo edito da Federico Motta, la mostra è la punta dell’iceberg di una miriade d’iniziative a carattere didattico fortemente volute dal nuovo Presidente del Pala Expo Emmanuele Francesco Maria Emanuele. Così, quello che si palesa dinanzi al pubblico è un viaggio avvincente nei meandri di una delle menti più fervide e creative del Novecento artistico non soltanto italiano. Le sezioni sono sette: La natura e il mito, dove vive l’Arcadia di De Chirico; Natura dell’ombra, viaggio nella pittura metafisica; Natura da camera, dialogo tra naturale e artificiale; Antinatura, che ha per protagonisti i celebri manichini; Natura delle cose , dedicato alle ' macchine metafisiche'; Natura aperta , viaggio nei Bagni misteriosi, disegni e quadri nei quali l’acqua è sostituita dal parquet; Natura viva, le nature morte di De Chirico. Questo è l’itinerario per scoprire De Chirico e la sua voglia di natura silente.
Così scrive infatti l’artista a proposito di questo tema che attraversa tutta la sua produzione pittorica: « La natura morta ha nella lingua tedesca e nell’inglese un altro nome, molto più bello, molto più giusto. Questo nome è Still leben e Still life: ' vita silenziosa'. È un quadro, infatti, che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumore e senza movimenti (…) le nature morte rappresentano le cose che non sono vive nel senso del movimento e del rumore, ma che sono legate alla vita degli uomini, degli animali, delle piante; queste cose stanno sulla terra, su questa terra che respira intensamente la vita che è piena di rumori e di movimento » . Ecco allora il « cortocircuito » : De Chirico rappresenta la vita usando il suo contrario, il silenzio, la quiete, la sospensione temporale che è l’incanto di molti suoi quadri. È una vita molto più vera, è la natura profonda della vita, è l’essere, lo stare, il presentarsi, in silenzio… come quando dipinge Melograni nel paesaggio. Nulla fanno i melograni, ma il loro primo piano che li rende prospetticamente enormi rispetto agli alberi del paesaggio, svela il mistero del loro esistere. Così accade, pure per Mandarini su un ramo, che si confrontano con un’altra componente della pittura dechirichana, l’architettura. Gli oggetti solo in apparenza sono inanimanti e quelli architettonici sono gli oggetti per eccellenza. Spiega allora il maestro: « L’architettura completa la natura » . Per questo dietro il ramo di mandarini c’è lo spicchio di una casa con il comignolo sul tetto da cui esce del fumo. Anche quella è ' vita silente', è presenza pregnante, è il racconto senza racconto, è l’attimo sospeso come in La partenza del cavaliere errante.
Il cane, le donne, i bambini, il cavallo, l’albero, la casa e il cavaliere: tutto è fermo e tutto è vitale perché c’è e si lascia interrogare. De Chirico lo dipinse nel 1923 quando aveva già affrontato l’avventura metafisica che infatti ritorna ne Il condottiero, un’opera del 1925 nella quale l’uomo è composto dai suoi oggetti, ovvero dalle squadre, dalle righe, dagli strumenti dell’artista. È lui il condottiero.
Ognuno di noi è anche gli oggetti che usa. È un concetto che, con risvolti estetici del tutto diversi, si palesa anche nel Rinascimento, quando a qualificare la condizioni delle persone effigiate erano anche gli oggetti. Si pensi al Botanico
con le piante di Bartolomeo Passerotti oppure al Sarto con le forbici di Giambattista Moroni. Ecco allora spiegato L’archeologo solitario, senza volto, ma con il tronco composto da templi, colonne, mare ed isole, in una sintesi d’interessi, di aspirazioni e di mentalità che si trasforma poi in una polemica visiva con Nobili e borghesi, i cui corpi si compongono di mobili pregiati nel primo caso e dozzinali nel secondo, in una gara di dubbio gusto. È la gara fra 'essere' e ' avere' e se vince il secondo, ci si consegna alle cose. Ecco di nuovo il « cortocircuito » : il mistero degli oggetti si trasforma nella banalità del quotidiano. Corredata da un elegante catalogo edito da Federico Motta, la mostra è la punta dell’iceberg di una miriade d’iniziative a carattere didattico fortemente volute dal nuovo Presidente del Pala Expo Emmanuele Francesco Maria Emanuele. Così, quello che si palesa dinanzi al pubblico è un viaggio avvincente nei meandri di una delle menti più fervide e creative del Novecento artistico non soltanto italiano. Le sezioni sono sette: La natura e il mito, dove vive l’Arcadia di De Chirico; Natura dell’ombra, viaggio nella pittura metafisica; Natura da camera, dialogo tra naturale e artificiale; Antinatura, che ha per protagonisti i celebri manichini; Natura delle cose , dedicato alle ' macchine metafisiche'; Natura aperta , viaggio nei Bagni misteriosi, disegni e quadri nei quali l’acqua è sostituita dal parquet; Natura viva, le nature morte di De Chirico. Questo è l’itinerario per scoprire De Chirico e la sua voglia di natura silente.
Roma, Palazzo delle Esposizioni, LA NATURA SECONDO DE CHIRICO, Fino all’ 11 luglio
«Avvenire» del 13 aprile 2010
Nessun commento:
Posta un commento