11 aprile 2010

Lech e Jaroslaw Kaczynski. I controversi gemelli della Polonia postcomunista

di Guido De Franceschi
Il presidente Lech Kaczynski è stato uno degli uomini politici più controversi della Polonia postcomunista. Eletto nel 2005, tra il 2006 e il 2007 assaggia una stagione di potere particolarissima, dopo aver nominato come premier il fratello gemello Jaroslaw, che con lui aveva fondato il partito Legge e Giustizia: unico aiuto per distinguere i due, nati nel 1949, è il neo alla sinistra del naso di Lech. Di qui la polemica definizione della Polonia come "repubblica monozigote". I gemelli Kaczynski, prima piccole star cinematografiche (a tredici anni interpretano in coppia un film per ragazzi), poi veterani delle lotte contro il regime comunista devoto a Mosca e importanti esponenti di Solidarnosc, sono fin dai primi anni Novanta tra i protagonisti della rinata democrazia polacca. Lech è un consigliere dell'ex leader di Solidarnosc Lech Walesa, Jaroslaw guida un partito democristiano, il Prozumienie Centrum.
Ma soltanto con la fondazione del partito di destra Legge e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwosc, in polacco) i gemelli Kaczinski pongono le basi per la scalata alle massime cariche istituzionali. Capaci di raccogliere vasto consenso, nei due anni in cui occupano i due posti più importanti, la presidenza e la premiership, Lech e Jaroslaw divengono molto noti anche all'estero per le loro posizioni politiche spesso ruvide. Inclini al populismo e ad alleanze politiche con partiti accusati di accogliere elementi antisemiti (ma nel 2008 Lech Kaczynski è il primo presidente polacco ad assistere a una funzione in una sinagoga), i gemelli si sono fatti interpreti delle istanze del cattolicesimo conservatore polacco. Di conseguenza, durante il suo mandato come sindaco di Varsavia, Lech Kaczynski proibisce la sfilata del Gay Pride prevista nella capitale polacca, scatenando violente polemiche con la comunità omosessuale e una condanna da parte della Corte europea dei Diritti umani. E anche in seguito, così come il fratello, ripete affermazioni che si sono prestate all'accusa di omofobia. Altra iniziativa dei Kaczynski, altro scandalo: decisi a concludere, forse un po' fuori tempo massimo, la loro battaglia contro il regime comunista, nel 2007 Lech e Jaroslaw cavalcano la cosiddetta "lustracja": 700 mila polacchi, tra professori, giornalisti, avvocati, politici hanno l'obbligo di rispondere a un formulario riguardo a loro eventuali collaborazioni con il regime.
Chi mente o si rifiuta di rispondere rischia il licenziamento. A questa misura si oppongono anche molti big della battaglia anticomunista. Personaggi al di sopra di ogni sospetto: il famoso storico Bronislaw Geremek, tra le prime lame di Solidarnosc, poi ministro degli Esteri ed eurodeputato si rifiuta di rispondere; ed è fortemente critica anche la Gazeta Wyborcza, prestigioso quotidiano diretto da Adam Michnik, uno dei più noti dissidenti anticomunisti.
Anche all'estero il presidente Kaczynski, coadiuvato da Jaroslaw oppure da solo, non abbandona il piglio sicuro e provocatorio. Nell'ambito dell'Unione europea i gemelli alternano posizioni euroscettiche, peraltro orgogliosamente ostentate da alcuni dei partiti loro alleati, a una secca negoziazione tesa a garantire alla Polonia vantaggi e a sfruttare i meccanismi di veto. Coltivatore di una vena di legittimo nazionalismo nella memoria storica polacca, Lech Kaczynski ha ulteriormente rinsaldato i legami con gli Stati Uniti già stretti dal suo predecessore, il postcomunista Aleksander Kwasniewski, ma soprattutto è entrato in reiterate frizioni con due grandi vicini: la Germania e la Russia. Nel Novecento entrambi i paesi si sono macchiati di gravi colpe agli occhi della Polonia e quindi non è difficile trovare il consenso della popolazione riattizzando rancori mai del tutto sopiti. L'era Kaczynski tragicamente e bruscamente interrotta dall'incidente aereo che ha ucciso Lech Kaczynski, la moglie, e altri esponenti dell'establishment polacco, ha visto il richiudersi della Polonia in un orgoglio nazionale di sapore un po' isolazionistico, ma anche un'iniezione di fierezza identitaria, capace di travalicare bon ton diplomatici e lungimiranze da Realpolitik.
«Il Sole 24 Ore» del 10 aprile 2010

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