Continua la storia conflittuale di un uomo paradigmatico, il dominatore Gaio, con il principio femminile che egli vuole sottomettere, Gaia, ossia la terra viva, da qualche milione di anni habitat dell'animale umano. Da Cartesio a Darwin, è una storia di sopraffazioni, dove vige la legge del più forte
di Ugo Mattei
Con Cartesio, il rapporto fra l'uomo (chiamiamolo Gaio) e la natura (chiamiamola Gaia), viene ridotto alla separazione ontologica fra soggetto e oggetto che si declina giuridicamente nell'idea del dominio assoluto. Il soggetto-uomo-maschio domina l'oggetto-natura-femmina. Bacone detta il metodo. Newton descrive con precisione le leggi meccaniche e immutabili che governano Gaia e produce risultati tecnologici spettacolari. La scienza vede Gaia come una macchina, un aggregato di particelle precisamente misurabili che la compongono. L'orologio meccanico diviene metafora della natura oggetto meccanico, scomponibile, conoscibile e prevedibile in ogni suo aspetto.
Fra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, con questo armamentario culturale sempre più dominante Gaio si pone alla scoperta dei nuovi mondi che si appresta a conquistare. Il solo strumento giuridico-concettuale che Gaio ha a disposizione e che si mostra sufficientemente potente per governare la nuova realtà è il dominio. E sul modello del dominio egli elabora le sue istituzioni a partire da quella fondativa del nuovo ordine del capitalismo nascente: la sovranità dello Stato moderno.
Da San Tomaso a Savigny
I giuristi naturalisti della scuola spagnola che adattano allo studio del diritto il grande edificio costituito dalla Summa di San Tomaso, medievali e non moderni, non riducono i propri orizzonti intellettuali al rapporto di dominio e al dualismo soggetto-oggetto. Il diritto per loro, influentissimi fra il quindicesimo e sedicesimo secolo, discende ancora da un legislatore supremo, divino che va interrogato per sapere come organizzare una società giusta. Gaio non è ancora legislatore. Gli strumenti a disposizione per costruire una buona società restano le due idee fondamentali trasmesse da Aristotele ai tomisti: la giustizia distributiva e quella commutativa. Per San Tomaso la prima pertiene al tutto, all'insieme, all'armonico ed organico funzionamento di una società. La seconda pertiene alle parti, soggetti proprietari che entrano in rapporto di scambio contrattuale semplice: do ut des.
La giustizia distributiva non è la semplice risultante sul piano della società dell'aggregato delle sue parti, individui proprietari i cui rapporti sono governati dalla giustizia commutativa che si esprime nei prezzi. La giustizia sociale non è un'idea riducibile alla somma algebrica di quella contrattuale. Già sappiamo che il riduzionismo cartesiano meccanicistico e scientistico non sa confrontarsi con le differenze qualitative ma è a suo agio soltanto con la quantificazione. Esso è perciò a disagio con la giustizia distributiva. È per questo che quando il diritto naturale sposta il suo baricentro a nord nel diciasettesimo secolo, la giustizia distributiva viene accantonata dai giuristi per almeno tre secoli.
Gaio, che ora riveste i panni del giusnaturalista olandese Grotius, trova il diritto di ragione in se stesso, nella sua capacità scientifica: non deve più interrogare il divino. Gaio si sente ora più bravo di Dio nel fare le leggi. La legge di Gaio presuppone una tabula rasa da colmare con regole logicamente dedotte dal dominium: per far fronte all'esigenza di dominare il mare, tabula rasa per eccellenza, nasce il diritto internazionale. Il modello del dominio assoluto aveva già accompagnato, da Jean Bodin a Hobbes, la nascita della statualità declinata come proprietà sul territorio. E il diritto internazionale costruisce un rapporto fra stati sovrani-proprietari dove non c'è posto per la giustizia distributiva ma al più per quella commutativa fondata sul contratto (trattato).
L'antropocentrismo e il riduzionismo di Gaio raggiungono l'apogeo: il sovrano è il soggetto; il territorio l'oggetto; la ragione detta le regole che sono quelle dello scambio fra proprietari, quantificabile con il sistema dei prezzi. Con l'illuminismo fra l'individuo e lo Stato non c'è posto per nulla: corporazioni, gilde, famiglie allargate, ordini monastici, comunità, ogni luogo in cui limiti e obbligazioni non consentono a Gaio la più completa autonomia «qui e adesso» divengono nemici della modernità.
È Jean Domat, un giurista amico di Blaise Pascal, e come quest'ultimo attivo nel circolo logico di Port Royal, ad assumersi il compito di tracciare l'intero ordine giuridico civilistico seguendo le regole della ragione proprietaria. E le sue regole troveranno accoglienza piena nel Code Civil di Napoleone (1804) tuttora vigente che descrive un mondo di proprietari assoluti e liberi limitati soltanto dagli uguali diritti degli altri proprietari o dallo Stato sovrano. Un mondo giuridico in cui Gaio non è parte dell'ambiente che lo circonda. Gaia è codificata come un oggetto di proprietà privata o di sovranità pubblica produttiva, meccanica, una macchina, un corpo inanimato. Un oggetto che crea sviluppo tramite la possibilità di essere meccanicamente sfruttato e trasformato nell'interesse del sovrano pubblico (lo stato) o privato (il proprietario).
Con Leibniz fra i filosofi e Christian Wolff fra i giuristi si fa un ulteriore passo «avanti» cercando di ridurre l'ordine sociale proprietario a matematica, per replicare quello stesso ordine scientifico che consente a Gaio i suoi prodigiosi successi nello sfruttamento di Gaia. Il tentativo non riesce perché fra i giuristi il romanticismo e lo storicismo, ancorché motivati da scopi in larga misura reazionari, riusciranno a prendere il sopravvento nella Germania del diciannovesimo secolo.
Gaia trova così i suoi primi difensori nelle rime del poeta Blake, che attacca Newton criticandone la grettezza e l'incapacità di coglierne gli aspetti non quantificabili, gli aromi, la bellezza, i mirabili equilibri che oggi chiamiamo ecologici.... Fra i giuristi, paradossalmente in nome della romanità, sarà il grande Federico Carlo Von Savigny, protagonista indiscusso del secolo decimonono, a contestare l'universalismo insito nell' astrazione cartesiana tipica del giusnaturalismo razionalista francese e tedesco e a proporre una concezone del diritto come «spirito del popolo» in quanto tale variabile da comunità a comunità. Savigny, attivo in una Germania ancora non unificata, contesterà altresì, in nome della necessaria flessibilità e adattabilità del diritto, l'opportunità di una codificazione insistendo sulla natura sapienziale e non politica dell'ordine giuridico. A dispetto di queste premesse, la visione della proprietà in Savigny resterà quanto mai assolutistica e la giustizia distributiva non troverà nel suo magistero alcuna redenzione. Anche per Savigny l'ordine giuridico finisce per essere ridotto a rapporto fra individui in cui i servizi di Gaia, le risorse naturali (acqua aria legname, minerali, fauna...) e gli ecosistemi (foreste, laghi, mare...) sono presi in considerazione solo come oggetti liberamente appropriabili da soggetti sovrani (siano essi privati o pubblici).
Da Adam Smith a Herbert Spencer
Occorrerà aspettare l'inizio del ventesimo secolo perché i semi della filosofia del diritto hegeliana, presenti in Savigny, diano i propri (limitati) frutti pratici. Infatti, il libero saccheggio di Gaia caratterizzante il primo capitalismo cominciava a produrre danni sociali visibili che imponevano allo Stato il tentativo di porvi rimedio. Le masse povere e diseredate accatastate vicino alle industrie provocavano problemi igienici per le città (oltre che rischi per l'ordine costituito). La proprietà privata, libera di produrre inquinando, rendeva irrespirabile l'aria e provocava la morte di tutti i pesci nei fiumi. I minori sfruttati resero necessarie le prime limitazioni dell'orario di lavoro. I più avanzati giuristi teorici del periodo, da Von Gierke in Germania a Duguit in Francia, nell'ambito di teorie sociali del diritto, cominciarono a rendersi conto che nel diritto il sistema (ordinamento giuridico) non poteva ridursi all'aggregato delle sue parti (diritti di proprietà) lasciate liberi di contrarre privatamente. Il legame fra Stato e proprietà privata, seppur da sempre alleanza infida, entra in crisi.
La teoria economica della mano invisibile, resa celebre cent'anni prima da Adam Smith, trovava nella realtà sociale una smentita evidente: evidenziata proprio dai primi visibili sintomi della sofferenza di Gaia e dei più deboli fra i suoi abitanti umani che, lungi dall' essere soggetti erano a loro volta oggetto di dominio. I fondamenti del liberalismo nel diritto e nell'economia e con essi la visione riduzionistica e meccanicistica dominante incontrarono una critica teorica decisiva che aveva alle sue radici l'idea hegeliana per cui il tutto non è mero aggregato delle parti. Critiche fondate su questa stessa idea incominciava a incontrare pure la visione meccanicistica newtoniana nelle scienze naturali. Lo studio dei campi elettromagnetici legato al nome di Faraday mostrava inequivocabilmente come le leggi fondamentali della meccanica non potevano spiegare appieno il funzionamento più intimo di Gaia. La metafora meccanicistica dell'orologio venne ulteriormente messa in crisi dall'apparire sulla scena dell'evoluzionismo di Darwin. La vita, Gaia stessa, è governata da un processo di mutazione che non è meccanico e ripetitivo ma che al contrario mostra nascita, crescita e estinzione. Gaia non può essere ridotta a un oggetto meccanico.
Tuttavia, in un contesto occidentale ormai dominato dalle strutture tecnologiche e giuridiche del capitalismo, Darwin - lungi dal porsi accanto a Gaia per limitare il delirio antropocentrico di Gaio - paradossalmente doveva sortire l'effetto opposto. L'evoluzionismo si pose con Herbert Spencer al servizio di nuovi progetti reazionari di dominazione di Gaio sulla natura, e del più forte sul più debole. La stagione del darwinismo sociale evoca ancor oggi i tratti sinistri della legge del più forte.
Fra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, con questo armamentario culturale sempre più dominante Gaio si pone alla scoperta dei nuovi mondi che si appresta a conquistare. Il solo strumento giuridico-concettuale che Gaio ha a disposizione e che si mostra sufficientemente potente per governare la nuova realtà è il dominio. E sul modello del dominio egli elabora le sue istituzioni a partire da quella fondativa del nuovo ordine del capitalismo nascente: la sovranità dello Stato moderno.
Da San Tomaso a Savigny
I giuristi naturalisti della scuola spagnola che adattano allo studio del diritto il grande edificio costituito dalla Summa di San Tomaso, medievali e non moderni, non riducono i propri orizzonti intellettuali al rapporto di dominio e al dualismo soggetto-oggetto. Il diritto per loro, influentissimi fra il quindicesimo e sedicesimo secolo, discende ancora da un legislatore supremo, divino che va interrogato per sapere come organizzare una società giusta. Gaio non è ancora legislatore. Gli strumenti a disposizione per costruire una buona società restano le due idee fondamentali trasmesse da Aristotele ai tomisti: la giustizia distributiva e quella commutativa. Per San Tomaso la prima pertiene al tutto, all'insieme, all'armonico ed organico funzionamento di una società. La seconda pertiene alle parti, soggetti proprietari che entrano in rapporto di scambio contrattuale semplice: do ut des.
La giustizia distributiva non è la semplice risultante sul piano della società dell'aggregato delle sue parti, individui proprietari i cui rapporti sono governati dalla giustizia commutativa che si esprime nei prezzi. La giustizia sociale non è un'idea riducibile alla somma algebrica di quella contrattuale. Già sappiamo che il riduzionismo cartesiano meccanicistico e scientistico non sa confrontarsi con le differenze qualitative ma è a suo agio soltanto con la quantificazione. Esso è perciò a disagio con la giustizia distributiva. È per questo che quando il diritto naturale sposta il suo baricentro a nord nel diciasettesimo secolo, la giustizia distributiva viene accantonata dai giuristi per almeno tre secoli.
Gaio, che ora riveste i panni del giusnaturalista olandese Grotius, trova il diritto di ragione in se stesso, nella sua capacità scientifica: non deve più interrogare il divino. Gaio si sente ora più bravo di Dio nel fare le leggi. La legge di Gaio presuppone una tabula rasa da colmare con regole logicamente dedotte dal dominium: per far fronte all'esigenza di dominare il mare, tabula rasa per eccellenza, nasce il diritto internazionale. Il modello del dominio assoluto aveva già accompagnato, da Jean Bodin a Hobbes, la nascita della statualità declinata come proprietà sul territorio. E il diritto internazionale costruisce un rapporto fra stati sovrani-proprietari dove non c'è posto per la giustizia distributiva ma al più per quella commutativa fondata sul contratto (trattato).
L'antropocentrismo e il riduzionismo di Gaio raggiungono l'apogeo: il sovrano è il soggetto; il territorio l'oggetto; la ragione detta le regole che sono quelle dello scambio fra proprietari, quantificabile con il sistema dei prezzi. Con l'illuminismo fra l'individuo e lo Stato non c'è posto per nulla: corporazioni, gilde, famiglie allargate, ordini monastici, comunità, ogni luogo in cui limiti e obbligazioni non consentono a Gaio la più completa autonomia «qui e adesso» divengono nemici della modernità.
È Jean Domat, un giurista amico di Blaise Pascal, e come quest'ultimo attivo nel circolo logico di Port Royal, ad assumersi il compito di tracciare l'intero ordine giuridico civilistico seguendo le regole della ragione proprietaria. E le sue regole troveranno accoglienza piena nel Code Civil di Napoleone (1804) tuttora vigente che descrive un mondo di proprietari assoluti e liberi limitati soltanto dagli uguali diritti degli altri proprietari o dallo Stato sovrano. Un mondo giuridico in cui Gaio non è parte dell'ambiente che lo circonda. Gaia è codificata come un oggetto di proprietà privata o di sovranità pubblica produttiva, meccanica, una macchina, un corpo inanimato. Un oggetto che crea sviluppo tramite la possibilità di essere meccanicamente sfruttato e trasformato nell'interesse del sovrano pubblico (lo stato) o privato (il proprietario).
Con Leibniz fra i filosofi e Christian Wolff fra i giuristi si fa un ulteriore passo «avanti» cercando di ridurre l'ordine sociale proprietario a matematica, per replicare quello stesso ordine scientifico che consente a Gaio i suoi prodigiosi successi nello sfruttamento di Gaia. Il tentativo non riesce perché fra i giuristi il romanticismo e lo storicismo, ancorché motivati da scopi in larga misura reazionari, riusciranno a prendere il sopravvento nella Germania del diciannovesimo secolo.
Gaia trova così i suoi primi difensori nelle rime del poeta Blake, che attacca Newton criticandone la grettezza e l'incapacità di coglierne gli aspetti non quantificabili, gli aromi, la bellezza, i mirabili equilibri che oggi chiamiamo ecologici.... Fra i giuristi, paradossalmente in nome della romanità, sarà il grande Federico Carlo Von Savigny, protagonista indiscusso del secolo decimonono, a contestare l'universalismo insito nell' astrazione cartesiana tipica del giusnaturalismo razionalista francese e tedesco e a proporre una concezone del diritto come «spirito del popolo» in quanto tale variabile da comunità a comunità. Savigny, attivo in una Germania ancora non unificata, contesterà altresì, in nome della necessaria flessibilità e adattabilità del diritto, l'opportunità di una codificazione insistendo sulla natura sapienziale e non politica dell'ordine giuridico. A dispetto di queste premesse, la visione della proprietà in Savigny resterà quanto mai assolutistica e la giustizia distributiva non troverà nel suo magistero alcuna redenzione. Anche per Savigny l'ordine giuridico finisce per essere ridotto a rapporto fra individui in cui i servizi di Gaia, le risorse naturali (acqua aria legname, minerali, fauna...) e gli ecosistemi (foreste, laghi, mare...) sono presi in considerazione solo come oggetti liberamente appropriabili da soggetti sovrani (siano essi privati o pubblici).
Da Adam Smith a Herbert Spencer
Occorrerà aspettare l'inizio del ventesimo secolo perché i semi della filosofia del diritto hegeliana, presenti in Savigny, diano i propri (limitati) frutti pratici. Infatti, il libero saccheggio di Gaia caratterizzante il primo capitalismo cominciava a produrre danni sociali visibili che imponevano allo Stato il tentativo di porvi rimedio. Le masse povere e diseredate accatastate vicino alle industrie provocavano problemi igienici per le città (oltre che rischi per l'ordine costituito). La proprietà privata, libera di produrre inquinando, rendeva irrespirabile l'aria e provocava la morte di tutti i pesci nei fiumi. I minori sfruttati resero necessarie le prime limitazioni dell'orario di lavoro. I più avanzati giuristi teorici del periodo, da Von Gierke in Germania a Duguit in Francia, nell'ambito di teorie sociali del diritto, cominciarono a rendersi conto che nel diritto il sistema (ordinamento giuridico) non poteva ridursi all'aggregato delle sue parti (diritti di proprietà) lasciate liberi di contrarre privatamente. Il legame fra Stato e proprietà privata, seppur da sempre alleanza infida, entra in crisi.
La teoria economica della mano invisibile, resa celebre cent'anni prima da Adam Smith, trovava nella realtà sociale una smentita evidente: evidenziata proprio dai primi visibili sintomi della sofferenza di Gaia e dei più deboli fra i suoi abitanti umani che, lungi dall' essere soggetti erano a loro volta oggetto di dominio. I fondamenti del liberalismo nel diritto e nell'economia e con essi la visione riduzionistica e meccanicistica dominante incontrarono una critica teorica decisiva che aveva alle sue radici l'idea hegeliana per cui il tutto non è mero aggregato delle parti. Critiche fondate su questa stessa idea incominciava a incontrare pure la visione meccanicistica newtoniana nelle scienze naturali. Lo studio dei campi elettromagnetici legato al nome di Faraday mostrava inequivocabilmente come le leggi fondamentali della meccanica non potevano spiegare appieno il funzionamento più intimo di Gaia. La metafora meccanicistica dell'orologio venne ulteriormente messa in crisi dall'apparire sulla scena dell'evoluzionismo di Darwin. La vita, Gaia stessa, è governata da un processo di mutazione che non è meccanico e ripetitivo ma che al contrario mostra nascita, crescita e estinzione. Gaia non può essere ridotta a un oggetto meccanico.
Tuttavia, in un contesto occidentale ormai dominato dalle strutture tecnologiche e giuridiche del capitalismo, Darwin - lungi dal porsi accanto a Gaia per limitare il delirio antropocentrico di Gaio - paradossalmente doveva sortire l'effetto opposto. L'evoluzionismo si pose con Herbert Spencer al servizio di nuovi progetti reazionari di dominazione di Gaio sulla natura, e del più forte sul più debole. La stagione del darwinismo sociale evoca ancor oggi i tratti sinistri della legge del più forte.
«Il Manifesto» del 2 aprile 2010
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