Più di 20.000 tra ufficiali e soldati furono abbattuti a colpi di pistola su ordine di Stalin
di Sandro Viola
Dall'eccidio dell'Armata Rossa all'ultima sciagura
A cadere nelle fosse di Katyn, fulminati da un colpo di pistola alla nuca, c'erano molti ufficiali delle truppe polacche che nel 1920 avevano sgominato l'Armata Rossa sulla Vistola, costringendo i russi ad una umiliante ritirata. La guerra tra la Polonia appena indipendente e la Russia bolscevica era durata circa un anno, e da un punto di vista militare la vittoria polacca parve agli Stati maggiori europei pressoché inspiegabile.
I bolscevichi erano tre o quattro volte superiori in uomini e armamenti, e alla loro testa c'erano comandanti che s'erano illustrati durante la guerra civile, gli artefici delle maggiori sconfitte subite, tra il '18 e il '20 dalle armate Bianche: Tuhacevskij, Sollogub, Lazarevic, Jakir, Primakov. I polacchi erano invece comandati da ex ufficiali dell'esercito zarista o dell'esercito austriaco, dove erano entrati alla vigilia della Prima guerra mondiale, quando la Polonia era divisa tra Russia, Austria e Germania. Ufficiali senza grande esperienza, e sin allora senza gloria.
Ma al vertice delle truppe polacche c'era Jozef Pilsudski, uno dei personaggi più notevoli del Novecento, e fu lui che inferse all'esercito di Lenin e Trotskij la sconfitta rovinosa del 1920. Sconfitta seguita al tentativo dei bolscevichi di riconquistare, dopo che la Polonia era divenuta alla fine della Prima guerra mondiale una nazione indipendente, le parti orientali del territorio polacco che erano stati sin dal Settecento sotto il dominio russo. E' qui, nel rancore di Stalin per le vicende del 1919-1920, che vanno ricercate le motivazioni d'uno dei massacri più orribili del secolo scorso, 8.000 ufficiali e altri 14.000 tra soldati, poliziotti e funzionari, abbattuti a colpi di pistola Walter PPK nel bosco di Katyn?
Almeno in parte, è assai probabile che tanta incomprensibile, inutile ferocia, abbia avuto origine proprio nella rotta bolscevica sulla Vistola che chiuse la guerra russo-polacca. Nei prodigi della cavalleria di Pilsudski (10.000 "sciabole", come venivano chiamati i cavalleggeri) e dei suoi ufficiali, che entravano in battaglia con motivazioni ben più consistenti e fervide di quelle che animavano la truppa russa: l'indipendenza e la libertà della nazione, oltre al loro rigetto di cattolici nei confronti dell'ateismo leninista e delle atrocità che stavano avvenendo dopo la rivoluzione in Russia.
Nelle fosse di Katyn caddero parecchi di quegli ufficiali, che nel 1939 erano ancora in servizio. Il generale Skierski - che aveva comandato la IV armata di Pilsudski- il generale Haller, il colonnello Pilsowski del 14° Lancieri, e altri di cui non conosciamo il nome: gli uomini che avevano travolto la cavalleria di Tuhacevskij e di Budjonnij. Con loro, furono ammazzati anche molti dei loro figli, ufficiali giovanissimi che avevano seguito la carriera militare dei padri, caduti prigionieri dei sovietici e della Nkvd all'ingresso dei sovietici in Polonia nel 1939.
Ma c'è un altro motivo che va tenuto presente per capire appieno la decisione di Beria e Stalin, con i loro accoliti Molotov, Mikojan e Voroscilov, d'ordinare lo sterminio del bosco di Katyn. Il sistema della coscrizione polacca negli anni Trenta prevedeva infatti che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva. Trucidare ufficiali era quindi, per Stalin e Beria, il modo di far sparire un'intera classe dirigente (le professioni, l'imprenditoria, i giovani che s'avviavano alla politica) senza perdere tempo in indagini anagrafiche e sociali. Né il piano di svuotare la Polonia dei cervelli informati e indipendenti, terminava qui. Anche le famiglie degli ufficiali (le mogli, i figli piccoli o adolescenti) vennero estirpate dalle loro case e deportate in Siberia e Kazakhstan. Così che non solo la generazione dei trucidati, ma anche la generazione successiva, non potesse infastidire la presa di possesso sovietica della Polonia.
Che Vladimir Putin fosse andato a Varsavia proprio tre giorni fa per ammettere definitivamente le responsabilità sovietiche nell'eccidio, e ieri vi sia stata la caduta dell'aereo che portava a Katyn il presidente della repubblica Kaczyski e altre decine di personalità polacche, conferisce a questo nome, Katyn, un significato ancora più tragico, un alone di fatalità, che oggi non è possibile non rilevare. La conseguenza dei silenzi e dinieghi della Russia sovietica durati sino al 1990, quando Gorbaciov fece le prime ammissioni? L'impossibilità di considerare quel massacro come un evento "ordinario" tra i tanti orrori della Seconda guerra mondiale (ciò che solo i polacchi hanno appassionatamente negato in questi decenni)? E' quanto oggi viene da pensare. L'eccidio di Katyn non vuole essere dimenticato, nonostante che milioni e milioni di persone in tutto il mondo, Italia compresa, abbiano creduto per tanto tempo che la Russia comunista fosse la nazione della giustizia, del benessere collettivo, della pace.
I bolscevichi erano tre o quattro volte superiori in uomini e armamenti, e alla loro testa c'erano comandanti che s'erano illustrati durante la guerra civile, gli artefici delle maggiori sconfitte subite, tra il '18 e il '20 dalle armate Bianche: Tuhacevskij, Sollogub, Lazarevic, Jakir, Primakov. I polacchi erano invece comandati da ex ufficiali dell'esercito zarista o dell'esercito austriaco, dove erano entrati alla vigilia della Prima guerra mondiale, quando la Polonia era divisa tra Russia, Austria e Germania. Ufficiali senza grande esperienza, e sin allora senza gloria.
Ma al vertice delle truppe polacche c'era Jozef Pilsudski, uno dei personaggi più notevoli del Novecento, e fu lui che inferse all'esercito di Lenin e Trotskij la sconfitta rovinosa del 1920. Sconfitta seguita al tentativo dei bolscevichi di riconquistare, dopo che la Polonia era divenuta alla fine della Prima guerra mondiale una nazione indipendente, le parti orientali del territorio polacco che erano stati sin dal Settecento sotto il dominio russo. E' qui, nel rancore di Stalin per le vicende del 1919-1920, che vanno ricercate le motivazioni d'uno dei massacri più orribili del secolo scorso, 8.000 ufficiali e altri 14.000 tra soldati, poliziotti e funzionari, abbattuti a colpi di pistola Walter PPK nel bosco di Katyn?
Almeno in parte, è assai probabile che tanta incomprensibile, inutile ferocia, abbia avuto origine proprio nella rotta bolscevica sulla Vistola che chiuse la guerra russo-polacca. Nei prodigi della cavalleria di Pilsudski (10.000 "sciabole", come venivano chiamati i cavalleggeri) e dei suoi ufficiali, che entravano in battaglia con motivazioni ben più consistenti e fervide di quelle che animavano la truppa russa: l'indipendenza e la libertà della nazione, oltre al loro rigetto di cattolici nei confronti dell'ateismo leninista e delle atrocità che stavano avvenendo dopo la rivoluzione in Russia.
Nelle fosse di Katyn caddero parecchi di quegli ufficiali, che nel 1939 erano ancora in servizio. Il generale Skierski - che aveva comandato la IV armata di Pilsudski- il generale Haller, il colonnello Pilsowski del 14° Lancieri, e altri di cui non conosciamo il nome: gli uomini che avevano travolto la cavalleria di Tuhacevskij e di Budjonnij. Con loro, furono ammazzati anche molti dei loro figli, ufficiali giovanissimi che avevano seguito la carriera militare dei padri, caduti prigionieri dei sovietici e della Nkvd all'ingresso dei sovietici in Polonia nel 1939.
Ma c'è un altro motivo che va tenuto presente per capire appieno la decisione di Beria e Stalin, con i loro accoliti Molotov, Mikojan e Voroscilov, d'ordinare lo sterminio del bosco di Katyn. Il sistema della coscrizione polacca negli anni Trenta prevedeva infatti che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva. Trucidare ufficiali era quindi, per Stalin e Beria, il modo di far sparire un'intera classe dirigente (le professioni, l'imprenditoria, i giovani che s'avviavano alla politica) senza perdere tempo in indagini anagrafiche e sociali. Né il piano di svuotare la Polonia dei cervelli informati e indipendenti, terminava qui. Anche le famiglie degli ufficiali (le mogli, i figli piccoli o adolescenti) vennero estirpate dalle loro case e deportate in Siberia e Kazakhstan. Così che non solo la generazione dei trucidati, ma anche la generazione successiva, non potesse infastidire la presa di possesso sovietica della Polonia.
Che Vladimir Putin fosse andato a Varsavia proprio tre giorni fa per ammettere definitivamente le responsabilità sovietiche nell'eccidio, e ieri vi sia stata la caduta dell'aereo che portava a Katyn il presidente della repubblica Kaczyski e altre decine di personalità polacche, conferisce a questo nome, Katyn, un significato ancora più tragico, un alone di fatalità, che oggi non è possibile non rilevare. La conseguenza dei silenzi e dinieghi della Russia sovietica durati sino al 1990, quando Gorbaciov fece le prime ammissioni? L'impossibilità di considerare quel massacro come un evento "ordinario" tra i tanti orrori della Seconda guerra mondiale (ciò che solo i polacchi hanno appassionatamente negato in questi decenni)? E' quanto oggi viene da pensare. L'eccidio di Katyn non vuole essere dimenticato, nonostante che milioni e milioni di persone in tutto il mondo, Italia compresa, abbiano creduto per tanto tempo che la Russia comunista fosse la nazione della giustizia, del benessere collettivo, della pace.
«La Repubblica» dell'11 aprile 2010
Nessun commento:
Posta un commento